Bric delle Camere 1018 m
Val Vobbia
17 aprile
In un baleno
Mentre tento di rilassarmi un po' scherzando con gli amici, nel gruppo torna l'irrequietezza. Qualcuno chiude lo zaino, lo indossa e comincia a passeggiare nervosamente in su e in giù. «Sono già le quattro e mezza, mancano appena quattro ore al tramonto» «Il sole è ormai sceso a meno di 90° sull'orizzonte, siamo quasi nel crepuscolo inoltrato!» «Non c'è una nuvola in cielo, potrebbe scoppiare un temporale estivo!» «Che ne sarà del mio tè delle cinque?»
Diario di viaggio
Quando abbiamo pensato questa gita, avevamo bene in mente i luoghi da mostrare al gruppo, dal Castello della Pietra alle viste sconfinate dell'Alpe di Casissa. Eravamo invece ancora incerti sul percorso migliore da seguire per coniugare un tracciato equilibrato e di lunghezza giusta, i punti caratteristici e la logistica. Così, dopo aver esplorato tratti sconosciuti nella ricognizione, abbiamo puntato su una traversata da Vobbia a Vobbietta: era il percorso migliore e valeva la pena affrontare i trasbordi con le auto.
In alternativa, si può tracciare un anello da Vobbia. Basta salire verso la cappella bianca e da qui, per un sentiero più o meno segnalato, fino a Casareggio, da dove si sale a Caprieto. Si percorre quindi la cresta fino al pilone dell'Alpe di Casissa, si scende a Casissa e di qui al Rio Busti. Quest'ultimo tratto è però parecchio dissestato e infrascato. Si scende quindi al ponte Zan, si percorre la strada fin sotto il Castello della Pietra, dove si imbocca il sentiero dei castellani che lo raggiunge e prosegue fino a Vobbia. Circa 7 ore.
Perciò, dopo una partenza antelucana, alle 9 ci siamo messi in moto da Vobbia per imboccare il sentiero dei castellani che la congiunge al Castello della Pietra. È un tracciato ondulato a mezza costa, che corre in alto parallelo al torrente e alterna tratti panoramici a ameni angoli di bosco. La prima vista è su Vobbia e sul torrente: il paese è incastonato tra colline dolci e boscose, molti alberi sono fioriti e formano una trama dai colori chiari e delicati. Il torrente, le cui acque nei tratti placidi sono di verde smeraldo, scorre a lingue un ampio letto sassoso, per poi incunearsi uno uno stretto canyon, di cui dal sentiero si vede bene una larga ansa ad U. Il bosco primaverile è un esplosione di piccole gemme e tenere foglioline, con fiori multicolori che fanno capolino qua e là sul terreno e sui rami. Ma naturalmente il punto nodale di questo tratto è il panorama sul Castello della Pietra, che compare dopo un costone ed è ben visibile grazie ad una zona priva di alberi. Non ha le guglie né i merli, ed è anzi molto spartano ed essenziale, ma per la posizione sembra lo stesso un castello delle favole, abbarbicato su una roccia così insolita da sembrare irreale come antiche leggende orientali. Un ultimo impluvio e l'abbiamo raggiunto. Ce lo gustiamo e lo fotografiamo con calma da tutti gli angoli che riusciamo a raggiungere, di fronte, di sotto e di lato. La particolare roccia su cui è costruito si chiama conglomerato o puddinga. È formata da detriti fluviali o marini, dai ciottoli arrotondati alla sabbia fine, tenuta insieme da sali di varia natura che fungono da cemento (lo stesso principio del calcestruzzo, e infatti la prima volta che andai sul promontorio di Portofino mi chiedevo come mai usassero tanto cemento sui sentieri). Il conglomerato che si trova in questa zona e ha l'emergenza più caratteristica nelle rocche del Reopasso fa parte della stessa falda del promontorio di Portofino.
Scendiamo quindi alla strada, la seguiamo per un breve tratto per poi immetterci sul sentiero che ci farà superare il grosso del dislivello della giornata e ci porterà a Caprieto, dove ci fermeremo per il pranzo. Ci sono due alternative: un tracciato diretto, ma in parte ostruito da alberi caduti, e un giro più lungo nella valle del Rio Busti. Il popolo vota all'unanimità la salita secca, decisamente più CAI. Cominciamo allora a salire in un bosco selvaggio, invaso da liane ed edera. Qui l'economia agricola, fondata sullo sfruttamento dei boschi e di una magra pastorizia legata alla capra, come denunciano alcuni toponimi (Caprieto, appunto, o monte Cavrì), dev'essere collassata un bel po' di tempo fa e da allora tutto è stato abbandonato ed è ritornato allo stadio primordiale. Troviamo diversi alberi caduti che ci costringono ad un po' di ginnastica e qualche tratto carponi, in modo da poter muovere tutti i muscoli, per un'attività fisica completa. Praticamente continui sono quelli caduti tempo addietro e che sono stati tagliati.
