Alberi


«Capisco perfettamente perché Beethoven preferisse le piante agli uomini. Le piante non parlano e non ti affliggono con i loro problemi. Soprattutto non interrompono il corso dei nostri pensieri, anzi lo favoriscono. Nessun ambiente è tanto adatto alla meditazione quanto un bosco. Quanta poesia non è ambientata in un bosco? Penso, in modo particolare, a quella tedesca. Ma anche all'Orlando Furioso
A. Verrecchia, Diario del Gran Paradiso, Torino 1997

Tanto adoro girare per i boschi quanto mi danna fotografarli.
Mi piacciono la pace, il senso di isolamento, il sentirsi avvolti, il silenzio e il canto degli uccelli. Tutte cose che non entrano in un'immagine. Allora perché riprenderli? Sono caotici, irregolari, confusi, quanto di peggio ci possa essere per uno che ama le composizioni semplici e geometriche. Spesso passo, ci cammino anche ore in mezzo, senza riuscire a comporre un solo scatto, aspettando nervoso e impaziente un'apertura da cui riprendere i monti sull'altro versante. O invece provando ogni possibile composizione che mi frulla in testa per poi scartarle sconsolato a casa.
La solita foglia, la solita edera, il solito tronco. Non permettono di lanciare lo sguardo verso picchi maestosi, catene di monti che si perdono lontano, quello che rende buona qualsiasi foto. Bisogna concentrasi su spazi ristretti, che raramente le persone considerano paesaggio e ritengono interessante. Mi accorgo che tento di ripetere formule che hanno già funzionato, ma la ricetta è spesso fatta di impliciti, e il tentativo va a vuoto. Strade sicure, regole della composizione? Terzi, simmetria, bilanciamento, linee guida, triangoli? Ogni volta c'è un elemento che si infila in mezzo e rovina il piano. Quando sono particolarmente fortunato o in vena, non saprei dire, ho delle epifanie in cui una scena di impatto mi si balena di fronte come se all'improvviso mi si aprissero gli occhi. Ma sono eventi molto rari. Devo provare strade inconsuete, devo mettere alla prova i limiti della mia visione e della mia fantasia per vedere fotograficamente. È una sfida.

Ogni anno rivivo tutte le quattro stagioni dei boschi. Per primi gli accesi colori autunnali, che raramente fanno sbagliare una foto. Poi qualche nevicata. D'inverno i boschi mi piacciono solo con gli alberi carichi, altrimenti li vedo desolati.
L'esplosione di fiori e gemme in primavera. Le fioriture d'alta quota e un tramonto d'estate.
C'è poi l'adorata nebbia, che però vedo di rado. È davvero difficile convincere gli amici che non c'è niente di meglio che ficcarsi in un bosco dove non si vede a un palmo.

Gli scatti qui sotto sono, in fondo, sotterfugi, con cui ho cercato di aggirare gli ostacoli per rendere fotogenici i soggetti. Grandangolari che, esaltando un dettaglio e rimpicciolendo il resto, riducono l'informe a bosco. Strade e fiumi che creano un ordine estraneo. Radure o sguardi dall'esterno che non mostrano il disordine interno. Luci estreme che attirano l'attenzione e distraggono dal caos. Lenti luminose che eliminano lo sfondo.
Che siano questi i segreti? Se lo sono, spero ce ne siano molti altri, per poter continuare a scoprire all'infinito.
















































© 2008-2024
Sergio Chiappino

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