Monte Acquarone 733 m
Valle Impero
31 marzo
In un baleno
Incuriositi e coi primi morsi della fame, troviamo sulla porta un articolo di un giornale del luogo in tedesco, con tanto di foto della coppia che lo gestisce, che decanta le prelibatezze del locale. Molti tedeschi hanno comprato casa in borghi come questo: non è raro trovare nomi teutonici sui campanelli delle case. Dietro di noi intanto si materializza il tipo della foto, che sghignazzando ci consiglia di allontanarci al più presto, se vogliamo completare l'escursione…
Diario di viaggio
Una gita varia, che parte e finisce tra le fasce (terrazzamenti) coltivate a ulivi, attraversa querceti per raggiungere i pascoli sommitali e ha il culmine nell'incantevole borgo di Lucinasco, con il poco distante santuario della Maddalena.
I percorsi normalmente pubblicizzati per raggiungere la cima dal versante est partono da Lucinasco, a mezzacosta, ma è possibile salire direttamente dal fondovalle, da Chiusavecchia. In cambio di un po' di marcia in più, si possono ammirare tutte le sudate fasce, che circondano la bella borgata posta al loro culmine.
Dalla statale che attraversa Chiusavecchia si scende verso il torrente e lo si varca su un ponte in pietra a schiena d'asino. Seguendo le abbondanti indicazioni, si risale Borgoratto e quindi ci si immerge nel mare di ulivi che ricoprono la collina. È un incessante sovrapporsi di muri a secco, in parte restaurati recentemente con uso di cemento, segno che il lavoro secolare continua ancora oggi. I tronchi modellati dagli anni e dalle potature sono sculture plastiche e ardite. Ogni tanto si incontra qualche casella, le costruzioni pastorali in pietra a secco tipiche di questa zona della Liguria, dal monte Carmo di Loano fino a qui. E poi c'è quel verde, che adoro, dei prati che crescono attorno agli olivi.
Il sentiero sale diretto tagliando le fasce. Le rocce calcaree che vi fanno da fondo sono amiche degli ulivi, un po' meno degli escursionisti, perché sono scivolose anche da asciutte. Dopo aver attraversato la strada asfaltata, più in alto il sentiero confluisce in una delle piste cementate, che hanno sostituito le vecchie mulattiere selciate, per consentire ai mezzi meccanici di raggiungere i terrazzamenti. Una serie di ripide svolte conduce al borgo di Lucinasco.
Lo si attraversa in direzione est, senza percorso obbligato, godendosi i vicoli, la chiesa, i bassorilievi sopra le architravi delle porte, i numerosi gatti randagi, che si radunano in un vicolo attorno a ciotole colme di crocchette. È quasi mezzogiorno: da un ristorante proviene un invitante profumo di carne arrosto. Incuriositi e coi primi morsi della fame, troviamo sulla porta un articolo di un giornale del luogo in tedesco, con tanto di foto della coppia che lo gestisce, che decanta le prelibatezze del locale. Molti tedeschi hanno comprato casa in borghi come questo: non è raro trovare nomi teutonici sui campanelli delle case. Dietro di noi intanto si materializza il tipo della foto, che sghignazzando ci consiglia di allontanarci al più presto, se vogliamo completare l'escursione…
Al margine del paese si trova la settecentesca chiesa di Santo Stefano. È molto semplice. Ai suoi piedi è stato ricavato un torbido laghetto che assomiglia assai ad un acquario domestico fuori scala: è pieno di pesci rossi e sulla riva non mancano le tartarughe, che si riscaldano al sole. Ci fermiamo a goderci il posto, che è pressoché deserto.
Proseguiamo sulla stradina che conduce al santuario di Santa Maria Maddalena, una bella chiesa quattrocentesca da cui si vede Lucinasco stagliarsi contro le bianche Alpi Liguri. In questo tratto la vegetazione è dominata dalle querce: sempre alberi termofili, come gli ulivi, ma ambiente selvatico. In realtà resti di terrazzamenti mostrano che anche questa zona doveva essere in parte coltivata.
Il pianoro ai cui margini sorge la chiesa è davvero incantevole. Non sono da meno le essenziali forme dell'edificio. Di calcare arancione, a tre navate, rosone, un bassorilievo con la Madonna che porge il seno a Gesù Bambino. Un'apertura sulla porta consente di vederne l'abside.
Si prosegue quindi in piano lungo un sentiero, che confluisce in una mulattiera che sale da Olivastri. Questa può essere una via alternativa di salita, perché Olivastri è raggiungibile da Borgoratto per una strada bianca. Bisogna solo prevedere la deviazione per la Maddalena, mentre non si perde Lucinasco, perché vi si passa il pomeriggio. La mulattiera che sale dal basso ha un aspetto assai antico e maestoso, per via delle lastre in pietra che la delimitano. A monte invece è rimasta solo una traccia evidente. Proseguendo, il bosco si fa più rado e lascia spazio alla macchia e quindi ai pascoli, che sono ancora usati, ma sono invasi dagli arbusti che tentano di ricolonizzarli, per portali al loro stato naturale di macchia mediterranea.
