Giro del quadrato

Pasquetta 2020


In un baleno

Cronaca di 10 giri del mio tristo isolato, condensati in uno solo

© CNES/ Airbus, Maxar Technologies, Google
© CNES/ Airbus, Maxar Technologies, Google

Diario di viaggio

Lunghezza: 6,8 km
Dislivello: 140 m (se il GPS del cellulare è affidabile, il grafico mi lascia qualche dubbio)
Quota massima: 290 m
Quota minima: 250 m
Tempo: 1.15 h
Difficoltà: T
Partenza: casa mia
Esposizione: 25% NE, 25% NO, 25% SO, 25% SE
Ad anello: sì
Acqua sul percorso: fontanella irraggiungibile per coronavirus
Punti di appoggio: bar, ristoranti, pizzeria, birreria, kebab, sushi, area camper, bancomat, panetteria, macelleria, immobiliare, fioraio, parrucchiere uomo e donna, pompa di benzina, gas auto, tintoria, veterinario, dispenser latte crudo, centralina PM10, tappezziere, colonie feline, convento femminile, arredamenti, tabaccaio, meccanico, gommista, carrozziere, farmacia, Croce Rossa, ASL, chiesa, pompe funebri

Chiudo la porta di casa, attivo la traccia GPS e comincio a scendere le scale. Al piano di sotto, nonostante le due ciminiere non escano di casa da un po’ e si facciano portare la spesa dai figli, si sente sempre l’odore di fumo di sigaretta. Vista l’ora meridiana, nel cortile condominiale non c’è anima viva; a metà pomeriggio si popolerà di alcuni bambini, rigorosamente segregati e sorvegliati dai genitori. Nel palazzo di fronte al mio, detto “dei dirigenti” in quanto inizialmente costruito dalla FIAT per i suoi quadri direttivi, una famiglia sta pranzando a un tavolo, che occupa quasi tutto il balcone. Il papà ama correre e ha anche fanno il tedoforo alle Olimpiadi; non sono in questi giorni come si regoli. Costeggio un parcheggio. Quando era piccolo era sempre vuoto e ci giocavamo a calcio; ora è mezzo pieno, ma nei giorni feriali è sovrasaturo, da quando la facoltà di infermieristica si è insediata in un edificio, precedentemente industriale, all’inizio della via. La brezza sta strappando i petali da un albero del cortile della scuola elementare, che non so identificare: a malapena conosco i principali alberi di montagna, ma quelli di pianura mi sono quasi del tutto ignoti. I petali svolazzano e risaltano contro il grigio scuro della palestra; sono rigidi e crocchiano rotolando sull’asfalto, addensati in ondate caotiche, per i numerosi edifici che rendono la brezza turbolenta e vorticosa (da bambino provai a far volare un aquilone in un giorno di vento, ma mi accorsi che era impossibile a causa dei vortici e delle raffiche). Costeggio i giardini, chiusi da un nastro bianco e rosso, per l’ordinanza comunale che ne vieta l’accesso, come anche alle vie pedonali e ciclabili. Nonostante sia rispettata, l’erba non è cresciuta a causa della perdurante siccità: infatti negli ultimi cinque mesi non sono cadute che poche gocce.
Arrivo al primo angolo dell’isolato, in corrispondenza del campo di bocce del Centro Anziani, e odoro distintamente gli effluvi di una grigliata, nonostante il filtro della mascherina chirurgica. Questa lascia passare abbastanza aria e non impedisce di camminare a buon passo o salire le scale, a differenza di quella filtrante che devo usare ogni tanto al lavoro. La sorgente degli olezzi (non sono un grande amante di questa specialità) deve essere nelle villette della via adiacente, in quanto non la vedrò in questa che mi accingo a percorrere. Passo tra l’asilo, con i suoi giochi colorati sparsi tra l’’erba stavolta un po’ più alta, almeno a chiazze, e alcune casette basse con poco cortile, dove vedo delle famiglie gironzolare (un bambino tiene in mano un innaffiatoio). In un giro successivo vedrò delle persone parlarsi dalla finestra. Dall’ultima casa della via esce una signora con in bocca una sigaretta e al guinzaglio due cani bianchi così piccoli che insieme eguagliano a malapena il mio gatto. Non sembra avere intenzioni di fare lunghi giri, perché ha lasciato il portoncino spalancato.
