Alla croce di Envie
La ricevuta del casello segna le 3.59, che innesca molte più urla di Munch delle 4.00, in chiasmo emotivo con gli aumenti della benzina. Sulla ripida salita da Barge alla Trappa di Monte Bracco, le spie dell'alimentazione si imbizzarriscono, ma arrivo indenne al termine dell'asfalto, dove la brina ricopre tutto lo spiazzo, lasciandomi il dubbio che anche il termometro a +2° sia guasto.
Accanto al parcheggio sorge un monastero medievale, che prende il nome dall’ultimo ordine che lo abitò, profugo della Rivoluzione Francese. Tuttavia già dal Basso Medioevo vari altri cenobi avevano provato a insediarsi su questo monte, in genere ricacciati in pianura entro breve tempo dall’esiguità delle risorse disponibili quassù: un’etimologia vuole appunto significhi sterile in celtico.
Pertanto gli uomini riuscirono a vivere di questa montagna unicamente come coloni su Marte, dipendenti dalla pianura per la sussistenza. allorché le estirparono la sua stessa sostanza, la bargiolina, uno scisto quarzoso giallino impiegato nei rivestimenti edili di pregio. Fu coltivato sistematicamente tra Ottocento e primo Novecento, ma già a Leonardo ne era stato promesso un campione, come tavolozza su cui miscelare i colori.
Al centro della rotonda al termine della strada ne è infissa una lastra: oggidì i monumenti e i messaggi comunitari sono affidati spesso al loro nucleo, piuttosto che ai muri degli edifici, ai crocicchi o alle piazze, perché sono l'unico luogo dove le automobili, dentro cui trascorriamo quasi tutto il tempo all’aperto, devono sempre rallentare e dove ci è permesso un fugace spiraglio di contemplazione, che invece nell’era pedonale era possibile ritagliarsi un po’ ovunque.
Da qualche anno, nei mesi estivi, una famiglia sta provando a portare al pascolo un gregge di capre tra le betulle che colonizzano le cave dismesse, come annunciano pure qui gli ormai pervasivi cartelli che mettono in guardia dai maremmani. L’edificio del monastero è stato convertito in rustiche abitazioni private e centro aggregativo per le popolazioni dei paesi alle sue falde, base di camminate e abbuffate comunitarie.
La mia flebile frontale accesa controvoglia, solo per l’assenza della luna, agita qualcuno nel bosco; non oso verificare chi sia, un po’ per non recare ulteriore noia un po’ per timore, sebbene il crepitio senza tonfi delle foglie secche suggerisca più una volpe che un cinghiale.
Senza altre scosse, ma molte fantasie tetre su cosa potrebbe capitare all’auto, nell’oscuro paesaggio da B-horror delle betulle e delle conifere da rimboschimento fese per pochi metri dalla frontale, dopo un’ora di cammino giungo alla meta: una placca con croce metallica sospesa sull'abisso e affacciata sulla pianura. La promessa elettorale del mare di nuvole basse si concretizza sulla pianura sotto forma di foschia nera che offusca le luci oltre Saluzzo, come nuvolaglia sulle Alpi.
La prima foto che ho in mente, prima che schiarisca, è con il fisheye circolare. Provo a spiegare ai fotofonisti come funziona questa esotica lente, a partire dell’epiteto: scatta una foto circolare, di diametro pari al lato corto del fotogramma, inquadrando a 210° in ogni direzione, ovvero includendo tutto ciò che c’è davanti e anche un po’ di quello che c’è dietro. Invece per fisheye si intende che appiattisce la tridimensionalità per mezzo di una prospettiva diversa da quella dell’occhio umano e dei consueti obiettivi rettilineari, che mantengono dritte le linee dritte, ma distorcono gli angoli, ovvero le linee ortogonali appaiono intersecarsi con angoli acuti o ottusi: il mio invece mantiene retti gli angoli retti, ma rende curve le linee dritte. Dopo i primi esperimenti, ho concluso che uno dei metodi più efficaci di sfruttarlo all’aperto è mirare lo zenith, accoppiando a un cielo interessante quale quello notturno, un soggetto che si eleva, come alberi spogli, croci, torri e campanili.
