Monte Cistella 2880 m

Valle Antigorio/Val Divedro

1-2 ottobre


In un baleno

Unica via di fuga è la Costetta. Una sottile lama di roccia tra due pareti verticali, scende ripidissima. Sono alla fin fine poche decine di metri, ma se non ci fosse il corrimano non so se la percorrerei. Al massimo strisciando ignominiosamente sul sedere e tremando come una foglia

Costetta
Costetta

Diario di viaggio

Il Cistella è una massiccia montagna posta tra la val Antigorio e la val Divedro (che sale al passo del Sempione). Dall'Alpe Devero è ben visibile la forma della sua sommità, un vasto altopiano a gradoni, su cui svettano l'appuntito Corno a sud-ovest, il Monte al centro e il massiccio Pizzo Diei a nord-est.
Qui viene descritto un anello da Foppiano che consente di raggiungere la cima principale e di percorrere il lato sud dell'altopiano. È anche possibile un altro anello, più frequentato: sale da San Domenico e scende all'alpe Ciamporino, costeggiando il Pizzo Diei. Questo però è meno appagante, perché in discesa si attraversano zone segnate dagli impianti da sci e la strada dall'alpe a San Doemnico è particolarmente noiosa. L'attrattiva maggiore della salita a queste tre cime è senz'altro l'attraversamento di questi altipiani, ma l'anello qui descritto non ha momenti di stanca: ogni passo ha la sua scoperta. La grande varietà di ambienti attraversati, di sentieri percorsi, di panorami vicini e lontani ne fa un'escursione spettacolare e varia. Molto lunga e faticosa: il secondo giorno si sale pancia a terra e poi si scende di 1700 metri, ma rare volte sono rimasto così emozionato da una gita.

Si parte da Foppiano, dall'albergo. Alla partenza non si trova acqua, per cui è bene procurarsela alla fontana di Viceno, accanto alla chiesa. Si punta verso il passo della Colmine, su un sentiero abbastanza ripido, per boschi a prevalenza di abeti rossi e bianchi. Non mancano però le latifoglie con i primi colori autunnali. Camminiamo puntando verso il sole, che illumina in controluce le foglie dorate. Vista la stagione, abbondano anche i funghi, ma ne vediamo solo di velenosi perché ancor più numerosi sono i fungaioli che hanno spazzolato tutti quelli commestibili.
Si attraversa un alpeggio abbandonato, l'Alpe Camplero. Nonostante la strada non arrivi qui, qualche baita è ristrutturata. Poco sopra incontriamo una persona che sta raccogliendo legna. A monte dell'alpe si trova un bivio: prendendo a destra, si punta diretti alla Buca del Lupo, accorciando parecchio il percorso ma perdendo al possibilità di fare una puntata all'alpe Genuina, che invece merita senz'altro una visita. La si raggiunge dal passo della Colmine per un sentiero lungo una cresta boscosa, ampia e ondulata. Nell'ultimo tratto si percorre una zona rocciosa, in cui gli abeti crescono nelle esigue cavità tra i massi.
L'alpe si trova su un pianoro in cresta, affacciato sulla val Divedro, un balcone naturale quasi a picco sul fondovalle. Un'ampia placca rocciosa è un comodo sedile naturale da cui godersi il panorama. Gli edifici sono grandi, quasi una casa, con le stalle al piano terra e la zona per le persone al primo.
All'alpe incontriamo due strani tizi, saliti da Crevoladossola, che discutono caoticamente di quale sentiero di discesa imboccare, consultando una cartina dell'epoca di Cadorna. Ci chiedono informazioni sul rifugio Crosta e sembrano decisi a puntare lì. Verso sera uno di loro telefonerà al rifugio, dicendo di aver perso l'altro e di voler chiamare il 118. Più tardi si ritroveranno e scenderanno a valle col buio.

