Val Fondillo
Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise
20 settembre
In un baleno
Immersione nel mondo delle foreste di faggio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise
Diario di viaggio
Immersione nel mondo delle foreste di faggio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con il loro ricco patrimonio naturalistico e archeologico.
Lasciamo l'auto nel parcheggio a pagamento all'imbocco della valle, non lontano da Opi, uno dei tanti paesi abruzzesi immortalati da Escher. L'addetto ci costringe a imbucarci nel fango, sebbene il piazzale sia vuoto ancora a metà mattina, per il giorno feriale del periodo scolastico. Sul posto ci sono un ristorante con area pic-nic, un museo dedicato alla foresta, dei capannoni in stile vintage con una ciminiera metallica, ovvero i resti della passata segheria che consentiva di attivare le risorse della foresta, fornendo sostentamento agli abitanti prima del turismo, e un maneggio.
Aggirando il museo, sentiamo una guida locale parlare in inglese con una turista che più avanti ci supererà su una MTB elettrica a noleggio. Imbocchiamo una strada inghiaiata chiusa al traffico, con l’eccezione dei residenti del comune, tra prati pianeggianti meticolosamente rasati dal pascolo dei cavalli che vedremo a breve, inframmezzati da cespugli sparsi. Si inoltra in una valle boscosa dai fianchi morbidi, tra cui si intravede un lieve accenno di tonalità autunnali. Sulla sinistra della strada scorre un rio bordeggiato da salici, con appena un velo d'acqua, nonostante le piogge quotidiane. Alle nostre spalle c’è invece la mole massiccia e nuda del monte Marsicano, la cima più elevata del Parco.
Superiamo dei nonni con nipotini e ci avviamo verso la zona più densa della foresta, dove saremo finalmente al riparo dal forte sole che splende nel cielo senza nuvole. Prima però passiamo sotto un ponte tibetano più grottesco del solito, in quanto va da un lato all'altro della strada e corre giusto due-tre metri sopra: si tratta di un numero circense per turisti non in grado di apprezzare la natura che la valle offre, pertanto bisognosi di un’attrazione edificata ad hoc, per visitare un luogo diverso dalla poltrona, dal momento che nella sua essenza è ritenuto privo di attrattiva. Dalle mie parti vanno forte pure le panchine giganti, che qui sono ancora sconosciute. Superiamo quindi degli operai intenti a costruire una massicciata di pietre.
La valle si stringe, ma il fondo resta a pendenza contenuta. Della faggeta mi colpiscono sopra ogni cosa i tronchi coperti di licheni e muschio, rari dalle mie parti per la minore piovosità. Scatto rare foto, rimandandole alla discesa, quando è previsto cielo coperto di cui intravediamo le avvisaglie, perché allora scompariranno i violenti contrasti del sottobosco.
Raggiungiamo un rifugio incustodito e chiuso a chiave in un radura, dove approfittiamo della fonte adiacente, perché abbiamo poca acqua e un litro di tè caldo, stante le previsioni per il pomeriggio, mentre finora abbiamo patito il caldo. Nei pressi c'è un rimboschimento ad abeti bianchi e rossi. Ci supera una Panda con a bordo un uomo, una donna e un neonato. In un paio di occasioni si fermerà, l'uomo scomparirà e ci supererà nuovamente, prima di arrestarsi dove il fondo diventa troppo accidentato.
A monte del rifugio la pendenza della strada aumenta e il fondo è eroso dall' acqua. Tralasciamo la deviazione alla grotta delle fate e raggiungiamo l'imbocco del sentiero diretto al Passaggio dell'Orso, mentre scende la e-ciclista facendo un fischio con i freni, che mi fa interrogare su quale diavolo di uccello lo emetta.
Qui la pendenza si impenna repentinamente. Attraversiamo una magnifica faggeta, con tanto di massi calcarei coperti di muschio. Gli alberi sono diradati e molti paiono avere pressappoco la medesima età, facendo pensare a un passato utilizzo ora cessato, come conferma la presenza di una piazzola dei carbonai. Mi pare anche che una fossa possa essere una buca da lupi. Su alcuni tronchi più grandi sono incise firme dei pellegrini che ad agosto percorrono questo sentiero diretti a un santuario laziale, o magari edi pastori che attraverso questo passo portavano le greggi di pecore tra Pescasseroli e Candela. Il sottobosco è completamente assente. Lungo il sentiero si vedono i vecchi segnavia gialli e rossi: mi avevano spiegato che in origine in Abruzzo erano stati scelti questi colori per le rocce bianche, ma successivamente ci si uniformò alla segnaletica austroungarica del CAI. Ogni tanto questi indicano un percorso diverso dall' attuale, ad esempio all'attacco, dove corrono in un fosso.
Al colle, dove soffia una fresca brezza, mangiamo molto coperti. Nei pressi molti alberi sono stati abbattuti da qualche tempesta di vento: credo che qui siamo sul crinale appenninico e quindi siamo molto esposti. Il panorama è limitato a una cima erbosa, perché la valle laziale curva quasi immediatamente. Il cielo intanto si è coperto completamente, ma le nuvole restano alte contro i miei desideri, poiché anelerei a un po' di nebbia per aumentare la suggestione delle foto.
In discesa finalmente nutro la mia bulimia fotografica per questa magnifica faggeta di alberi imponenti, nelle sue infinite declinazioni e sfumature, tanto che credo di aver impiegato più tempo a scendere che a salire; inoltre apprezzo muschio e licheni, per me l'essenza di un bosco incantato, pur non avendo mai letto Tolkien.
La grotta delle fate, che raggiungiamo con una breve ma ripida deviazione, da fuori sembra una bocca, dentro è bassa e angusta. Nei pressi del rifugio udiamo bramiti di cervo provenire dal lato opposto della valle.
Quando siamo quasi alla meta una famiglia con due figli in età scolare, a neanche un chilometro dal parcheggio, già ci chiede quanto manca al torrente. Tra gente del posto a passeggio a piedi o in auto, ci supera un Galloper a cui sono legati due cavalli, con gli altri del branco accodati in libertà. Lei tenta di fare amicizia con un puledro, ma al tocco questi si divincola e nitrisce verso la mamma, che risponde.
Ceniamo nel ristorante caratteristico del paese in cui siamo in affitto, sotto le volte di una cantina o stalla che sia, con tanto di caminetto acceso. Stasera manca Mario, il suonatore di fisarmonica alimentato a Trebbiano, che l'altra sera, saputa la nostra provenienza sabauda, ci ha dedicato “Piemontesina bella”. Rinuncio alla selezione di salumi locali, perché c'è del cervo che sono venuto a sentirli bramire, ma in compenso stermino delle pecore sotto forma di arrosticini, che in una settimana di Abruzzo non ho mai visto, oltre a consumare una quantità industriale di porcini e tartufo con una pasta fresca.
Per approfondire
- S. Ardito, Sentieri nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Subiaco 2018
- F. Giudiceandrea - M Veldhuysen [a cura di], Escher, Milano 2023