Giungo al secondo angolo e svolto nella via che corre a fianco della tangenziale, che chiude lo sguardo in quanto sopraelevata. Accanto al terrapieno c’è un grosso piazzale con area camper e parcheggio TIR, che in passato era stata proposta come sede dell’ecocentro comunale, poi costruito in una zona meno residenziale, a fianco dell’atelier del creatore di Neve e Glitz, per l’opposizione degli abitanti. Da un lato della via ci sono delle piccole villette a un piano, con pratini e orti. Invece tra la via e la tangenziale ci sono dei campi di calcetto, dove una volta c’era il campo della squadra del quartiere, intitolata a uno dei giocatori del Grande Torino, morto nell’incidente aereo di Superga. Le numerose lucertole sui muretti fuggono al mio passaggio. Solo all’ultimo giro farò caso a un gattone tigrato, che sta dormendo sull’uscio di una casa. Su una facciata c’è un disegno a pennarello di un arcobaleno, firmato da scritture infantili. Sulla rete che delimita i campetti vedo due scoiattoli grigi che si inseguono correndo sull’apice. Negli anni scorsi si sono espansi dal vicino bosco di una residenza sabauda e oggi scorrazzano per i cortili e le strade, beneficiando dello scarso traffico delle vie secondarie. Intanto un vecchio corpulento in ciabatte occupa il marciapiede e sta chiacchierando attraverso il cancello con i vicini della casa all’angolo. Lo troverò per un paio di giri ancora. Loro invece sono seduti nel giardino a un tavolino. Il figlio in età scolare indossa una maglia della Juve e palleggia con un pallone. All’ultimo giro vedrò invece partire un ambulanza dalla sede della Croce Rossa e la udrò attivare le sirene una volta sul corso. Il mio meccanico mi ha detto che hanno sospeso ogni manutenzione e tagliando.
Aggiro il vecchio e faccio caso ai piccioni, che adoperano una cabina di trasformazione elettrica in disuso come nido, sfruttando un paio di vetri rotti. Giro l’angolo e passo accanto a un piccolo capannone dismesso, dove una volta c’era una ditta che lavorava la lamiera. Oltre gli edifici tra cui passo sono molto più alti, anche più di venti metri. Sono quasi tutti rivestiti di mattoni rossi, forse in omaggio all’originaria destinazione della zona, dove sorgevano appunto delle fornaci di mattoni, che hanno dato il nome alla frazione. Ai balconi sono appese bandiere italiane in ordine sparso. Non vedo né odo gente ai balconi: saranno tutti a tavola. Procedo sullo stretto marciapiede, sperando di non dover incrociare nessuno; per fortuna solo durante gli ultimi due giri le vie cominciano a popolarsi di qualche persona in tenuta sportiva e padroni di cani.
Arrivo all’ultima svolta, che mi porta nella via di casa. Qui c’era un piccolo supermercato ora chiuso, che nel corso degli anni ha visto cambiare spesso i conduttori, per la difficoltà di opporsi alla concorrenza degli ipermercati e dei discount, sempre più numerosi. Gli ultimi gestori provarono a cambiare più volte la catena di riferimento, salvo poi mollare quando il tuttofare morì, cozzando in moto contro una vacca. Adesso sono rimasti il nome di una catena altrimenti sconosciuta e bandiere italiane sulle insegne. All’ultimo giro mi precede di poco una persona che sta andando a prendere il figlio dai nonni, proprio nella mia scala. Rallento per non incrociarlo, e così arrivo alle scale mentre lui sta per entrare in casa. Non mi resta che salirle e sono di nuovo alla base. Il gatto mi stava aspettando per fare una puntata al vaso dell’erba gatta sul balcone; è talmente ansioso di raggiungerlo, che, quando gli apro la porta, si limita ad accennare il suo solito gesto di ringraziamento (una strusciatina inarcando la schiena), senza nemmeno sfiorarmi.

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© CNES/ Airbus, Maxar Technologies, Google
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Sergio Chiappino

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