Pista ciclopedonale Levanto-Framura
Notti di luna piena
Ci sono poche cose a cui possiamo abbandonarci interamente senza noia, e che disperdano l'esercito dei pensieri alla cui aggressione continua siamo sottoposti nelle nostre città. Tra queste la visione delle fiamme guizzanti, il turbinare dei fiocchi di neve e il suono cupo, scrosciante, dell'onda che si abbatte sulla spiaggia.
Ernst Jünger, Foglie e pietre, Milano 1997 (trad. F. Cuniberto)
11-12 novembre 2016
Un tramonto ha appena terminato di tingere di rosso i flutti, nel golfo tra Punta dei Marmi e il Salto della Lepre. La luce del crepuscolo si va affievolendo, ma non la potenza del mare, che si infrange contro gli scogli della spiaggia di massi, residuo di una cava di marmo. Il frastuono delle onde mi tiene compagnia in questo angolo isolato della Riviera di Levante, raggiungibile solo per un sentiero sconnesso nel folto della vegetazione mediterranea. Che cosa potrei desiderare di più? La luna! Che infatti da qui a poco sorgerà dalle scogliere. Mi aspetta una paziente attesa di un'ora, prima che il chiarore blu all'orizzonte sprofondi nel mare e lasci sola l'argentea luce selenica.
Ho preso un venerdì di ferie e un paracetamolo 1000, per non lasciarmi sfuggire l'occasione di questa sera: il cielo terso, i cavalloni e la luna, tutti in una volta sola. Il mare è fin troppo vivace: non sono riuscito a scendere fino alla battigia, perché già qualche metro più in alto gli schizzi mi facevano temere per l'attrezzatura. Mentre provavo la fotocamera in negozio, entrò un signore con una reflex che non si accendeva più. Lui pensava che fosse un problema di batteria, ma quando il venditore smontò l'obiettivo, vide che l'attacco era completamente arrugginito: probabilmente era stata investita da un'onda o era caduta in mare, quando l'aveva prestata a degli amici. Anche la predecessora della mia cominciò a tirare le cuoia dopo una sera nell'umidità salmastra. Me ne sto perciò appollaiato su uno spiazzo a una quota di sicurezza; da qui ho a disposizione meno di una manciata di composizioni, ma è sempre meglio così che con un mare piatto e insignificante che sembra un lago.
Il sentiero per risalire è così buio che mi impone l'uso della pila. Lo faccio con rammarico, perché adoro camminare alla sola luce lunare, per cui la spengo non appena la vegetazione si fa più rada. Torno alla stazione di Framura, dove ero sbarcato nel primo pomeriggio, e vado a imboccare la pista ciclopedonale per Levanto, ricavata nelle gallerie della dismessa ferrovia a binario unico; offre numerosi scorci sul mare. La prima pausa fotografica è a Portopidocchio, una spiaggetta sassosa stretta tra due pareti così alte e vicine, che d'inverno non ci ho mai visto il sole. Le onde si incuneano nella strettoia all'imbocco dell'angusta baia e, roteando, con gran frastuono si dilatano e si abbattono a riva.
Proseguo poi fino a un punto che si affaccia su una scogliera, che ricordavo come buon soggetto. C'è pure una panchina, per riposarmi mentre la fotocamera fa il suo dovere. La sensazione di ossa rotte che avverto da una mezz'ora mi suggerisce che è opportuno assumere di nuovo del paracetamolo: prudenzialmente sono partito con una buona scorta.
Sono le 21 quando a Bonassola trovo una tavola calda ancora aperta. I clienti della cena stanno uscendo e la padrona si appresta a pulire gli ugelli della macchina del caffè, ma non mi cacciano. Sto fermo un'ora facendo durare il tè e ascoltando distrattamente lo stereo, che trasmette un album dal vivo di Paul Simon. Verso le 22 lo stereo è muto da tempo e la signora mi fissa sempre più frequentemente, ma un cliente abituale ordina ancora una birra. Prima di uscire, chiedo dov'è il bagno, ma con gentilezza ligure mi fanno presente che l'hanno già chiuso. Quando varco la soglia del bar, alle mie spalle sento scattare la serratura.
Vado alla chiesa sul promontorio. La strada di accesso è illuminata, ma i lampioni si fermano all'ultima casa e la cappella è al buio. Forse è solo parsimonia ligure, ma non finirò mai di ringraziare gli amministratori per questa accortezza nei miei riguardi. Durante la sessione fotografica, concludo che per l'architettura lunare dovrò compare un grandangolare luminoso, perché in quasi tutti i casi mi trovo a fotografare schiacciato contro i muri o sul bordo del precipizio. Nelle lunghe attese, non mi viene mai di fermarmi a contemplare il mare, che nel frattempo si è placato, ma passeggio avanti e indietro fino al primo lampione in cerca di ispirazione. Intanto passa la mezzanotte.
