Sentiero Valerio Tassone
Valle Vermenagna
19 maggio
In un baleno
Decisamente più impressionante è il successivo Tetto Violetta, dove c'è un locale che è stato abitato fino a pochi anni fa, prima di essere abbandonato senza preavviso. All'interno c'è ancora tutto l'arredamento, in disordine per qualche probabile visita di ladri in cerca di reperti per l'antiquariato.
Diario di viaggio
Il sentiero Valerio Tassone è dedicato a un alpinista di Robilante, precipitato dalla cengia dell'Argentera il 18 agosto 2010, poco più che trentenne. Fu inaugurato il 25 giugno 2017, dopo un lavoro di ripulitura di vecchi sentieri e di creazione di tratti ex-novo, con una camminata a cui partecipò un centinaio di persone. Si snoda tra zone di bassa montagna attorno a Robilante, che in passato e in misura minore tutt'oggi erano estesamente coltivate a castagneto. Anche se in declino dal periodo napoleonico, dopo l'introduzione della patata e la diffusione del mal d'inchiostro, che colpiva i castagni da frutto ma lasciava incolumi i cedui, questa coltura ha rivestito un'importanza notevole nel cuneese, tanto che ancora nel 1930 fu organizzato in città un grande convegno per promuovere la coltura. Lungo il percorso si incontrano poi numerosi borghi rurali, localmente definiti “tetti”, spesso costituiti da appena una manciata di case; di sono raggiunti dal piste carrabili e in questo caso sono stati recuperati e adibiti ad abitazione, mentre quelli isolati sono in abbandono.
Seguendo le minute indicazioni di cuneotrekking, individuo l'attacco del sentiero, altrimenti nascosto in un vicolo tra le casette moderne della periferia di Robilante. Periferia che comincia a pochi metri dalla chiesa, perché il paese vecchio è davvero piccolo. Un cartello molto ottimista sostiene che mi ci vorranno al massimo 4 ore e mezza a completare il giro: pur la giustificazione di aver allungato con la mia variante, io ce ne metterò 7. Seguo una passeggiata, dove incontro un signore dalla pancia prominente insieme a una cagnolina minuscola, che abbaia furiosamente contro di me, nonostante i miei tentativi di approccio amichevole. «È una femmina, deve dire qualcosa a tutti», commenta il signore. Lascio quasi subito la passeggiata per un sentiero che sale nel bosco collinare. Il terreno è zuppo per la pioggia di ieri. Ancora stamattina questa zona era l'unica coperta di nuvole dell'arco alpino occidentale, ma grazie alla collaudata tattica di poltrire fino a tardi, sono arrivato quando si sono ormai dissolte, come preannunciato dalle previsioni meteorologiche. Al margine del sentiero c'è una piccola casetta in rovina, costruita con cemento e dipinta di rosa e azzurro; all'interno è vuota, ma di fronte all'ingresso è rimasta una sedia in metallo, dipinta a motivi geometrici stinti. Raggiungo un castagneto tenuto diradato, dove la traccia sembra costruita dagli ideatori di questo sentiero. Termina in una pista sterrata, che corre in piano sopra un prato dove sono svaccate delle mucche bianche e porta a Tetto Valla. È formato da una singola grande casa con roseto e porticato, sorvegliato da una cane legato che sembra ben disposto verso di me, anche se non mi fido a entrare nel suo territorio per curiosare fuori dalla casa. Accanto c'è un recinto elettrificato in cui sta pascolando una manciata di pecore. Nel fitto del bosco, scendo a un rio che scorre nascosto dalla vegetazione lussureggiante e a valle del ponticello forma una cascata alta qualche metro in una fenditura della roccia. Accompagnato dal canto deglu uccelli e dal fruscio del torrente, raggiungo Tetto Frega Sottano, dove ci sono edifici rurali cresciuti a tocchi, secondo lo stile contadino, con annesse radure, in via di invasione dalle felci. Poco oltre sorge naturalmente l'omonimo Soprano, dove invece c'è una grande casa con un forno e un grande terrazzo con rampicante. Dato che c'è anche una fontana, ne approfitto per cambiare l'acqua cittadina e mangiare un frutto. Al mio arrivo avevo messo in fuga varie lucertole, gli unici ma numerosi abitanti delle borgate che vedrò oggi.
