La balconata del Gran Paradiso
Valsavaranche
Ferragosto
In un baleno
La mia attenzione è ben presto catturata da uno stranissimo masso di una roccia scistosa, in parte coperta da licheni arancioni. Il suo aspetto a fauci bitorzolute e deformi è talmente bizzarro e inconsueto che mi piacerebbe tanto avere un geologo con me a cui chiedere delucidazioni
Diario di viaggio
Escursione un po' insolita nell'andamento, in quanto si snoda per una successione di saliscendi in una stretta fascia altitudinale, anziché salire a una meta. Due sono i motivi di interesse preminenti: il primo è il fantastico panorama sulla catena del Gran Paradiso, dal Gran Nomenon alla Punta Fourà; il secondo è una mulattiera di caccia reale in quota, giunta a noi quasi del tutto preservata.
Il punto di partenza è il colle del Nivolet, con i suoi Piani dal grande valore naturalistico, che si ammirano dall'alto. Il punto di arrivo può essere la casa di caccia di Orvieille oppure, se non si vuol rendere il rientro troppo gravoso, il lago Djouan, su cui si specchia la Grivola.
Nei giorni festivi come oggi, l'accesso motorizzato al colle del Nivolet è limitato da una blanda regolamentazione, che sembra scritta giusto per scoraggiare chi vuole venire qui fare il picnic accanto all'auto. Forse però la sottovaluto, perché questi posti in cima alle valli rivestono un'attrazione irresistibile per chi va in montagna senza camminare. In effetti, prima di essa il colle diventava un'enorme parcheggio e quasi una Sangon beach d'altura. Scrive ad esempio un guardaparco sul suo diario, il giorno 1 agosto 1989: «Visto due comunemente detti “marocchini”, con tanto di tappeti in spalla, attraversare il piano del Nivolet tra i numerosi turisti». Alle 8, un'ora prima che scatti il divieto, non vi sono parcheggiati che una manciata di auto e camper. L'intenso traffico festivo della strada di accesso non ha impedito a numerose marmotte di colonizzare i prati sui margini della carreggiata. Mentre salgo, fuggono al mio arrivo, anche tagliandomi imprudentemente la strada.
La Grivola si riflette sul laghetto accanto al parcheggio, ma è quasi tutta in ombra e non invita a una foto. Proseguo lungo la carrozzabile e oltrepasso la sbarra che sancisce il divieto di proseguire oltre con i mezzi. Quando fu costruita, in contemporanea alle dighe del Serrù e dell'Agnel, nell'ultimo dopoguerra, l'idea era di farne un collegamento tra la valle Orco e la Valsavaranche, ma il tratto valdostano non fu mai completato, cosicché almeno i Piani del Nivolet non sono diventati un parcheggio Ikea. Accanto alla strada, ora sterrata, si ergono i tralicci del Superphénix, che trasportano in Italia l'energia prodotta in eccesso dalle centrali elettronucleari francesi, attraverso questa zona di parco nazionale. Varia rumenta elettrica, residuo dei lavori di manutenzione della linea, giace in ordinati mucchi disseminati qua e là a bordo strada. Nonostante il sole si sia già alzato sopra i monti che chiudono i piani ad est, l'aria frizzante del mattino mi consiglia di partire coperto. Proseguo lungamente per la sterrata, vedendo scorrere lentamente e abbassarsi sotto di me i piani. Dell'alpeggio non sono rimaste che le basi dei muri perimetrali: i vitelli da carne che oggi vi pascolano intorno non hanno bisogno di stalle o locali per cuocere il latte. Il torrente serpeggia a meandri al centro della piana. Il punto più fotogenico è nei pressi dell'attacco del sentiero 9, diretto al lago Djouan, che imbocco abbandonando finalmente la sterrata.