Arrivati sulla dorsale sommitale, il panorama di apre a 360°, dal mare alla neve, passando per i mille borghi disseminati su queste colline che salgono verso le Alpi. Superato un primo dosso, si giunge sull'arrotondata vetta dell'Acquarone, dove le vestigia di una stele diroccata ricordano chissà cosa. Da qui si vedono anche i borghi sul versante opposto della montagna, con le loro belle chiese (Montegrazie su tutte, che però da qui è nascosta).
Intanto abbiamo appena avuto il tempo di pranzare, prima che il cielo si copra di nuvole nere e comincia spirare un vento teso e gelido. Per fortuna l'altimetro se se sta quieto alla quota esatta e così confidiamo che questo marzo atlantico almeno oggi ci risparmi. Peccato che l'aria si sia fatta più fosca proprio mentre dobbiamo percorrere il tratto più panoramico del giro.
Oltre la chiesa della Madonna dell'Acquarone non ci sono più segnavia né cartelli, ma è impossibile sbagliare, perché basta seguire la traccia della cresta dolcemente ondulata, che prosegue in direzione nord-ovest verso il Monte dei Prati, il punto più alto del percorso. Questa zona in passato era stata trasformata in pascolo e viene ancora impiegata a questo scopo, immagino per la mezza stagione, ma gli arbusti stanno riconquistando il terreno che apparteneva loro prima dell'intervento dell'uomo. Solo in zone limitate, dove resistono resti di muri a secco, si riesce a immaginare com'erano queste zone quando la pastorizia era fiorente. Oggi, invece, in certi tratti il sentiero è l'unica sottile striscia percorribile, in una macchia di rovi e ginestre altrimenti impenetrabile. Per di più, in questi giorni è particolarmente viscido e fangoso, a causa delle piogge incessanti del mese passato. Senza contare i ricordini delle mucche strategicamente piazzati negli unici posti in cui si potrebbero poggiare i piedi…
Intanto però gli addensamenti del primo pomeriggio si vanno diradando e compare di nuovo il caldo sole. Tocca persino cambiarsi gli occhiali. La vista torna a spaziare fino al Parrasio, isola rossa tra la distesa verde degli ulivi e quella blu del mare. Di qui decidiamo di proseguire per la cresta ovest fino a trovare la strada cementata che ci porterà a Lucinasco. L'alternativa sarebbe quella di scendere a est verso l'evidente azienda agricola più in basso, su un percorso più diretto ma decisamente più impervio.
Ora sguazzare nel fango si fa davvero divertente, perché in discesa i problemi di equilibrio si fanno più acuti: non si può certo camminare e guardare il panorama. Riusciamo comunque a non fare sciaf col sedere. Lungo la discesa costeggiamo una quercia solitaria. Sono sempre affascinato da questi alberi isolati: le ramificazioni spoglie delle querce, poi, sono opere d'arte frattali.
Alla strada, il tepore del sole ci motiva a fare la merenda e pure il pisolino. Quando stiamo per rimetterci in moto, vediamo una famiglia a piedi ridiscendere la strada da monte. Il papà al telefono spiega all'interlocutore che stanno facendo due passi, per smaltire il pantagruelico pranzo di Pasqua: sono ormai le 17 e dev'essere stata dura resistere a tavola fino a metà pomeriggio. Non appena ci hanno superato, la figlia sbotta: «Ma dovevamo venire fin qua a camminare in mezzo alla merda?». E sono sull'asfalto! Facciamo appena in tempo a partire, che hanno già fatto dietrofront per riappoggiare la chiappe sul sedile.
Per la strada scendiamo verso Lucinasco. Quando passiamo nei pressi dell'azienda agricola che vedevamo dall'alto, da cui arriva un forte odore di capra, un pastore maremmano abruzzese di guardia al gregge ci abbaia e ci insegue. L'ultimo del gruppo già si vede il polpaccio a brandelli, senonché il gigante bianco si mette a scodinzolare e a leccargli la mano: vuole solo un po' di coccole, che riceve in abbondanza. Anche la femmina ci raggiunge e pretende la sua razione.
Al lago di Santo Stefano troviamo un po' di gente vestita a festa che si aggira ad appesantito ritmo da passeggio. Attraversiamo il paese e ci immergiamo nell'uliveto della mattina. Le nuvole hanno nascosto il sole, che ogni tanto fa capolino e inonda le foglie e i tronchi di una magnifica luce serale. Non si fa in tempo a pensare «Oooh!» che si è già dissolta. Anziché lo scivoloso sentiero, seguiamo le piste cementate, che ci portano lo stesso fino a Borgoratto.
Al ponte un'amica mi indica un passaggio per scendere sull'argine del torrente, da cui posso fotografare l'arcata. Ringrazio e faccio l'ultimo scatto della giornata. Peccato solo che il sole sia appena scomparso dietro la collina e sia svanita la bella luce che doveva esserci fino a poco fa.