Per castagneti, mi porto sul versante della valle principale, di cui vedo la circonvallazione e di cui odo il relativo traffico di camion diretti al colle di Tenda. Purtroppo il fruscio delle foglie tremolanti alla brezza non è sufficiente a coprirne il rumore. Attraverso quindi un bellissimo castgneto tenuto, con i grandi alberi lontani e i prati sfalciati, in parte in una conca e in parte su un ripido pendio. In mezzo ci sono due piccoli edifici, con tetto rifatto in lamiera, che dall'architettura mi sembrano essiccatoi per castagne, qui detti secaors, ora destinati a deposito di attrezzi. In genere erano a due piani, separati da un graticciato. Al piano terra erano accese le braci, mentre in alto stavano le castagne. Quello più fedelmente ricostruito che ho visto si trova nella foresta della Deiva, a Sassello. Il tetto ora è in lamiera, perché la paglia di segale non è più disponibile. Questa copertura, molto impiegata in queste valli prive di gneiss, era molto leggera e robusta e poteva durare trent'anni. Naturalmente l'essiccazione delle castagne serviva a conservarle, perché l'assenza di acqua non permette ai funghi e ai batteri di svilupparsi, senza contare che così si riducono i costi di trasporto: è un procedimento semplice ma efficace, ancora ampiamente impiegato dall'industria alimentare odierna per i prodotti che adoperiamo tutti i giorni. Sul sentiero vedo delle feci di colore scuro e forma allungata, che per forma e posizione, secondo la mia bibbia delle cagate dovrebbero essere di volpe. Finalmente, soprattutto grazie ai alcuni rii, i rumori della natura celano il brontolio del rollio degli pneumatici dei camion sulla statale.
Tra altri castagneti, oggi invasi dai vari rii secondari che la pioggia della notte ha fatto crescere e moltiplicare più dei discendenti di Adamo, raggiungo il Casot dla Puma. Da qui scorgo verso il fondo della valle una montagna coperta di neve e una vetta a torrione, che potrebbe essere le Rocce del Cros e vedrò meglio poco oltre, da un prato. Raggiungo anche un sentiero CAI proveniente da Tetto Lessibel.
Il prato sfuma in un altro bellissimo castagneto. Nel bosco incolto che segue, cominciano a comparire i faggi, alcuni dei quali sono a bordo sentiero e di dimensioni ragguardevoli. Arrivo a Tetto Adreit, che a dispetto del nome è nell'ombra più buia di una bosco fittissimo, oggi in rovina, ma dove era arrivata la corrente elettrica. Mi affaccio all'interno e ci vedo una cucina economica di dimensioni ridottissime. Decisamente più impressionante è il successivo Tetto Violetta, dove c'è un locale che è stato abitato fino a pochi anni fa, prima di essere abbandonato senza preavviso. All'interno c'è ancora tutto l'arredamento, in disordine per qualche probabile visita di ladri in cerca di reperti per l'antiquariato. Su una catasta davanti alla porta c'è un giornale del 2003, con Ciampi e Wojtyla nella falsa apertura e un litigio sull'immigrazione a corpo più grande. Ecco, che ancora non si sia riuscita a trovare una strategia per un fenomeno strutturale da trent'anni, ma sia ancora gestito come un’emergenza, è forse ancora più desolante della scomparsa degli ultimi montanari. Purtroppo la fine di questa persona non ha lasciato tracce nella stampa locale, anche se doveva essere nota in paese per la sua originalità, per cui non sappiamo se è morta o se è stata trasferita più o meno volontariamente a spegnersi in qualche ospizio. Uso il femminile per concordare con persona, ma per qualche ragione me lo raffiguro come un uomo vissuto sempre solo, gravato dal peso degli anni e la barba lunga. Più avanti c'è un piccolo prato in via di invasione, dove costui magari teneva qualche capra per la sussistenza. In una faggeta raggiungo un bivio, dove con un tornante prendo a destra e salgo nel bosco tra i canti degli uccelli.
