Oggi no
Trantapurghe. Così mi chiamava mio padre quando ero particolarmente noioso e insopportabile. Credo che l'aggettivo si attanagli perfettamente al sentiero che oggi abbiamo dovuto percorrere ben due volte, all'andata e al ritorno (e poi ci criticano quando vogliamo gli anelli a tutti i costi). Come definire altrimenti un'interminabile traccia che sale ripida tra cespugli invasivi, fango, salti di roccia umidiccia e scivolosa e buche nascoste nell'erba? C'è chi ci è finito dentro o chi vi ha messo un piede in fallo ed è rotolato giù per alcuni metri. Gli altri si sono limitati a marciare a testa bassa, rimuginando tutto il tempo su quale fosse la pietra meno scivolosa tra le candidate come appiglio o appoggio. Lungo la strada ci domandavamo cosa avremmo dovuto fare se fosse venuta una celebre camula, che il sabato aveva invano tentato di iscriversi all'escursione. Per dare l'idea di quanto fosse disagevole, basti dire che la discesa è durata quasi quanto la salita. Ci mancavano giusto le fresche buse delle vacche, che per fortuna devono essere salite all'alpeggio dei laghi da un altro versante. Senza contare poi la cappa afosa e melmosa, che alternativamente ci sovrastava o ci avvolgeva. Più di tutti ne ha fatto le spese il povero professor Torchio, giunto esausto già ai laghi, che ha poi percorso l'ultima ora e mezza di discesa barcollando sui bordi delle scarpate e inciampando sulle pietre, miracolosamente senza danni (dietro di lui mi sembrava di partecipare alla ritirata di Russia). Persino l'indistruttibile Matteo, peraltro fiaccato dalla convalescenza e dalla febbre del sabato sera, ha stentato ad arrivare alla meta. Alcuni pensavano di cavarsela salendo in macchina fino a Tiglietto, rinunciando al tratto in faggeta e a un po' di dislivello. Ma così non hanno fatto altro che ridurre la gita al tratto sgradevole. Incredibilmente, alcune nuove leve hanno invece apprezzato tantissimo il percorso, eccezion fatta per la nebbia. Più di tutti una cucciola di coker, che ha trascinato la sua padrona per tutta la salita e ha camminato fino all'esaurimento delle forze; se non fosse stata la guinzaglio sarebbe partita dietro ogni traccia di selvatici. Mi è anche frullata per la testa l'idea di approfittarne per appioppare questa relazione a qualcuno di loro, ma mi è mancata l'occasione, perché a cena si è parlato di tutto tranne che dell'esperienza appena vissuta, che forse sotto sotto si voleva archiviare. Certo poi sono belli i laghi, lontani dal mondo, nelle tipiche conche glaciali tra l'erba e gli gneiss montonati. Però ne conoscono di altrettanto belli e solitari, raggiunti da percorsi non meno selvaggi e impervi, ma più gradevoli (i laghi della Furce su tutti). Come del resto fascinosa è la faggeta tra Ronco e Tiglietto e anche un po' oltre. Mi sono ripromesso di tornare a fotografarla in un giorno di nebbia fitta e colori autunnali, perché oggi non c'erano le condizioni adatte. La cara nebbia mi ha soccorso solo un po' in discesa: senza di lei, avrei estratto la macchina fotografica dalla custodia solo per la faggeta e per una foto ricordo al lago. Un po' poco per una gita così lunga. Probabilmente, per apprezzare la gita nel suo complesso avremmo dovuto affrontarla con lo spirito della vecchia scuola, come quello che si vede nel film sul K2: si va in montagna per soffrire e lottare contro l'alpe, con l'atteggiamento militaresco dei filmati di propaganda fascista. E non certo per godersi la domenica nella natura come facciamo noi debosciati delle nuove generazioni.