Sentiero dei Giganti
Alpi Liguri
30 marzo
In un baleno
Il paesaggio in compenso è dantesco, o da sublime di Burke se preferite, di guglie gotiche e forre oscure. Al proposito, Quintino Sella, nella relazione della prima salita al Monviso, si rammaricava che il Sommo Poeta non avesse potuto trarre ispirazione che dalle «microscopiche accidentalità» degli Appennini, ma ambienti come questo mostrano chiaramente che non serve salire sopra il limite delle nevi perenni, per sperimentare i «sublimi orrori delle Alpi» (qui non siamo neanche a quota 1000).
Diario di viaggio
Dopo una settimana di vento, non c’è una nuvola in cielo, ma l’aria ora calma e la temperatura salita con uno sbalzo primaverile, hanno prodotto una foschia asciutta al tatto ma visivamente untuosa, che non ci ha permesso di vedere il mare, se non per deduzione cartesiana. Lungo l’Aurelia, il mare oleoso e caliginoso restituiva un’atmosfera da “Morte a Venezia”.
Partiamo da Vendone Capoluogo, curiosa frazione che consiste praticamente solo di municipio e parrocchiale. Un’indicazione per il Castell’Ermo ci indirizza su una strada, che ben presto diventa sterrata e si arrampica per una dorsale con una successione di tornanti. A uno di questi lasciamo un primo ampio sentiero che prosegue dritto in piano, quindi a un bivio successivo prendiamo a destra un sentiero sassoso che si inerpica lungo la dorsale per la massima pendenza, in un ambiente abbastanza spoglio di macchia a cisto e qualche pino (lungo la strada c’era del bosco termofilo, con sottobosco di eriche fiorite e profumo dolce nell'aria). Finalmente compare il segnavia dei due + rossi. Quasi giunti sul displuvio, ci congiungiamo a un sentiero che arriva dalla Colla di Curenna, seguendo le curve di livello; lo percorreremo al ritorno. Prendiamo invece verso nordest e seguendo varie tracce, senza percorso obbligato, puntiamo al colle tra il Monte Pendino e il Montenero, dove comincia il Sentiero dei Giganti, che aggira sul lato nord il Monte Pendino e il Monte Nero (da non confondere con il precedente quasi omonimo). Non vediamo cartelli, ma l’imbocco è evidente.
La prima parte si svolge su un sentiero ben marcato, che consentiva l’accesso a una fornace, dove il calcare era scaldato e si decomponeva in anidride carbonica e calce viva. Un cartello del comune informa che risale al 1850. Il sentiero prosegue ancora buono per un tratto, fino a delle caverne, dopodiché si fa più incerto e scompare del tutto nel primo tratto dell’erta risalita verso la colla di Curenna. Qui il fondo è anche pessimo, del terriiccio nudo e inconsistente. Immagino che in periodi normali, e non al culmine di una lunga siccità come ora, l'umidità del versante ombroso e del bosco lo renda sufficientemente sdrucciolevole. Per fortuna non ci sono passaggi pericolosi, dove si rischia di farsi molto male, ma in certi passaggi è un po’ una purga. Dove finisce il bosco, il sentiero torna più evidente e agevole, ma il grugno continua a raschiare il pendio. Il paesaggio calcareo di tutto il percorso in compenso è dantesco, o da sublime di Burke se preferite, di guglie gotiche e forre oscure. Al proposito, Quintino Sella, nella relazione della prima salita al Monviso, si rammaricava che il Sommo Poeta non avesse potuto trarre ispirazione che dalle «microscopiche accidentalità» degli Appennini, ma ambienti come questo mostrano chiaramente che non serve salire sopra il limite delle nevi perenni, per sperimentare i «sublimi orrori delle Alpi» (qui non siamo neanche a quota 1000). La luce radente, che filtra verticale su questo accidentato versante nord, modella le forme delle rupi e ne offre una percezione tridimensionale per mezzo dei chiaroscuri. Dai poggi panoramici in corrispondenza degli espluvi godiamo anche una bella vista sulla valle, con i suoi paesini medievali e i monti Alpe e Galero, che si spinge anche più lontano fino al Carmo e al mare di Ceriale. Non abbiamo visto animali, che magari sono scesi più in basso dove persiste un po' di umido, ma in un punto abbiamo fiutato un forte odore di capra.
Alla colla troviamo un varco aperto per le persone in una barriera fatta da corde sostenute da pali di legno. Serve a impedire che i bovini, che pascolano su questi monti, vadano a cacciarsi nei guai. Proseguiamo ancora in salita verso San Calocero, una semplice chiesetta in posizione assai panoramica. Alcune finestre lasciano intravedere l’interno, dipinto di bianco e arredato semplicemente con i banchi da preghiera. Una statua sull'altare preconciliare raffigura il santo in abito da legionario romano e con la palma del martirio in mano. Deduco che fosse uno dei martiri della Legione Tebea, un culto molto diffuso nelle Alpi Occidentali, che evidentemente si è spinto fin qui, quasi in riva al mare. Ci fermiamo a fare il pasto principale della giornata (avevamo fatto uno spuntino prima di imboccare il sentiero dei Giganti). Visto che sono quasi le 16, è sostanzialmente una merenda.
Dal precedente passaggio, ricordo di aver fatto una foto alla chiesetta da monte. Vado perciò a cercare il point de vue, seguendo il sentiero che sale al Castell’Ermo, e lo trovo quasi subito. Allora era gennaio e l'aria decisamente più limpida, tanto che si vedeva la Corsica, mentre oggi neanche si scorge la linea che delimita cielo e mare, inglobata nella foschia, che rende tutto un poltiglia informe. Quindi, visto che la doppia cima è a due passi, proseguo e la raggiungo in breve. Tocco prima il poggio più alto, da cui fotografo i picchi sottostanti e i dossi della valle, illuminati da una bella luce radente di tre quarti, poi mi infilo nella forra e raggiungo il cocuzzolo con la croce. Scendo e motivo altri due compagni a ripetere l’esperienza. Il quarto invece, che in settimana per un’urgenza in fabbrica ha fatto dei turni di dodici ore e ieri è uscito alle 22, resta impiombato per un’ora sul prato.
Torniamo quindi alla colla di Curenna e proseguiamo sul sentiero che rimane in quota, marcato dai due + rossi. Bordeggia gli impluvi e le dorsali che scendono dal Monte Nero e dal Bric Vendiano, attraversando dei pascoli arborati molto panoramici. Prima che il sole scompaia, facciamo la pausa della staffa per consumare le ultime cibarie (il mio litro e mezzo d’acqua è invece già finito a San Calocero). Arrivati al punto dove chiudiamo l’anello e ritroviamo il sentiero di salita, udiamo dei gracidii di rane, sopravvissute alla siccità in un abbeveratoio, per grazia ricevuta dalla legione al completo. Le previsioni lasciano sperare che finalmente pioverà di nuovo un po'. Senza storia torniamo alla macchina, poco dopo il calar del sole. Oggi non abbiamo visto nessuno per tutto il giorno.