Un prato anticipa le case di Tetto Rescasso, ristrutturate con semplicità. Qui mi fermo a pranzare, all'ombra di un fienile, perché il sole picchia, anche se non fa caldo. Gironzolo poi a scattare qualche foto alla rusticità. Nella frazione ci sono anche due dipinti, una Crocifissione di un pittore errante settecentesco e una Madonna con Bambino (che ha la faccia da adulto, come prima di Raffaello). In quest'ultimo san Maurizio, comandante della Legione Tebea, è raffigurato con un elmo a tre pennacchi su un cavallo grande la metà di lui. Tetto Rescasso gode di una bella vista sulla testata della valle che finora avevo visto a spizzichi e ora vedo nella sua interezza.
All'uscita della frazione, dopo un lavatoio, lascio la pista sterrata, che da qualche mese è interdetta al transito per lavori di sfruttamento forestale oggi sospesi, e imbocco un sentiero in salita, che passa per una faggeta ombrosa, tranne che nel tratto diradato soggetto ai lavori. Vedo infatti più sotto un trattore con un rimorchio carico di legna. Il sentiero risale, tagliando il pendio. Alcuni faggi sono franati e hanno ostruito il passaggio, per una bretella alternativa è stata ricavata. In corrispondenza di una dorsale, si apre una radura con gran vista sul cementificio sottostante e sull'alta valle, dotata di piccola panchina in legno per una contemplazione meno frettolosa. Poco più avanti arrivo a Pilone di Snive, ristrutturato di recente, da cui godo di una gran vista sul Bussaia, in cima al vallone di Roaschia, e le cime circostanti. Spesso i montanari marcarono i luoghi panoramici con segni della religiosità, a testimoniare il legame tra la loro cultura e la natura in cui erano immersi e che cercavano di addomesticare. Sul pilone sono raffigurate Santa Barbara, riconoscibile per la torre in cui il padre la imprigionò, e santa Lucia, con il piattino degli occhi in mano. La scelta di queste due figure potrebbe essere legata alla roccia silicea qui diffusa, da cui in passato si ricavavano le macine da mulino e ora serve come materia prima per le vetrerie, i circuiti elettronici e i pannelli solari. Santa Barbara protegge chi maneggia esplosivi, come i minatori, com'è noto, mentre santa Lucia era invocata perché la dura polvere, oltre ai polmoni con la silicosi, danneggiava anche la vista. Tuttavia queste sono solo ipotesi, perché questi piloni erano commissionati dai privati e non hanno perciò lasciato tracce scritte negli archivi parrocchiali sulle ragioni della loro costruzione. Snive era anche la frazione natale di Giorgio Bertaina aka Jòrs de 'Snive (1902-1976), un artista del legno che nelle sue opere raccontò la vita dei montanari. Oggi Robilante gli ha dedicato la carrareccia che unisce la sua frazione con il capoluogo, di cui sto percorrendo la variante alta, ed espone le sue opere in una mostra permanente in biblioteca.