In un punto passa esattamente sotto un traliccio, poi finalmente la linea perde quota e scende verso i dossi montonati che delimitano la valle sospesa, a picco sopra i prati di Pont, questi sì trasformati in parcheggio Ikea dagli alpinisti che affollano i ghiacciai del Gran Paradiso. Il sentiero guadagna gradualmente quota e passa poco a valle del casotto dei guardaparco, costruito nei pressi di Plan Borgnoz. Più o meno da qui il gruppo del Gran Paradiso sbuca da dietro un dosso che lo celava e fino al colle Manteau mi accompagna in tutta la sua maestosità. Alla base delle cime coperte di ghiacciai, dove finiscono le morene di sfasciumi magri prati precipitano ripidi verso una valle profondamente incassata. Mi metto d'impegno e riesco ben presto a individuare la metallica struttura a semibotte del Vittorio Emanuele, affollata base per la normale del Gran Paradiso, oltre che per le numerose vette secondarie.
Passo da un piccolo pianoro, dove scorre un torrente sgorgato da un ghiacciaio che intravedo in alto. Una marmotta grassa scappa correndo sopra il ponticello di legno sul rio e sparendone al di sotto. Questa è la zona più ricca di marmotte del tragitto, che non è certo avaro. Anche sul mio versante la montagna precipita quasi verticale. Sotto di me ci sono degli alpeggi abbandonati con il tetto sfondato, abbarbicati su una modesta cengia oltre la quale c'è il precipizio. Superato un piano fangoso, la mulattiera mostra una bella fattura che mi accompagnerà fino al lago. Questo è un tratto molto panoramico, in cui compaiono anche il Gran Nomenon e lontano il Grand Combin, oltre la valle centrale e già in Svizzera. Alcuni passeriformi mi svolazzano intorno emettendo grida d'allarme. Un codirosso spazzacamino, forse più abituato alla presenza umana per via della sua migrazione invernale in pianura, è più spavaldo della media e mi scruta da vicino.
Oltrepassata una dorsale mi affaccio sul vallone de le Meyes, che termina qui in un ampio pianoro solcato da un cordone morenico vegetato. Il sentiero che scende al pianoro è invaso in un punto da qualche masso, che però non costringe a ginnastica yoga per superarlo. Un camoscio solitario, dal mantello dai colori vivaci, fugge alla mia comparsa. Supero un torrente su un ponte fatto di lose in pietra. L'acqua ha la tipica lattiginosità dovuta all'origine glaciale, senza che ne sia però visibile l'origine, forse un ghiacciaio nero coperto di detriti. A monte il vallone è chiuso delle punte Percia, che presentano le stratificazioni rosse e blu di calcescisti e ofioliti, che dal lago vedrò anche sulla Grivola. Decido di fare una pausa in questo bel posto. Tiro anche fuori il binocolo dallo zaino e osservo gli alpinisti lungo la normale del Gran Paradiso; siamo a metà mattina e staranno ormai scendendo. Un francese di un gruppo che sta andando dal rifugio Savoia, al Nivolet, a Eaux Rousses e che mi ha nel frattempo raggiunto, si stacca dai compagni viene a dare una sbirciatina anche lui.
La mulattiera prosegue disegnando un largo semicerchio tra i dossi e poi puntando al colle con una dolce salita a tornanti. La mia attenzione è ben presto catturata da uno stranissimo masso di una roccia scistosa, in parte coperta da licheni arancioni. Il suo aspetto a fauci bitorzolute e deformi è talmente bizzarro e inconsueto che mi piacerebbe tanto avere un geologo con me a cui chiedere delucidazioni. Mi imbatto in escrementi di camoscio e in uno di volpe. Il col Manteau è il miglior punto panoramico della gita, in cui si abbracciano con un solo sguardo tutte le cime della giornata, oltre al pianoro da cui provengo, con il suo laghetto finora invisibile.