Oggi faccio da scopa, per cui sono stimolato a salire con passo placido e osservare le mille forme dei tronchi, quale avvinghiato dall'edera, quale ormai morto e scavato dal tempo, quale modellato in forme sinuose dalla sua misteriosa storia. Ad un certo punto inizio a pensare che forse avremmo dovuto anticipare il pranzo, perché i discorsi del gruppo di fronte a me cadono sul cibo, vi ruotano attorno, lo vagliano, lo sezionano analiticamente e non vogliono saperne di smettere. Sta di fatto che alla fine arriviamo in vista di Caprieto. Percorriamo un traverso panoramico, da cui lo sguardo spazia sulla lunga dorsale che seguiremo al pomeriggio e su cui vorremmo fermarci a mangiare, ma la truppa preferisce andare ad una sorgente a Caprieto. È ormai l'una e mezza, meno male che abbiamo scelto la via breve o ci avrebbero scuoiati vivi.
Ci sparpagliamo così su un prato e diamo fondo alle provviste.
Dopo appena mezz'ora dall'arrivo, mentre alcuni se ne stanno spaparanzati a godersi il sole, altri mostrano segni di irrequietezza.
«Uffa quand'è che si riparte? Mica siamo qui per divertirci!»
«Addirittura mezz'ora di sosta! Cos'è, un pranzo di nozze?»
«Mio cugino m'ha detto che una volta uno dell'UET ha fatto una pausa di 45 minuti e gli sono cresciute le radici: sono dovuti venire con le vanghe e i picconi a liberarlo.»
Il moto browniano si coordina e parte del gruppo si avvia motu proprio. Allora anche il resto è costretto ad alzarsi e seguirli. Li ritroviamo all'imbocco del sentiero per il Bric delle Camere. Dopo una breve salita raggiungiamo la cresta della valle del Rio Busti e di qui in poi sarà un lungo saliscendi sullo spartiacque.
Il tracciato corre prevalentemente nel bosco, ma ogni tanto si apre qualche radura da cui si possono vedere i dolci crinali dell'Appennino perdersi all'orizzonte brumoso. Passiamo dal Bric delle Camere, che è poi un dosso poco più alto degli altri, assai panoramico, ma non ci fermiamo, perché abbiamo in serbo un'arma segreta: pian Largo e l'alpe di Casissa, il luogo perfetto per la pausa merenda, che nelle nostre gite è anche più sacra della pausa pranzo. Per raggiungerli basta proseguire lungo il sentiero finché, arrivati ad un castagneto con un sottobosco pulito, si va ai prati sulla sinistra e li si percorre fino a quando si trova il posto ideale per fermarsi. Il mio preferito è il pianoro dove c'è un alberello solitario.
Sono dei prati affacciati sulla valle percorsa oggi e sul Castello del Pietra, che visto di qui è piccolo laggiù in fondo. Lontano si vedono bene l'Antola, dove eravamo saliti qualche anno fa, e i monti che fanno da confine col piacentino. Oltre c'è la val Boreca, un posto bellissimo di boschi secolari e borgate perdute, dove mi piacerebbe organizzare una gita, se non fosse che è uno dei posti più scomodi da raggiungere tra quelli che conosco. Mi diletto a fotografare un alberello con le prime gemme che cresce solitario sul prato, di fronte ad orizzonti infiniti. Tra l'erba fanno capolino le prime orchidee, una bianca e una rossa, in anticipo sulla stagione per via del caldo insolito delle scorse settimane.
Mentre tento di rilassarmi un po' scherzando con gli amici, nel gruppo torna l'irrequietezza. Qualcuno chiude lo zaino, lo indossa e comincia a passeggiare nervosamente in su e in giù.
«Sono già le quattro e mezza, mancano appena quattro ore al tramonto»
«Il sole è ormai sceso a meno di 90° sull'orizzonte, siamo quasi nel crepuscolo inoltrato!»
«Non c'è una nuvola in cielo, potrebbe scoppiare un temporale estivo!»
«Che ne sarà del mio tè delle cinque?»
Così siamo nuovamente costretti a metterci in moto, senza la possibilità familiarizzare con calma con il Genius loci. Mi attardo a fare un'ultima foto per cui avevo bisogno che le persone se ne andassero e il gruppo ansioso mi chiama a squarciagola. Mesto lo raggiungo. Attraversiamo il bosco per riprendere il sentiero e ci dirigiamo verso il pilone dell'alpe di Casissa. Durante la ricognizione avevamo provato un sentiero che da qui scende con pendenza moderata, ma aveva il fondo parecchio dissestato e in un punto era pure franato. Decidiamo allora di rotolare giù per una traccia per prati ripidi e radi querceti, fino ad incrociare una sterrata che ci porterà a Marmassana.
È una borgata costruita su un morbido cocuzzolo erboso a picco sulla val Vobbia, con una chiesa proprio sulla sommità. Un posto davvero delizioso. Abbiamo appena il tempo di farvi una puntata e poi giù, verso Vobbietta. Attraversiamo l'ultimo bosco proprio mentre la luce comincia a farsi più calda e radente e la batteria della mia macchina fotografica decide di scaricarsi all'improvviso, impedendomi di cogliere il momento. Arriviamo al fondo dopo circa 7 ore di marcia al passo dei più lenti, direi mezz'ora in meno a quello dei i primi. A entrambi fumano i piedi.