Dall'alpe si ritorna alla Colmine, notando particolari che all'andata erano sfuggiti. Il sentiero prosegue verso la Buca del Lupo sull'ampia cresta, per poi precipitare improvviso sul passo.
Da qui si imbocca un esile sentiero che con un lungo traverso porta alla zona inferiore dell'alpe Solcio. Molto belli gli scorci sulla bassa val Divedro, che in questo pomeriggio caldissimo, quasi estivo ma senza nebbie, è immersa in una lieve foschia. Il pendio che si taglia è sempre ripidissimo, selvaggio e boscoso nel primo tratto, fitto di alpeggi e baite ristrutturate verso l'alpe Solcio. Incontriamo al pascolo gruppi asinelli, che da queste parti sono destinati a diventare salami.
Giunti nella parte bassa dell'alpe, ne risaliamo gli erti prati fino al rifugio. È posto lungo un costone che domina un vasto prato pianeggiante, dove la mattina troveremo un gruppo di pasciuti cavalli aveliniesi. Il prato si va a incuneare nello stretto vallone di Solcio, che sale ripido verso il Cistella. In cima c'è l'ardita piramide del Pizzo Boni. Quando arriviamo è ormai tardo pomeriggio, le ombre del sonno stanno avvolgendo lo stretto canalone, restano illuminati solo un lato del Pizzo e le cime dei larici. Il rifugio non viene raggiunto dalla luce del tramonto, che si gusta solo su una cima lontana di cui non so il nome.
La sera dividiamo il tavolo con una coppia di ragazze. Una ha due occhi celesti ipnotizzanti, ma purtroppo le sono seduto di fianco e mi li posso godere solo a sprazzi; all'altra con un certo successo cerco di fregare la cena. Il giorno dopo le vedremo a colazione e poi sulla vetta, già in discesa mentre noi la raggiungiamo. Fanno l'altro anello, per l'alpe Ciamporino. Dopo cena faccio un giro fuori. Nonostante l'illuminazione esterna, si riesce lo stesso a intravedere la Via Lattea.

Alle 7 del mattino, poco dopo la sveglia, i monti blu dell'oriente segnano il confine con un orizzonte arancio, che si eleva in un viola sottile. Mezz'ora dopo, un minuscolo lembo del Pizzo Boni si tinge d'arancio, e la vicina Scheggia di Marsasca con esso.
Partiamo alle 8. L'incavato vallone di Solcio è ancora addormentato nella fresca ombra, mentre lasciamo sotto di noi gli ultimi larici per le rocce e i radi prati dell'alta montagna. La salita si fa erta, non lascia tregua fino al colle. Il sole sorge dietro la Costetta e ci inonda di un insolito tepore ottobrino che non ci lascerà più fino a Gaiola, quando le ripide ombre della Costetta e della Testa dell'Orso ci avvolgeranno di nuovo, ma sull'altro versante. Il Pizzo Boni comincia una metamorfosi che cesserà solo al suo scomparire dietro l'orizzonte; ora non è più una guglia ma una possente parete triangolare.
Arriviamo al colle, senza nome, da cui si può fare una puntata alla vicina Cima di Valle (se la gita non sembra abbastanza lunga …). Dal colle si abbracciano il vicino Pizzo del Balzo, dal nome alquanto appropriato, e le lontano montagne dell'Alpe Veglia. Ci raggiunge un tizio atletico, seguito a breve distanza dalla compagna ansimante, che si scusa per aver impiegato più di un'ora e dieci nei 900 metri che ci separano dal Crosta.

Si risale quindi a est verso gli altipiani, su tracce per un terreno brullo. Sulla successiva pietraia conviene tralasciare gli ometti e seguire le tacche di vernice rossa, perché passano per un terreno più regolare. Il Pizzo Boni da qui svela una cima inaspettatamente piatta ed erbosa. Lontano fa capolino la bianca Est del Rosa, vicino il puntino bianco della cappella del Teggiolo.
Si arriva ad un bivio segnato sulla roccia: a destra si punta verso Foppiano e l'altopiano che si intravede, a sinistra verso la cima. Per gradoni e macereti si sbuca in un piano con affioramenti di marmo, sotto il centenario bivacco Leoni. È piccolo, ma ha tutto il necessario per passarci una notte, a parte l'acqua per cucinare e bere, che va portata da valle.
Ancora un breve sforzo per macereti e qualche gradone, dove una catena dà una mano, e si è in cima. È bella ampia, piatta, lunga e crepacciata. Il panorama è sconfinato: gli altipiani, la conca di Devero con il lago e il Grande Est in veste autunnale, i ghiacciai svizzeri, la val Antigorio, l'inconfondibile profilo del Pedum nella bruma, la val d'Ossola nella foschia, file di monti blu che non si possono contare. Perché andarsene? Non fa neanche freddo.
Torniamo al bivio e ci avviamo lungo gli altipiani. Crosa Lenz, nella guida della zona, scrive che ricordano il brullo Ladakh. Pietre chiare, stentata vegetazione ormai secca, vento pure in questo giorno di calma piatta. Affioramenti rocciosi bianchi, arancio e neri. Cos'hanno da mangiare la pecore che pascolavano poco sotto la cima e le capre viste stamattina vicino al Pizzo Diei? E soprattutto, che hanno da bere? Solo la rugiada del mattino.
Tento qualche foto. È l'una c'è ombra solo sotto i sassi, ma i colori e i panorami sono tali che non ce n'è bisogno. Matura in me il sogno di tornare a dormire qui per riprenderli nella luce del mattino e della sera. Chissà se lo farò mai.
Scendiamo tra le rocce per una serie di gradoni, l'ultimo finalmente erboso.

