Laghi di Fremamorta

Una notte di luna e di vento


Era da un po' che avevo in mente questo progetto: passare una notte di luna ai laghi di Fremamorta, nelle Alpi Marittime, sfruttando il punto di appoggio del bivacco Guiglia. Per una ragione o per l'altra, non si era mai verificata la complicata coincidenza di fattori necessaria: una notte estiva, una fine settimana di luna piena e bel tempo. Stavolta la notte buona era la domenica o il lunedì, il tempo ballerino, ma ho giocato d'azzardo e ho preso qualche giorno di ferie in quel periodo. Alla fine ho scelto il lunedì notte.

Piano del Valasco
Piano del Valasco

Mentre ansimante salgo al rifugio Questa, sudando sette camicie per il sentiero ripido e l'afa asfissiante del mezzodì, penso che forse avrei fatto meglio ad alzarmi un'ora prima e a salire per il tracciato più graduale, che è pure più bello. Quando non assecondo la pigrizia, sono sempre assalito da una sorta di repulsione ansiosa verso la prossima avventura, perché già in settimana mi alzo spesso alle 6 e forse dovrei approfittare dei giorni liberi per rifiatare. Ma poi, quando sono sul posto, sono sempre felice di aver superato l'inerzia antelucana: avrai tempo per dormire quando sarai morto, afferma un detto di origine incerta. Stavolta non è andata così e ho ragione di pentirmi.
Finalmente al rifugio, riesco a rimediare una polenta, nella quiete tra la folla del pranzo e quella della sera. Questo rifugio resta per me un mistero, perché è sempre affollato nonostante non offra mete di richiamo e abbia ogni genere di scomfort: il bagno è solo esterno e lo sciacquone è un secchio che va riempito a mano e versato sulla latrina; l'acqua viene dal sottostante lago per un tubo al sole, per cui è tiepida al palato, ma gelida quando si fa la doccia (esterna pure quella); come letto bisogna scegliere tra castelli a tre piani che ballano come per un terremoto giapponese o dei materassi sul pavimento del sottotetto, a cui si accede per una botola del soffitto. Ricordo di aver incontrato un emiliano in valle Maira, che per attaccare bottone si era messo a lamentarsi della sua esperienza qui.

Dopo pranzo proseguo per il tracciato militare e risalgo un brullo vallone pietroso, dove imponenti larici secolari crescono isolati tra i massi. Non sono mai riuscito a fotografare questo posto in maniera soddisfacente. Mi prendo un po' di tempo, ma neanche stavolta le prove vanno buon fine: non riesco mai a staccare gli alberi dallo sfondo. Sarà che toni e colori non offrono questa possibilità, o forse che l'ho sempre visto come un posto di semplice passaggio e non sono mai venuto qui a cercarmi la luce giusta.
Da lontano vedo che il bivacco è aperto. Ci trovo infatti due trentenni modenesi, che sono venuti a scoprire la zona con un trek di qualche giorno. Quando arrivo stanno mangiando una pastasciutta, non sono bene se come pranzo o cena, vista l'ora intermedia. Mollo i bagagli e vado a farmi un giro esplorativo ai laghi superiori, dove non ero mai sceso nelle mie precedenti visite. Concludo che gli spunti mi sembrano migliori che negli altri laghi e quindi stanotte mi soffermerò su questa zona.
Torno al bivacco, per scaldarmi una tisana con cui accompagnare il panino. Ci trovo una quarta persona, un conterraneo, anche lui appassionato di foto notturne, anche se preferisce i paesaggi senza luna. È attrezzato con un cavalletto e una 5D mark n. Dato che è la sua prima volta qui, gli dò qualche dritta sui posti migliori. Intanto vengono a gironzolare intorno al bivacco due ermellini. Si affacciano, ci scrutano, poi si rincorrono: non stanno mai fermi, vaneggiando gli sforzi di uno dei due emiliani, che tenta invano di fotografarli con la compatta (però poi la mattina dopo uno gli si piazzerà a due metri e lo accontenterà). Forse sperano di rimediare uno spuntino da noi, ma poi evidentemente perdono le speranze, perché poi li vediamo passare con un topo in bocca.

