Monte Alpesisa 983 m
Val Bisagno, Genova
11 marzo
In un baleno
Una fantastica escursione, a breve distanza dal centro di Genova, ma in un mondo completamente altro, in cui non si percepisce nulla né di lavatrici né di autostrade urbane, ma neanche di carruggi o di porto. Si attraversano invece intricati boschi mediterranei, si guadano ruscelli che modellano il calcare, si incontrano eremiti che convivono con gatti chiamati Robespierre, si cavalcano creste ventose e si cala dolcemente a valle per antiche vie del sale
Diario di viaggio
Una fantastica escursione, a breve distanza dal centro di Genova, ma in un mondo completamente altro, in cui non si percepisce nulla né di lavatrici né di autostrade urbane, ma neanche di carruggi o di porto. Si attraversano invece intricati boschi mediterranei, si guadano ruscelli che modellano il calcare, si incontrano eremiti che convivono con gatti chiamati Robespierre, si cavalcano creste ventose e si cala dolcemente a valle per antiche vie del sale.
I giorni migliori per questo anello sono quelli in cui l'aria è tersa, per godere al massimo degli ampi panorami della cima. Nella mia esperienza ligure, ciò significa quei giorni in cui la tramontana o la bora ti portano via e non ti permettono di resistere in cima se non marciando intabarrato. Ma anche un po' di foschia non guasta troppo lo spettacolo: non si vedranno il Rosa o la Corsica, ma il panorama più vicino è già un pasto succulento.
L'escursione parte ufficialmente da San Martino di Struppa, frazione sul versante solatio della Val Bisagno. Conviene però lasciare l'auto un poco sotto, in uno slargo in cui si trova qualche parcheggio, oppure anche nel quartiere Prato vicino al capolinea del 13. In alternativa si può arrivare fin qui da Brignole appunto con l'autobus 13. Dallo slargo si sale una creuza segnalata con un + e un anello barrato, fino alla chiesa, il cui sagrato è ornato da un classico mosaico geometrico ligure, in pietre di fiume bianche e nere.
La prima parte del sentiero, fino a Canate di Marsiglia, è un lungo traverso di saliscendi tra i boschi, querce e lecci soprattutto (ma in un punto c'è anche spazio per una pianta nordica come il solitario tasso). Oggi la zona è completamente selvatica, ma in un tratto sono ancora evidenti i terrazzamenti costruiti attorno ad una casa in pietre a secco abbandonata da tempo immemorabile, a giudicare dalla dimensione degli alberi che ora vi crescono dentro. I punti che ho prediletto, in questo tratto, sono i ruscelli che ogni tanto si guadano. L'acqua trasparente ha eroso lo strato di terra e scorre su bitorzolute placche di calcare, colorate di sfumature gialle e arancio, alternate qua e là al verde del muschio. La sottile pellicola di acqua che le accarezza luccica per i raggi che filtrano attraverso la vegetazione.
Dopo un paio d'ore di marcia, tra la vegetazione spuntano i tetti rossi di Canate di Marsiglia, frazione mai raggiunta dalla strada e abbandonata negli anni '50.
All'ingresso del paese ci accoglie uno dei due abitanti, visibilmente contento di avere visite, femminili soprattutto. Vive qui con un gregge di capre e tre gatti, chiamati Robespierre (perché mozza la testa ai topi), Topina e Cartuccia. Il primo è molto selvatico, invece l'ultima viene a farci visita e assieme a qualche carezza, si guadagna un mucchietto di crocchette di pollo, che divora avidamente. Mentre facciamo rifornimento alla sua fonte, l'eremita ci offre anche un bicchiere di latte crudo di capra. L'altro abitante è assai meno socievole e vive all'altro capo del paese, asserragliato in una casa che il suo collega chiama «Fort Alamo».
Canate è stata abbandonata dopo che la modernità l'aveva già raggiunta: i resti più insoliti sono quelli dei pali e dei fili della luce elettrica, un reperto di archeologia industriale. Le case in pietra e cemento sono state completamente svuotate di ogni reperto.
Da Canate il sentiero va su dritto per il pendio. Si cammina piegati grattando il terreno con il naso, come dei cinghiali alla ricerca di tuberi. Fin quasi al colle si tagliano i terrazzamenti che sovrastavano il paese. Si prosegue poi a sinistra sul filo di cresta, lasciando più sotto l'AVML che procede a mezza costa e si ritroverà più tardi. Si cammina sullo spartiacque che separa il versante marittimo da quello padano. I due pendii sono assai diversi: verso su dirupati e quasi spogli, verso nord rivestiti delle fitte faggete appenniniche.
Qui comincia il tratto panoramico dell'escursione. Innanzitutto in basso si vede bene la posizione di Canate, in fondo alla valle, contro la dorsale dell'Appennino, così come la sua forma, che ricalca il dosso su cui è costruita. Poi, a mano a mano che si avanza superando il monte Lago, scendendo ad un altro colle e risalendo diretti il ripidissimo pendio erboso dell'Alpesisa, il panorama si fa sempre più vasto. Si vedono tutte le principali cime della zona, dai vicini Antola e Alfeo, fino al Maggiorasca e, credo, l'Aiona. Oggi, purtroppo solo in questa direzione è limpido, mentre verso il mare c'è molta bruma. Si intravedono le bianche Alpi Liguri sovrastare lo strato di foschia; la piramide del Monviso è a mala pena individuabile. La pianura è immersa in un mare brunastro. I giorni in cui è tutto limpido sono quasi solo quelli di tramontana o bora.
La cima dell'Alpesisa è un allungato dosso, che poi precipita ripido su tutti i versanti. Il più scosceso è quello verso San Martino, ma anche il prato risalito per arrivare sin qui tira per benino i polpacci. In vetta, oltre a numerose targhe, c'è una croce metallica con una curiosa forma arcuata.
Per scendere alla Gola di Sisa ci sono due possibilità. La prima è seguire il sentiero che parte a ovest della cima, tra molto fango e boschi non esaltanti. La seconda è invece prendere la dorsale che si trova di fronte al sentiero di salita, la direttissima. Arrivati al primo prato, si prende la traccia che si vede a destra, che conduce alla Gola di Sisa. Volendo si può proseguire su questa cresta fino a San Martino, ma questa opzione non è consigliabile, perché nella parte bassa le mulattiere di una volta sono scomparse, sostituite da una traccia che segue pedissequamente il metanodotto.
La gola è caratterizzata da un pascolo umido, spesso fangoso, dove bisogna lasciare il sentiero e inventarsi un percorso per non sprofondare nella melma. Da qui in poi si scende per un'antica strada lastricata di pietra, che scende fino a San Martino. Oggi il fondo è stato in parte sostituito dal cemento, in quanto la strada è ancora utilizzata dai mezzi agricoli di supporto ai bovini che pascolano in questa zona.
Essendo una strada, scende con pendenza assai moderata, molto rilassante, perfetta per godere la luce del tramonto in pace. Dopo una giornata in quasi solitudine, incontriamo diversi locali che si concedono una passeggiata serale.
Per approfondire
- I sentieri più belli. 2 Appennino Ligure, Cogoleto