Oltre c'è il vuoto, un salto verticale di centinaia di metri. Unica via di fuga è la Costetta. Una sottile lama di roccia tra due pareti verticali, scende ripidissima. Sono alla fin fine poche decine di metri, ma se non ci fosse il corrimano non so se la percorrerei. Al massimo strisciando ignominiosamente sul sedere e tremando come una foglia.
Dopo non spiana, anzi. Si va giù a rotta di collo, avanzando su buon sentiero al margine del precipizio, spesso col vuoto sotto, perché il terreno verso la val Divedro è strapiombante. Dal lato 'dolce', verso Foppiano, c'è solo un prato ripidissimo. Venti minuti così e si arriva ad un colletto sotto un'impressionante parete, perfettamente verticale.
Qui si lascia la cresta e si rotola giù per il prato. La discesa non ha un minuto di tregua, in salita deve essere un'agonia. Povere ginocchia. Da sotto il Corno e i margini dell'altopiano circostante sembrano giganteschi becchi di uccelli. Siamo sul lato esposto a est, le pareti sono verticali o quasi. Così è inevitabile finire ben presto nell'ombra dei monti. In una giornata così calda fa piacere.

Dove compaiono i primi cespugli la discesa si fa meno ripida, anche se il fondo del sentiero è meno regolare. In vista dell'alpe Gaiola tracciato e ambiente cambiano radicalmente. L a discesa diventa regolare e si entra in un fitto boschi, prevalentemente di abeti bianchi e rossi. Molto rilassante. In questa zona incontriamo un fenomeno assai curioso: dentro il buco lasciato da un ramo caduto, in un larice secolare è cresciuto un piccolo frassino. Non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere; anche una mia amica, che fa la naturalista all'università e gira spesso per boschi, a cui ho mostrato di la foto mi ha detto la stessa cosa. All'alpe Gaiola troviamo la prima fonte d'acqua della giornata. Ne esce un filo esile, ci mettiamo con pazienza a riempire le borracce e le gole arse dal sole.
Si giunge quindi all'alpe Prepiana, dove si trovano le prime baite ristrutturate. Per prati intervallati da boschi si scende quindi a Voma, un alpeggio delizioso. È ormai l'ora del tramonto. Si gira attorno al pascolo e si scende dolcemente verso Foppiano. Mi è piaciuto molto questo finale dolce, un delicato commiato dalle emozioni forti della giornata.
Poco prima di arrivare all'auto, si scorge, sulla destra in alto, la Costetta: minuscola, lontanissima.

Galleria fotografica

Panorama da Foppiano
Panorama da Foppiano
Abetaia a Foppiano
Abetaia a Foppiano
Alpe Camplero: abbandono
Alpe Camplero: abbandono
Amanita muscaria
Amanita muscaria
Solcio
Solcio
Pizzo Boni e canalone di Solcio
Pizzo Boni e canalone di Solcio
Tramonto dal rifugio Crosta
Tramonto dal rifugio Crosta
Alba dal rifugio Crosta
Alba dal rifugio Crosta
Pizzo Boni e Monte Rosa
Pizzo Boni e Monte Rosa
Panorama ultravioletto
Panorama ultravioletto
Lago Devero
Lago Devero
Il Grande Est del Devero
Il Grande Est del Devero
Altopiano del Cistella: colori
Altopiano del Cistella: colori
Altopiano del Cistella: Wild West
Altopiano del Cistella: Wild West
Costetta
Costetta
Becchi d
Becchi d'aquila (o Yoda che urla)
Frassino dentro un larice
Frassino dentro un larice
Voma
Voma

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Sergio Chiappino

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