Torno a Bonassola; dal lungomare riesco a fotografare la chiesa immersa nella scia della luna sul mare. Il tratto che segue non mi aveva ispirato molto nei passaggi precedenti, né stavolta sarà diverso. Durante un tentativo di foto andato a vuoto, passa l'auto di un vigilante, che mi getta uno sguardo fugace, credo più sorpreso che insospettito, perché neanche si ferma. Sono quasi le 3 e la luna sta sparendo dietro le dorsali che scendono al mare. A Levanto dovrebbe esserci un pub che chiude alle 4 (alle 5 ho il treno). Prima di arrivarci, trovo però un minuscola piadineria ancora aperta. La commessa adolescente sta chiacchierando con un ragazzo che potrebbe essere il suo fidanzato, o forse uno che le ronza attorno. Ordino una focaccia farcita con formaggio e pomodoro, ma la vomito discretamente ancor prima di finirla. La commessa mi chiede il motivo del mio passaggio a quell'ora e con quell'ambaradan. In questa notte nessun altro avrà l'ardire di chiedermi conto dal mio ingombrante corredo di borsa e zaino, con cavalletto nero appeso. Farà eccezione un alcolista mattiniero, che alla stazione di Genova cercherà di spillarmi due euro, raffazzonando una storia patetica e improbabile. Nel locale resto un'ora come sospeso: non c'è neanche della musica da ascoltare, ma solo le chiacchiere smozzicate e incomprensibili dei due ragazzi. È incredibile come scorra piacevolmente il tempo in questo tiepido far niente. Tuttavia mi ridesterò: sul treno, dopo un breve pisolino, sarò così lucido da googlare una focacceria aperta al mattino presto in zona Brignole, dove fare un salto in attesa della coincidenza.
15-16 marzo 2014
I bollettini meteo non sono incoraggianti: per buona parte della notte il cielo è previsto velato. In queste condizioni la luce della luna filtra lo stesso, ma non si vedono le stelle, un elemento chiave dell'atmosfera notturna. Però mi dispiace non provarci neppure, perché già il mese scorso ho dovuto rinunciare a causa del cielo coperto. Parto lo stesso e nel tardo pomeriggio sono al mare. Il progetto è di trascorrere la notte sulla pista ciclopedonale, ricavata sull'abbandonato tratto di ferrovia a binario unico. Alterna molte gallerie illuminate ad alcuni accessi alle coste alte e rocciose della zona. Non ho prenotato stanze: fino a domani mattina non ho altre possibilità che stare all'aperto.
La sera la pista è affollatissima. Coppie che portano a spasso il cane, famiglie a passeggio, corridori, pescatori notturni dagli ami fosforescenti, un nugolo di camperisti a Bonassola. Ancora all'una incrocio un gruppo di ragazzi in bici. Mai incontrata così tanta gente durante un'uscita fotografica. Solo a notte inoltrata trovo la solitudine.
Faccio foto panoramiche e dettagli, cerco di mischiare luce naturale e artificiale, scendo sulle spiagge, le percorro, penso che potrei tornarci tra due ore. In cielo le velature si muovono rapide, alternando momenti sereni a periodi senza stelle. Successi e fallimenti si alternano.
Una sezione a parte merita Punta dei Marmi, il climax di questa notte. Quando percorro il sentiero verdeazzurro, vi scendo dalla strada per un sentiero dissestato, ma dalla pista c'è un comodo accesso via tunnel, che però in questa stagione è spesso allagato. Mi sono allora munito di un paio di ciabatte da piscina e di un asciugamano: mi cambio le calzature, rimbocco i calzoni e mi lancio nell'acqua. Non è fredda, come temevo, ma bella putrida sì: le ciabatte puzzeranno ancora all'arrivo a casa. Passatolo indenne, reindosso gli scarponi, trovo la traccia giusta nel folto della vegetazione e mi avventuro tra i massi accatastati della spiaggia. Scendendovi noto un bagliore venire da un gruppo di rocce. Cosa sarà mai? Magari è solo la luce della mia pila riflessa su un cristallo, ma non mi stupisco affatto che l'incerta visione crepuscolare e l'atavica paura del buio abbiano popolato le notti di demoni, fantasmi e rettiliani. Anzi, la cosa strana è che non li abbia mai incontrati, nei miei pellegrinaggi lunari. Ad ogni buon conto, evito di indagare e mi concentro sulle foto che ho in mente.
Quando a casa, consultate cartine, Stellarium e foto passate, mi ero programmato i tempi e i luoghi, mi chiedevo che cosa avrei fatto nei tempi morti. Ora invece mi sembra di non aver quasi cinque minuti per godermi la notte: tutto si sussegue in fretta. Scruta il cielo, maledici le velature, fattele amiche, corri che si stanno addensando, corri che si stanno dissolvendo, piazza il cavalletto, metti in bolla, pigia i tasti, scatta e aspetta. I momenti contemplativi me li concedo quasi solo durante le pose B e un paio di spuntini. Non ho neanche il tempo di fare una puntata al panoramico Salto della Lepre, un promontorio roccioso a picco sul mare.
Ormai la luna gialla sta per calare nel fitto strato di foschia che aleggia sul mare e ben presto non illuminerà più il paesaggio. Mi accorgo che le foto immaginate sul suo tramonto in mare sono irrealizzabili, e allora mi dirigo alla stazione. Vi trovo solo un'adolescente così sversa che una pattuglia di passaggio viene a sincerarsi delle sue condizioni. Poi pian pianino la stazione si popola: il bigliettaio, l'addetto alle pulizie, alcuni anziani viaggiatori. I primi chiarori dietro la montagna. Nel treno affollato ritrovo la densità umana usuale per chi vive in città.