Io e l'altro fotografo ci disperdiamo in attesa del tramonto. Da qui si può fotografare l'Argentera che si riflette sull'acqua, mentre è illuminato dall'ultima luce della sera. Purtroppo stasera il vento increspa i laghi e le nuvole nascondono la luce del sole, quindi nisba. Non mi resta che scattare una foto al lago superiore con le nuvole blu del crepuscolo.
Ci riaggreghiamo al bivacco. Mentre il mio collega si scalda una pasta col ragù, scambiamo qualche impressione sulla montagna e qualche ricordo sulle esperienze di vita rustica.
«A noi una sera si è rotta la tenda per il vento. Ma era una tenda buona solo per campeggiarci al mare: l'avevamo vinta coi punti di qualcosa. Siamo scesi dove c'erano degli altri campeggiatori, che ci hanno indirizzato a un vicino bivacco. Nel buio della notte abbiamo fatto fatica a trovarlo, perché era nascosto dagli alberi». «L'anno scorso sono stato dalle vostre parti a percorrere la GEA: mi è piaciuta molto la possibilità di camminare sul crinale, in cima alle montagne, cosa che qui è impossibile». «Gias, la parola che qui significa alpeggio, è un termine francoprovenzale che indica la lettiera di foglie e paglia che si mette nella stalla». «Nei prossimi giorni ci sarebbe piaciuto andare al rifugio Pagarì, ma non credo che ce la faremo». «Non ci sono mai stato, ma circolano strane leggende sul gestore, tipo che sia vegetariano e se gli chiedi la polenta con la salsiccia ti fa un sfuriata». «Eh, dal sito si vede che è un tipo originale, che ad esempio si fa la birra da solo». «Ecco, vedi la luce laggiù? È il rifugio Remondino, da cui si parte per salire sull'Argentera. Si sale però dall'altro versante, dopo aver valicato il Passo dei Detriti». «Certo che il nome è invitante, eh!». «Il vallone di Lorousa è quello sull'altro lato dell'Argentera. È famoso soprattutto il canalone, dove c'era un ripido nevaio permanente, da cui è volata giù un sacco di gente. Alla base c'è un masso pieno di lapidi. Oggi la neve invece spesso si scioglie tutta prima della fine dell'estate.» «Se volete vedere degli stambecchi, vi consiglio di andare al Remondino o al Morelli-Buzzi. Lì spesso vengono e stazionano intorno al rifugio per leccare il sale che trasuda dai muri». «Qui si vedono più animali che dalle nostre parti. Oggi abbiamo visto un camoscio a pochi metri.» «Sai com'è, qui è parco e non cacciano da molti decenni, per cui gli animali si sono fatti meno schivi. Poi dalle vostre parti ci sono animali tipo i cervi e i daini che sono molto elusivi».

Intanto delle nuvole basse si incuneano nella valle. Un soggetto sempre fotogenico. Ci punto contro una posa di vari minuti, grazie alle tenebre ormai incombenti e alla luna ancora assente.

Valle Gesso
Valle Gesso

Alle 21.40, come Stellarium aveva predetto con la solita precisione, la luce della luna fa capolino tra le nubi dietro la Cima di Nasta. È l'ultima scena che vediamo a colori, perché dopo sarà il regno della visione notturna dei bastoncelli.

Rifugio Remondino
Rifugio Remondino

L'altro fotografo va a fare un giro, mentre io vado a nanna, perché secondo i miei calcoli la luce migliore dovrebbe arrivare a notte più avanzata. Punto la sveglia alle 2.30. In realtà non dormo quasi per nulla, come sovente mi capita nella prima notte in rifugio. Intorno alle 23.30 sento rientrare il collega, poi vago sul confine tra l'assorto e il sonno leggero, senza sogni ma dai pensieri fluttuanti. Mi accorgo che sto tremando, nonostante senta il mio corpo caldo, perché l'aria fredda della notte filtra dalla porta; io ho scelto il letto più basso per non disturbare nessuno durante gli accessi notturni e così me la becco tutta. Intorno alle 2 mi alzo, indosso gli scarponi e con l'attrezzatura in mano mi avvio, naturalmente a pila spenta, per apprezzare le sfumature argentate della luce lunare.