L'altro versante è più pietroso. Nel primo tratto il sentiero disegna dei tornanti nel macereto, per poi attraversare una pietraia. Qui il tracciato originale è andato in parte perduto ed è stato sostituito con gradinate di pietre, solo in un punto rovinate. Metto in fuga due giovani stambecchi. Tornato sul prato, il sentiero prosegue in quota e con una curva ad ampio raggio raggiunge il lago Djouan. Sembra poco profondo e ha un bellissimo color azzurro cielo; quando non è increspato la Grivola vi si riflette. Dove mi fermo ci sono delle piante di genziana. Sulle sue sponde ci sono alcuni gitanti e molti vitelli, che a turno vi vanno fin dentro a bere.
Il lago può essere un buon punto di arrivo, perché la gita è già lunga così. Tuttavia come meta mi sono dato la bella casa di caccia di Orvieille, ora trasformata in residenza dei guardaparco. Voglio percorrere un tratto di questo vallone del Nampio, che ricordo come il più bello dell'Alta Via 2. Inoltre desidero una bella foto della parete nord del Gran Paradiso, che finora ho ammirato solo di sguincio. Ricordo che più a valle c'erano delle belle distese di Gentiana lutea e di Pulsatilla, che ora sarà nella fase di fruttificazione, che mi possono servire da primo piano.
Dopo aver pranzato ed essermi riposato, prendo perciò la via verso valle. Il palo con le indicazioni è stato abbattuto, probabilmente dalle mucche grattandosi. In senso opposto sale alla spicciolata non poca gente, tra cui anche famiglie con i bambini. Il primo che incrocio, che precede la madre di una ventina di metri, mi chiede teneramente quanto manca. A monte del lago il vallone ha la forma ad U di origine glaciale, mentre a valle è profondamente inciso dal torrente. Il sentiero resta molto più in alto di esso e taglia in traverso dei prati. Passo anche da una zona di terra verde acqua che non ricordavo. Entro nei prati occupati da grandi distese di Pulsatilla, che mi avevano impressionato l'anno scorso, oltrepasso una baita e un dosso e sono quindi nel prato ricoperto di Gentiana lutea, i cui fiori stanno seccando. Arrivo quindi all'alpeggio che fa da base per i pastori, da cui una larga mulattiera, in parte anche bordata di muretti a secco, con due tornanti scende a Orvieille. Un signore in evidente sovrappeso pedala senza pena su una bici, che a un'osservazione attenta si rivela elettrica.
Mi fermo alla fontana accanto alla staccionata, che delimita l'area privata dei guardaparco. Bevo e rabbocco la borraccia. Della risalita, oltre al caldo per il sole a picco, ricordo le tantissime cavallette. Noto che alcune sono decisamente più grandi della media, penso per dimorfismo sessuale, perché sul sentiero ne vedo una grande circondata da tante piccole, tra cui una che si sfrega ad essa, fianco contro fianco. Di solito quando veniamo in montagna tendiamo a considerare significativi solo gli incontri con i grandi mammiferi e gli uccelli, mentre anche gli invertebrati sono una parte importante dell'ecosistema e della biodiversità.
Al lago ci sono sia mucche che persone con i piedi a mollo. Mi fermo dieci minuti, per far scendere la temperatura corporea. Non ho mai sudato sul serio, per via di una brezza che mi accompagna dalla partenza e dell'aria secca, ma sono comunque accaldato, anche per via del sole, che non mi ha mai lasciato. Solo a Orvieille sono arrivato a sfiorare il bosco, pur tuttavia senza toccarlo. Pertanto, quando poco più avanti passo nella piccola ombra di un grande masso, per quei tre secondi di frescura mi sembra di rinascere. Nel tratto più rovinato ho qualche difficoltà a trovare la via, in un punto. Subito mi sembra di dover fare un tornante, che però finisce nel nulla, forse il resto della mulattiera originaria. Provo poi a seguire una specie di scalinata molto rovinata e precaria e lì trovo un ometto e poi di nuovo una freccia gialla, che mi conduce al sentiero di nuovo ben marcato.
