Pizzo Proman 2099 m

Val Grande

15 settembre


In un baleno

Una cappella che domina la valle, alpeggi trasmutati in eremi, faggete, un'improvviso panorama. Un lungo avvicinamento, una salita fino al confine, una mulattiera di un'insensata opera militare, una discesa fino al buio della notte. Così è stata l'interminabile escursione al Pizzo Proman, massiccia e dirupata montagna sullo scosceso crinale tra la bassa Val d'Ossola e la Val Grande

Mulattiera Cadorna
Mulattiera Cadorna

Diario di viaggio

Una cappella che domina la valle, alpeggi trasmutati in eremi, faggete, un'improvviso panorama. Un lungo avvicinamento, una salita fino al confine, una mulattiera di un'insensata opera militare, una discesa fino al buio della notte.
Così è stata l'interminabile escursione al Pizzo Proman, massiccia e dirupata montagna sullo scosceso crinale tra la bassa Val d'Ossola e la Val Grande. Dalla statale si mostra erta e impervia, quindi si nasconde a lungo, per poi ricomparire dal lato opposto quando la si è quasi raggiunta, per svelare solo in cima gran parte del suo panorama.

Si lascia l'auto a Colloro, piccolo borgo poco sopra il fondovalle. All'inizio tocca seguire la strada asfaltata, che poco a monte, nei pressi di un bacino idrico, è chiusa al traffico veicolare, eccezzion fatta per i proprietari degli alpeggi che serve. Purtroppo si è in parte sovrapposta alla vecchia mulattiera, che è andata così perduta. Ne è rimasto un tratto giusto a valle dell'alpe Lut, che può essere così raggiunta dall'accesso migliore, quello dominato dal bianco oratorio affiancato dal suo acero. Attraversata l'alpe, si confluisce nuovamente sulla strada che verrà seguita fino al suo termine. Da qui si diparte la teleferica che serve l'alpe La Piana.
Come molti alpeggi ossolani, non è più caricato ma non è stato abbandonato. Le baite sono state ristrutturate conservando l'architettura originale, compresi i pesantissimi tetti in piode. Sono usati come eremi, rifugi dalla bassa, da parte di locali che qui trascorrono le giornate libere. I prati punteggiati di monumentali frassini sono rasati con diligenza svizzera. Qui è relativamente semplice perché c'è la teleferica, ma la stessa cura si ritrova anche in luoghi meno accessibili, come ad esempio l'alpe Motta, che si incontra più a monte. L'attaccamento alla tradizione è testimoniato anche da una fontana modellata a testa di basilisco, esiziale animale fantastico molto presente nel folklore locale.
A monte il sentiero si fa più ripido e sale tra i faggi. Più in alto due esemplari monumentali si susseguono a breve distanza. Udiamo uno strano verso, cupo, che si ripete a intervalli irregolari e si svela come il rumoroso corno di un bambino dell'alpe Stavelli, che squarcia la quiete del solitario vallone. Usciti dal bosco bisogna senz'altro voltarsi per ammirare l'ardita alpe Colla fare da altare per il Monte Rosa, che in questa limpida giornata si mostra in tutta la sua himalayana imponenza. Una secca serie di tornanti nel prato assolato porta all'alpe Colma, porta della Val Grande, dove un gregge di pecore bruca solitario.

