Gole del Sagittario e Scanno
Abruzzo
17 settembre
In un baleno
Giro a piedi tra paesi resi celebri da Escher, Giacomelli e Bresson
Diario di viaggio
Arriviamo ad Anversa degli Abruzzi per la stretta e tortuosa strada da Scanno lungo le gole, a ruota di un camion, che deve trattenere il respiro per stringersi, ogni volta che incrocia un veicolo. Desideriamo percorrerne il tratto subito a monte del paese, dove la strada corre appesa ai fianchi e consente l’esistenza di un sentiero lungo il rio, per poi salire al borgo arroccato di Castrovalva e tornare infine a valle per un’altra via.
Parcheggiamo l’automobile alla periferia del paese, in uno spiazzo lungo la via che scende dalla rotonda all’imbocco della galleria della circonvallazione, che consente di evitare l’abitato, quando si va dall’autostrada a Scanno. Scendiamo diretti alla nostra prima meta, ripromettendoci di visitare il paese al rientro. Una pedonale scalinata porta il nome delle gole, per cui provo a seguirla, sebbene la cartina OSM la indichi come cieca. Questa sbuca su un’altra via, da cui si diparte una cementata diretta al fondo dell’incisione valliva ai piedi del paese, fino a confluire sul sentiero che segue la base delle gole.
Questo è costellato di numerosi cartelli didattici, che illustrano la geologia dei vari ambienti attraversati, spiegando ad esempio dove individuare le faglie, causa dei terribili terremoti che colpiscono regolarmente queste montagne, oltre che la vegetazione che vi prospera: vi sono le piante che prediligono gli anfratti umidi, come il capelvenere, ma anche gli ecosistemi aridi dei ghiaioni che scendono dalle pareti soprastanti. Tutti questi sono in trasformazione, per via dell’abbandono delle pratiche agricole e pastorali: in una settimana di Abruzzo non vedremo nessuna pecora al di fuori di quelle che ci serviranno sotto forma di arrosticini, mentre alcuni cervi sono divenuti così confidenti da permetterci di ammirarli da pochi metri ai margini del paese e i lupi ululeranno dai coltivi dismessi. Immersi nella folta vegetazione arborea ed arbustiva, costeggiamo il limpido ruscello, tra pareti calcaree e massi ricoperti di muschio. Nonostante l’ecosistema umido, non vediamo alcuna salamandra, che deduco pertanto essere assente dall’Appennino, una grave mancanza che rende più meste le giornate bigie, in cui sulle Alpi escono ad allietare lo spirito, con il loro pacato ondeggiare e il loro bagaglio di leggende medievali.
Valicato il rio su un ponte di legno, un ripido sentiero si allontana dal torrente, su fondo in parte roccioso. In un punto mi accorgo che un tornante del sentiero storico è stato abbandonato in favore di un taglio più diretto. Raggiungiamo e seguiamo la strada per Castrovalva, subito a monte del punto in cui si distacca dalla statale, che abbiamo visto correre appesa ai ripidi fianchi sopra le gole. Il cielo, cupo sin dal mattino, prende a scaricare una pioggia sottile ma persistente, per cui indossiamo giacca e coprizaino. La strada offre un buon panorama sulla valle interamente coperta di boschi, salvo che per qualche parete e picco calcarei. A un tornante vediamo una grotta poco discosta, non indicata sulla guida, a cui si arrampica una vaga traccia non certo impervia, ma abbastanza scivolosa per la fanghiglia e il calcare bagnato, una delle rocce più saponetta che si possono incontrare in montagna. All’interno, stretto e alto, sono visibili delle stalattiti.
Più a monte ritroviamo il vecchio sentiero a tornanti regolari, le cui opere murarie sono ancora in eccellente stato, sebbene la folta vegetazione invasiva denunci la scarsa frequentazione. La strada invece con una galleria passa sul versante opposto dell’aguzza cresta pianeggiante verso cui ci stiamo dirigendo e su cui si allunga il paese. La raggiungiamo, tralasciamo una bretella diretta a una chiesetta con traliccio dei cellulari, per via della pioggia insistente, che ci motiva a trovare un riparo tra le case, dove mangiare i due frutti che abbiamo come pranzo accompagnati da tè caldo come corroborante. L’architettura di questi paesi non prevede tuttavia ricoveri di fortuna per i viandanti, dal momento che i balconi sono minimi e i tetti sostanzialmente non sporgono dai muri. Anche le chiese hanno una facciata piatta, senza alcun tipo di portico, come capita invece dalle mie parti nelle zone a clima piovoso.