Da qui in poi patisco questa risalita pomeridiana, cominciata 500 metri più in basso e ora più ripida. Incrocio due trentenni biondi e magri. L'uomo mi sprona con un «Almost there». Ringrazio e non verifico con l'altimetro, fidandomi di lui, ma scoprirò che è una pietosa menzogna, perché ho appena superato la metà meno ripida del dislivello dal lago al colle. Qui mi fermo a godermi la fresca brezza e il panorama. D'ora in poi non patirò più il caldo. Purtroppo la maggior parte delle cime attorno al Gran Paradiso è immediatamente fuori dalla mia carta della Valsavaranche, per cui posso traguardare solo il Ciarforon. Al colle, oltre a un paio di cartelli indicatori tradizionali, c'è una targhetta del Giroparco, una di quelle iniziative insensate costruite solo sulla carta e mai avviate sul terreno.
Scendo al pianoro, dove trovo lo stesso camoscio di stamattina, che si allontana senza agitarsi troppo. Vado sul lungo traverso diretto a Plan Borgnoz. Le ombre si stanno allungando e ben presto qui non ci sarà più il sole, come anche nel fondovalle. I ghiacciai delle cime sono in buona parte allo scoperto, perché la maggior parte della neve invernale si è già sciolta. Sono ridotti quasi tutti al solo circo, con un singolo lacerto di lingua ablativa in tutto il gruppo. Il paesaggio che li circonda è fatto di sfasciumi, che per me rendono poco attraente la salita di queste cime. Con il progredire del ritiro saranno sempre più estesi. Da questa prospettiva, riesco ad abbracciare i Piani del Nivolet nella loro interezza ed apprezzarne la vastità, che all'andata non coglievo in pieno, perlomeno non con una percezione immediata. Mi fermo a fotografare una pozza dove si riflette il Gran Paradiso, che a quest'ora è già illuminato da una bella luce serale.
Non salgo a Plan Borgnoz, temendo la stanchezza per il lungo tratto che ancora mi manca e il rientro in auto. Il pianoro è bellissimo, con il piccolo lago dove si riflettono le cime i ghiacci dal Gran Paradiso al Ciarforon. La sera in cui andai a fotografarlo, un enorme branco di stambecchi maschi si era radunato a pascolare e mi soffiava infastidito. Per fortuna eravamo in piano e non potevano scaricarmi pietre sulla testa, come avevano fatto un'altra sera al lago Leyta. Prima che il sole scompaia dietro i monti, indosso preventivamente uno strato in più e anche i guanti e il cappello di pile. Proseguo e ripasso tra i tralicci, senza resistere alla tentazione di fotografarne uno che oscura il Gran Paradiso. In questa zona ci sono parecchi massi di gneiss solcati dalle fessurazioni parallele, prodotte dal congelamento dell'acqua che filtra nelle crepe della roccia. Dove il sentiero confluisce sulla sterrata, una volpe si fa ammirare un po' prima di dileguarsi nella scarpata. Mi fermo per poterla guardare qualche attimo in più e per permettere di fare altrettanto anche a due escursionisti che stanno arrivano in direzione opposta. I due però, che hanno la faccia stanca, non la scorgono nemmeno.
Il rientro prosegue monotono fino all'auto. In Valsavaranche la giornata è stata soleggiata, mentre dalla valle Orco stanno risalendo nuvoloni che ne hanno nascosto la Grande Aiguille Rousse e la Basei e, al termine della gita, saranno arrivate ad avvolgere il Taou Blanc. Stavolta la Grivola è illuminata da una bella luce radente, ma il lago è increspato dal vento e non mostra il suo riflesso. Mi rifaccio a Ceresole, dove mi fermo per un caffè, perché la falce di luna è proprio sopra le Levanne e si fa fotografare insieme alla luce calda, che illumina le nuvole più alte.
Per approfondire
- P. Barillà - M. Blatto, Geologia e forme del paesaggio per escursionisti, Rimini 2007
- M. Martini - L. Zavatta, Alte Vie della Valle d'Aosta, Rimini 2009
- A. Segàla, Le ore della luna - I diari segreti dei guardiaparco del Gran Paradiso, Trento 1992
- M. Martini - L. Zavatta, Alte Vie della Valle d'Aosta, Rimini 2009