Ricovero militare
Ricovero militare

Il primo scatto è ad un rudere militare. La luce è quella giusta, anche per lo sfondo, perché la sua direzione pennella i torrioni della montagna. Le mie stime erano corrette. Bene. Purtroppo invece i monti sul lato opposto della valle sono illuminati un po' più piattamente: per loro sarebbe stato meglio un'ora o due fa.
Questa zona non sarebbe accessibile se non ci fossero le strade e le mulattiere militari. Infatti è troppo magra per il bestiame, persino per le capre, per cui i pastori l'hanno sempre snobbata. Per i militari il discorso è ben diverso, perché la Francia è subito lì oltre la montagna. Le opere risalgono a inizio Novecento, come ricorda un'incisione del 1909 sul lastricato della strada che ho percorso al pomeriggio. Allora l'Italia era alleata con l'Impero asburgico e il Reich tedesco per i timori verso la Francia, che vedeva come rivale soprattutto in chiave coloniale. La politica estera però già allora traballava tra questa ostilità e l'interesse per le Venezie in mano austriaca e l'Adriatico nel suo complesso. Le cose sono andate a finire come ben sappiamo. Le opere furono poi ristrutturate negli anni Trenta, in vista di una guerra che stavolta ci sarebbe stata; le più recenti sono facilmente riconoscibili per un uso maggiore del cemento.
Scendo quindi ai laghi. Niente riflessi, perché il vento continua a soffiare, come del resto era previsto. Purtroppo le nubi si sono dissolte e allora addio alle lunghe esposizioni con effetti fantasmagorici. Mi soccorrerà giusto qualche scia d'aereo che fatica a dissolversi. Con la coda dell'occhio noto una stella cadente. Il picco è domani. Adesso non saprei dire dov'è Perseo. Resto a guardare in quella direzione, casomai la frequenza fosse apprezzabile, ma non ne scende più nessuna. Mi cimento con le solite foto verso nord che mostrano la rotazione terrestre, che però verrebbero meglio in una notte senza luna. Provo con vari tempi di esposizione: a volte le nubi, le stelle e i laghi hanno bisogno di tempi diversi per mostrare il loro lato migliore. Mentre fotografo l'Argentera, mi colpisce molto la scena alle mie spalle, un controluce del pendio avvolto in un nero profondo. Provo a fotografarla, combattendo contro il flare lunare e sperando che riprodurre una scena così lontana dalla visione diurna della fotocamera richieda una postproduzione alla mia portata.


Controluce lunare
Controluce lunare

Oltre al soffio del vento, al fruscio delle piante che esso muove, si odono indecifrabili rumori di terra e acqua. Animali? Pesci? Frane? È difficile capirlo: la vista aiuta poco. Sono combattuto tra il desiderio di vedere un lupo di notte e la strizza che l'incontro comporterebbe.
Decido poi di tornare al bivacco per fotografarlo. La sua posizione affacciata sulla catena dell'Argentera è stupenda. Mentre passano i minuti della posa B e del dark frame, ripercorro le gite fatte sui monti che sto riprendendo. La Cima Ghiliè con la vista su Costa Azzurra e Corsica, l'infinito traverso tra le pietraie alla base delle cime, il Passo di Brocan, il lago di Nasta gelato a fine luglio, le giocose scivolate sul nevaio che scende al Remondino, la doccia gelata, la sera in rifugio da unici italiani tra i tedeschi (tanto per cambiare), la cascata, lo stambecco che contemplava le nuvole.
Decido che ne ho a sufficienza e mi fermo a scaldarmi una tisana, dopo aver vinto una titanica lotta contro il vento che mi spegne l'accendino. Mentre sto sorseggiando gli ultimi bicchieri, si alza il collega per riprendere l'alba. Manca un'ora al sorgere del sole ed è proprio il breve momento in cui i monti sono ancora illuminati dalla luce incolore della luna, ma ad est il cielo comincia a farsi blu e arancio. C'è giusto il tempo di una foto.

Bivacco Guiglia
Bivacco Guiglia
Bivacco Guiglia
Bivacco Guiglia

Scendo nuovamente al lago superiore. La luce migliore viene circa mezz'ora prima del sorgere del sole, quando il rosso dell'est già schiarisce le cime più alte, ma il blu dell'alba è ancora la tinta delle zone riparate. Fortuna vuole che il vento si plachi brevemente e riesca a fotografare un riflesso. Anche per il resto della sessione mi tengo sul classico.
Quando mi ritengo soddisfatto torno al bivacco, dove trovo i due modenesi intenti a scaldarsi una colazione che odora di minestra. C'è ancora l'occasione per una foto alla bassa valle, dove si infila la luce del primo mattino. Indugio ancora un po' a guardare gli ermellini che si rincorrono, raccolgo le masserizie e, quando il sole spunta da dietro l'Argentera, mi libero degli strati termici, saluto e scendo.

Testa di Bresses
Testa di Bresses
Testa di Bresses
Testa di Bresses

Dopo una notte insonne, marciare nella luce accecante del mattino mi dà quasi fastidio, nonostante gli occhiali da sole.


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Sergio Chiappino

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