L'aurora
Provo repulsione nell’interrompere il sonno per fotografare l'aurora, ma amo viverla, perché non c'è nessuno in giro: la nostra civiltà è fondata sul far tardi la sera, sul ritrovarsi a mangiare agnolotti al sugo d’arrosto, guardare un film, fare l'amore e dormire fino alle 10. Piace anche a me ogni tanto.
Prima di mettermi a letto sono ansioso e perciò dormo male, di un sonno leggero e funestato da risvegli intorpiditi. Il primo minuto dopo la sveglia notturna è il peggiore: sotto il soffitto che gira, avrei voglia di maledirla e voltarmi dall’altra parte, se non che non riuscirei più a prendere sonno e trascorrerei le ore successive a macerarmi per aver poltrito. Mi aiuta che oggi non devo camminare al buio, ma tutto avviene a bordo strada. Perché faccio una cosa che mi fa star male? Non contraddice ciò l’essenza edonistica della nostra ideologia condivisa, del coccolarsi e gratificarsi?
Per prima cosa mi aspetta una replica, tornare dove il sabato precedente il faro di una casa aveva inquinato l’essenza notturna. Fionde contro tutte le golie elettriche che portano in montagna la luccicante Prospettiva Nevskij: per i prati coperti di neve, le chiese in pietra e le cime nude non servono altro che luna e stelle.
È una delusione, almeno rispetto ai piani, perché dalle velature non filtrano che il Grande Carro e poco altro, mentre speravo che aumentando la sensibilità al massimo spuntasse la cometa. A loro modo sono comunque fotogeniche, un velo da sposa sul cielo, ma viola come la notte.
Poi c’è un trasferimento in automobile, credo sia la prima volta tra uno scatto notturno e quello al mattino. Non riesco nemmeno a capire se nel tragitto penso, provo emozioni o se sono vigile solo quanto basta a scansare i pedoni e i ciclisti che cominciano a girare per Saluzzo. Nonostante la temperatura primaverile scioglierà quanto prima tutta la neve, la strada è stretta e ghiacciata, ma la borgata disabitata mi assicura un tragitto senza manovre.
Le velature lasciano appena un finestrella di luce, prima di spegnerla, ma tanto basta. Ascolterei Karma di Pharoah Sanders al contrario, sottovoce anche nelle sezioni urlate, ma il silenzio e i miei passi sulla neve dura sono una colonna sonora ancora più appropriata.
Nel bar di bassa valle dove faccio colazione sono fuori luogo: unico forestiero, capelli arruffati e pile, non parlo un occitano di confine. Mi isolo, avviso casa che tutto è filato liscio e presto sarò di ritorno, smaltite le code dei pendolari. Da molto non vivevo quest’esperienza, avevo dimenticato che ho bisogno ogni tanto di fermarmi e aspettare la luce.