Per nostra fortuna c’è il gazebo del locale omnibus, da alimentari a centro di socializzazione, dove possiamo accomodarci a far asciugare le coperture, in quanto è chiuso: infatti la stagione turistica è ormai terminata con la riapertura delle scuole, come annuncia un messaggio del sindaco appeso a un tabellone. Mentre noi pranziamo e gironzoliamo nei dintorni leggendo i cartelli, varia gente viene a recuperare l’auto parcheggiata nello spiazzo adiacente il locale per poi andarsene; un signore ci chiede invece se siamo diretti alla locanda. Quando stiamo per ripartire, a scroscio terminato, passa una coppia di escursionisti trentenni. Lei si ferma davanti alla piantina topografica del paese e si scatta un selfie con dita a V e trionfante entusiasmo affettato sulla faccia. Invano nei giorni successivi la cercherò compulsivamente su Instagram, TikTok e YouTube, senza contare che i miei appannati riflessi di cinquantenne non mi hanno consentito di catturare l’attimo con la fotocamera.
Proseguiamo lungo la strada di accesso, fino a raggiungere il tornante da cui il celebre litografo olandese Maurits Cornelis Escher trasse ispirazione per una sua opera. Egli è noto soprattutto per le sue visioni geometriche della maturità, che lo hanno reso una pop-star specialmente tra matematici e grafici. In età giovanile invece raffigurò molti paesaggi dal vero nell’Italia meridionale, fino a quando l’invasività del fascismo non gli consigliò di emigrare verso l’Europa Centrale. Là non apprezzava il paesaggio come in Italia, per cui si dedicò alle sue visioni interiori che lo hanno reso oggetto di culto, soprattutto post-mortem, come si conviene ai geni fuori dal tempo, da Friedrich a Vaughan. Peraltro pure qui, pur partendo da una scena dal vero, lavorò molto di fantasia per arrivare alla sua opera, come posso verificare puntando l’obiettivo e scartando l’inquadratura, nonostante un cielo buono quasi quanto il suo, seppur più intimista che epico. D’altronde non era certo un pittore di paesaggi tradizionali, avendo potuto conoscere a fondo le avanguardie come i futuristi durante il soggiorno romano.
Descriviamo un ampio semicerchio in lieve discesa, fino a raggiungere il versante opposto al paese, di cui godiamo di una buona vista d’insieme. Passata una boscaglia di ginestre, entriamo nel bosco, parecchio selvatico. In salita avevo fatto caso soprattutto agli ornielli, assenti sulle montagne delle mie parti, mentre ora ho meno tempo di prestare attenzione al paesaggio: comincia infatti una discesa nella fanghiglia argillosa, quella che appiccica uno zoccolo di melma sotto le suole e impedisce l’aderenza, costringendo noi poveri malcapitati a staccarlo periodicamente sfregandole contro la vegetazione oppure le pietre acuminate. Per lei è la prima esperienza di fango appenninico e confessa apertamente che avrebbe preferito arrivare vergine alla menopausa pedestre, nonostante sia adiuvata dai provvidenziali bastoncini ottenuti grazie ai punti del supermercato, mentre a me privo per protervia toccano in sorte delle perigliose derapate. Con spregio del pericolo mi arrampico persino su una lastra inclinata di scivoloso calcare, verso l'unico punto di vista su Anversa, spingendola a immaginarmi sfracellato nell'abisso fino a quando non la raggiungo nuovamente.
Oliveti abbandonati occupano i fianchi inferiori, alla cui base c'è un oasi WWF oggi deserta, con dediche a un’ecologista adolescente scomparsa nel 2020. Infango il rio immergendo gli scarponi nella corrente per sciacquarli quanto possibile, rimandando le rifiniture e i gambali dei calzoni al mattino successivo nella doccia. Per una via diversa rispetto al mattino ritorniamo ad Anversa, dove gironzoliamo tra vicoli, in cui ingressi ad arco decorati e cartelli vendesi si contendono lo spazio. Una palina descrive una chiesa sprangata come un intrico tropicale di stili, ripensamenti e rattoppi, lasciandomi con l'acquolina in bocca.
