Lago Fiorenza
Alcune voci filtrano nella nebbia:
«Vedi che c'è qualcuno che fotografa anche con questa luce?»
«Ma cosa diavolo fotografa?»
Mentre sto frugando nella borsa alla ricerca del cavo di scatto, una donna si avvicina alla fotocamera montata sul cavalletto e, senza rivolgermi la parola, sbricia nello schermo.
«La pietra in mezzo al lago», riferisce con aria perplessa.
Il lago è liscio. Nessuna bava di vento lo increspa. La cappa è spessa e densa. L'acqua è quasi incolore, come i vegetali rinsecchiti dall'autunno. Si odono lontani scampanii di mucche e latrati di cani, insieme a voci vicine di escursionisti di ritorno, che sento ma spesso non vedo.
La temperatura è mite, ma l'umidità penetrante riveste la fotocamera di un velo di goccioline. La nebbia va infittendosi sempre di più: mentre all'inizio serviva il normale per riprendere la sfumatura verso il nulla, ora anche con il grandangolare la zona nitida è striminzita. Ancora poco e, anche se non piove, ci si inzupperà lo stesso delle goccioline che si intercettano mentre si cammina.
Mentre pago il tè, il proprietario del rifugio di Pian del Re se la prende con la nebbia.
«Quest'anno com'è andata?»
«Questa nebbia è stata persistente»
«Oggi sono venuto proprio a cercarla»
«Per le salamandre?»
In questa zona vive una specie endemica di salamandra, che è più facile da vedere in questi giorni umidi e bui.
«No, per fotografare il lago Fiorenza nella nebbia»