Ci fermiamo a mangiare un boccone sul lato riparato dalla fredda brezza che soffia da nord. Una pecora cicciona si avvicina a noi, getta a terra le bacchette ordinatamente appoggiate al muro, e audace allunga la bocca verso i panini che teniamo in mano. Tentiamo di allontanarla gentilmente, ma invano. È un attimo e poi l'intero gregge le viene dietro e la imita. Recuperiamo gli zaini e ci rifugiamo nel recinto che circonda l'entrata del bivacco, avendo cura di scavalcarlo senza aprirlo. All'interno del bivacco, sotto le scritte quadrilingue che ne raccomandano la cura, un'aggiunta a penna trilingue (l'anonimo non parlava il francese) implora di non aprire mai il cancello, pena l'invasione pecoreccia con i lasciti di sterco e zecche.
Dal bivacco alla cima si segue una mulattiera della Linea Cadorna. Fu costruita all'inizio della Grande Guerra, quando si temeva un'invasione da nord, non ho mai capito bene se della Svizzera o della Germania via Svizzera. Dopo Caporetto fu abbandonata per sempre, senza essere stata nemmeno completata. Ebbe la principale utilità di aver risparmiato il fronte a coloro che furono impiegati per la sua costruzione.
Varcato un primo costone, si supera un ripido impluvio che precipita a valle. Alcuni tornanti molto rovinati, che lasciano a malapena vedere l'antica opera ingegneristica, fanno guadagnare quota e varcare un secondo costone, oltre cui è invasa dalla vegetazione e ridotta ad un'esile traccia, sempre molto evidente, ma che richiede accortezza nel posare i piedi per evitare di cadere in fallo. Migliora dopo un colletto che si affaccia sul ripidissimo versante ossolano. Più avanti si percorre un lungo traverso a picco sulla valle e su due laghetti che hanno eroicamente resistito alla siccità, fino ai piedi della vetta. La si risale ripidamente arrivando in fretta a godere di un immenso panorama sulle catene di monti che si perdono verso la Svizzera. La parete est del Rosa è incredibilmente ancora sgombra di nubi, anche se ormai immersa nelle brumose ombre blu del pomeriggio. Il nostro cronico tiratardismo ci sta facendo salire quando il sole sta già scendendo e le ombre modellano le montagne.
La vetta regala improvvisa il panorama verso i laghi, che fino ad allora erano rimasti nascosti. Un po' di bruma, per l'aria umida che sta arrivando dal mare, ne sbiadisce il blu delle giornate limpide. Dal libro di vetta arguiamo che ieri era il giorno giusto, ma queste giornate sono rare e possiamo ritenerci fortunati per quello che ci è toccato oggi. Restiamo in cima quanto possiamo, cercando di stimare il tempo che ci occorrerà per tornare alla strada prima che faccia buio. In me si fa strada il folle proposito di trascorrere una notte qui.

La discesa alla Colma si rivela più agevole della salita, anche se ne richiede quasi lo stesso tempo. All'ultima dorsale la troviamo già scaldata dalla luce dorata del tardo pomeriggio. La discesa prosegue senza tregua, incontro alle ombre della sera che procedono nel verso opposto. Quando arriviamo agli alpeggi la luce arancio non bacia che le cime e l'aria è già frizzante. Gli abitanti sono chiusi dentro alle fioca luce permessa dalle batterie caricate di giorno dai pannelli solari. All'alpe Lut abbiamo le frontali già accese. La chiesa è illuminata da due fari che la rendono visibile fin da giù. Sull'altro lato della valle, nero come le profondità di una grotta, fioche luci segnalano gli alpeggi abitati. Tornati sulla strada, procediamo in un ambiente sempre uguale, sperando invano di veder brillare gli occhi di qualche capriolo o anche solo di un gatto a caccia. Ormai tra le foglie si vedono molte stelle, quando sentiamo la frescura del bacino idrico che anticipa Colloro, dove il campanile batte le 9 al nostro arrivo.

Galleria fotografica

Premosello e Monte Massone
Premosello e Monte Massone
Oratorio dell
Oratorio dell'Alpe Lut
Oratorio dell
Oratorio dell'Alpe Lut
Faggio monumentale
Faggio monumentale
Faggio monumentale
Faggio monumentale
Alpe Colla e Monte Rosa
Alpe Colla e Monte Rosa
Fiume Toce
Fiume Toce
Panorama ossolano
Panorama ossolano
Panorama sui laghi
Panorama sui laghi
Mulattiera Cadorna
Mulattiera Cadorna
Alpe Colma
Alpe Colma
Monte Rosa
Monte Rosa
Alpe Colma
Alpe Colma
Alpe Stavelli
Alpe Stavelli
Le ombre della sera
Le ombre della sera
Alpe Lut di notte
Alpe Lut di notte

© 2008-2024
Sergio Chiappino

Licenza Creative Commons
Questo opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.