Prendiamo l'auto e ci dirigiamo a Scanno, con l'intenzione di visitarla e fermarci a cena nel ristorante della zona vecchia prenotato durante la camminata. Dopo una prima puntata si scatena un rovescio, costringendoci a riparare in auto. Quando il radar segnala che il grosso è alle spalle, esco per fotografare il paese con la pioggia, che per me tra le case ha la stessa funzione ambientale della nebbia nei boschi, ovvero quella di pietra filosofale per trasmutare in oro un ambiente che altrimenti avrei difficoltà e motivazione a fotografare. Sarà che con la pioggia la gente scompare: si rintana dentro le case e le automobili e dietro gli ombrelli e mi lascia con un paesaggio più astratto e inafferrabile, più in sintonia con la mia interiorità.
Invece lei resta in auto per ripararsi dallo zuppo che scende dalla testa e sale dai piedi e dal freddo autunnale. Passo pertanto in tabaccheria per prenderle dei cicles senza zucchero per confortarla, ricordandomi di chiamarli gomme da masticare e non con il nome in uso nella mia città e sconosciuto altrove.
Tra le architetture, simili a quelle di Anversa ma più sontuose e con meno inserti contemporanei, non manca un angolo Escher, opportunamente segnalato e preservato (il biondo nordico fu intrigato da un gruppo di scale). Sono però soprattutto i passanti a interessarmi. Per via dell'ora e della stagione i turisti sono rari e lasciano spazio agli adulti del posto intenti alle commissioni in compagnia dei figli, anche se sono quasi indistinguibili dai forestieri, a parte una famiglia di stranieri agghindati di colori vivaci: infatti non indossano più i distintivi abiti tradizionali delle foto di Giacomelli e Bresson, di quanto il paese sfoggiava benessere per la pastorizia ovina e il relativo indotto. In occidente sono scomparsi i costumi locali e sono rimasti al massimo quelli tribali, come la divisa da escursionista spiantato che indosso io, formata da pantaloni rappezzati e marchi del discount dello sport. I residenti peraltro non prestano attenzione al curioso figuro fermo in mezzo alle strade senza ombrello e con un borsello rosso a tracolla: solo un gruppo di bambini si allarma all’apparizione della mia fotocamera, anche se i loro richiami alla nonna non mi faranno condividere la sorte di Escher, che venne arrestato in quanto bislacco vagabondo.
Oltre a noi pedoni, quasi altrettante automobili si aggirano per le strade lastricate di porfido, risparmiando unicamente i posti dove è fisicamente impossibile l'accesso e costringendoci ad appiattirci contro i muri. Tuttavia le occupano generalmente solo per l'istante in cui transitano, e non in maniera pervasiva con il parcheggio diffuso e sovente irregolarmente strabordante, comune tanto nel mio quartiere periferico quanto nel paese in cui risiedo in questa vacanza.
Per via della bassa stagione, l'osteria a gestione familiare è ancora deserta al nostro arrivo di buon’ora e si riempirà solo parzialmente, con spazio anche per una coppia di tedeschi senza prenotazione, sebbene le recensioni agostane avvisassero invece di riservare il tavolo con giorni di anticipo per la ridotta capienza. La parte migliore della cena sono degli gnocchi di solo grano conditi con le foglie dei broccoli selvatici, naturalmente accompagnati dal Montepulciano, l'unico vino rosso abruzzese che si trova. A me pare parecchio saporito e lei conferma che fete molto peggio dei vini della nostra terra. Quando due lustri fa attraversai l'Abruzzo a piedi, il capogruppo originario di Pescara lo beveva allungato con la gassosa, perché ai tempi della sua gioventù era aspro e lo si temperava così. Come dessert prendo la pizza dolce abruzzese, ma ero stato tentato pure da pasta frolla ripiena di mosto d'uva (i mostaccioli di Scanno), che l'ultimo giorno di vacanza troverò confezionati e divorerò a casa.
Ci aspetta infine un rientro ai 30 all'ora nella nebbia notturna su un passo; speriamo tanto di incrociare un orso marsicano, ma ci imbattiamo unicamente in cervi, che però a questo punto quasi schifiamo, dopo averli visti bramire da una parte all’altra della strada ai margini di Civitella Alfedena, che immancabilmente fornì uno spunto per un quadro di Escher (Il ponte), dalla futurista prospettiva aerea.
Per approfondire
- S. Ardito, Sentieri nel Parco Nazionale d'Abruzzo, Subiaco 2018
- A. Crawford, Nella comunità, dove meno è più, Mario Giacomelli, La figura nera aspetta il bianco, Roma 2009
- F. Giudiceandrea - M Veldhuysen [a cura di], Escher, Milano 2023
- A. Crawford, Nella comunità, dove meno è più, Mario Giacomelli, La figura nera aspetta il bianco, Roma 2009