Mentre sto scattando la prima foto, vedo una fioca meteora (domani pomeriggio ci sarà il picco di uno sciame). Dopo tutti i pensieri cupi della salita, il primo desiderio è tornare a casa senza sosta forzata in officina, ma poi mi sovviene che in questo periodo ne ho anche un altro tanto fondamentale quanto privato: la riflessione pacata mi farebbe sacrificare a quest’ultimo del disagio odierno, ma siccome alla ripartenza l’elettronica tornerà a funzionare alla perfezione, temo che contasse la prima risposta, come al Rischiatutto.
Siccome non ho altre idee spaziali, vado a rintanarmi nell’ampio bivacco di legno e pietra, formato da un soggiorno con cucina economica e lungo tavolo collettivo al piano terra e da un soppalco con materassi. Scialo così tanto con i grissini integrali all’acqua inzuppati nel latte caldo allungato con acqua e orzo amaro, che mi dimentico di controllare sul notes l’ora del primo chiarore cobalto a sud-est: fidandomi unicamente della mia fallace memoria, la confondo con quella delle velature di fuoco, per cui sarà questa la prossima foto.
Con la luce dell'alba noto intanto che la placca è interamente brinata, ma sotto i tre pile e le moffole non sento freddo, se non ai piedi: il termometro su un poggio qui dirimpetto, più o meno alla medesima mia quota, è giusto un pelo sotto lo zero. Invece la fotocamera si raggrinzirà talmente per il freddo prolungato che a casa dovrò lasciarla dilatare qualche minuto sul termosifone per estrarre la scheda di memoria, e brina fresca si formerà sulle custodie dell’attrezzatura. L’ultima foto, quando il sole è ormai sorto, è dedicata alle rupi boscose baciate dalla dorata luce radente.
Sento provenire ad alto volume un paio di spari dall'altopiano a ovest, dopo che ai primi chiarori ne avevo sentiti altri più sommessi. Questa montagna è terra di cacciatori e motociclisti; a uno dei secondi è dedicato un monumento in vetta che raffigura una moto che impenna: i motociclisti si sentono fighi a impennare come io a mostrare lo scontrino delle 3.59. Il mistero di come mai il nostro cervello gratifica entrambi così tanto per attività totalmente inutili, tanto alla sopravvivenza e alla propagazione dei geni quanto alla gloria di uno qualsiasi degli dèi succedutisi nei cieli, può essere spiegato forse solo invocando la conturbante selezione sessuale che lasciava interdetto il puritano Darwin, a riprova di quanto siano imperscrutabili le donne. Il mercato se ne infischia di questi dilemmi cosmici, ma provvede efficientemente a beneficiare delle nostre passioni propinandoci nuovi mirabolanti accrocchi a ritmo frenetico, quali il mio fisheye.
Scarto il bar alle falde del monte, perché il caffè è della seconda peggior torrefazione dell’universo, dopo quella dell’albergo per americani sul lago di Como, per dirigermi invece su uno eccelso a Luserna, anche se purtroppo le levate antelucane mi lasciano un sapore sgradevole in bocca, che non me lo fa apprezzare appieno. Hanno anche una gran varietà di croissant, ma io vorrei la focaccia ligure, di cui sono in astinenza da ormai dieci mesi.
In riserva dal principio della discesa, viaggio ai 50 fino al benzinaio più economico della zona, attirando qualche maledizione dai lavoratori di questo feriale di ponte; se poi in coda ci fosse la dolce metà, per certo chiederebbe il divorzio. Al distributore, dove c’è più gente al servito che al self, due altoparlanti a volume di discoteca sovrappongono musica e messaggi pubblicitari dello spaccio, impedendo di captare alcunché (a personale assente la musica va a palla pure alle due di notte).