Dopo una congrua pausa contemplativa, dal pilone risalgo al sentiero staccatosi dalla pista poco prima. Sale in un bosco di faggi, dove la presenza sporadica di qualche pianta eliofila come le betulle, fa pensare che in passato venisse ceduato. Raggiungo una radura pianeggiante, dove c'è il minuscolo Lago delle Piagge, un piccolo stagno. In direzione opposta arrivano due signore, che si rivelano essere indigene quando chiamano il laghetto baciass, un termine che significa vascone e da queste parti è usato per designare gli specchi d'acqua. Comincio a intravedere e a sentire il rumore monotono della grande cava di silice, di cui vedo le strutture futuribili. All'altro capo della radura quasi perdo il bivio, dove il sentiero sterza bruscamente verso destra e entra nel bosco, anziché seguire la pista più evidente diretta alle Piagge. Comincia qui una penosa arrampicata per una traccia a malapena evidente. Con buona visibilità e il supporto delle tacche, qui coadiuvate da qualche corridore rosso dipinto sui faggi, non la si perde, ma non si tratta di certo di un sentiero di montanari, quanto piuttosto di una traccia infame buona per escursionisti che hanno fretta. D'altronde il suo unico scopo è raggiungere un punto panoramico, per cui in caso di scarsa visibilità conviene seguire la appena citata pista, che in quota punta direttamente alle Piagge. Ad ogni modo, arrivo al punto panoramico, che si chiama Madonna della Luce, perché c'è una statua della Madonna illuminata e visibile da valle la notte. Tuttavia non la vedo, mentre non mi può sfuggire la panchina gigante. Si tratta di un tipo di installazione regalata inizialmente da un artista a un paese delle Langhe, che poi si è diffusa a macchia d'olio nei dintorni ed è risalita fin sulle Alpi. Una volta sul bus a Torino ascoltai una sessantenne che, per le imminenti vacanze estive, progettava di affittare un quad e farne il pellegrinaggio. Il panorama sulla pianura comunque è davvero eccezionale: non dubito che, nelle terse giornate autunnali, con il binocolo si possano distinguere le Grigne e magari anche il Bernina. Oggi, pur essendo molto limpido per la stagione, c'è quel minimo di foschia e di cumuli sui monti che limita lo sguardo alla sottostante pianura cuneese. In basso la verde valle è colonizzata dal grande cementificio, alimentato dalla combustione dei rifiuti, che sfrutta l'altra roccia della zona: la «calce carbonata bianca, tavolare, semi-trasparente di tessitura scistoide», per citare il Casalis, che ci aveva visto lungo, individuando la ricchezza di Roaschia, che sarebbe stata sfruttata a beneficio dello sviluppo urbano e viario del Novecento.
Per boschi e radure fiorite scendo quindi in fretta al colle dove c'è la deliziosa chiesetta delle Piagge, costruita ai bordi di un avvallamento prativo, che in questa stagione sta cominciando a fiorire. Nelle giornate festive è molto frequentato: l'anno scorso ci passai in periodo di esami scolastici e ci trovai delle signore che preparavano dei ragazzi africani all'esame di Terza Media, mentre altri si sfinivano giocando a pallone. Oggi ci ritrovo le due signore, a cui se n'è aggiunta una terza insieme a un cane magro di nome Scott, dal pelo nero e corto, che non potrebbe essere più felice. Dopo una pausa per sbocconcellare della frutta e dei biscotti, attraverso il prato diretto alla sua parte bassa, dove parte il sentiero diretto a Tetti Lessibel. In questa zona sono fiorite orchidee di due colori, viola e giallo. Anche se le foto dei fiori in genere non mi dicono nulla, per di più ignorando la luce secca inadatta ai soggetti, mi sdraio nel prato per fotografarne una manciata. Mi dimentico però di accarezzare con i polpastrelli la tenera erba appena spuntata, perdendo l'occasione di un contatto tattile con la primavera.
Ho deciso di non seguire il tracciato principale del sentiero, che attraversa una zona impervia, in parte attrezzato con catene, dove l'umido di oggi renderebbe tutto più difficoltoso e sgradevole. Ne imbocco invece una variante, con l'intenzione di lasciarla per andare a recuperare la via principale, sfruttando le mappe di openstreetmap del cellulare. Entrato nella faggeta, il sentiero prosegue in discesa molto incavato e a tratti un po' scivoloso, ma ne esco incolume o la sfango, come sarebbe più appropriato dire. Dove trovo le indicazioni per Tetto Fantino incrocio due ragazze in salita. Tralascio alcune scritte rosse su un faggio che indirizzano a Tetto Angelo Custode, dove mi riallaccerò al Valerio Tassone, perché sembrano mandare verso una zona dove la traccia non è ben definita; le ritroverò subito oltre Tetto Firens. Tralascio pure il primo bivio buono, secondo la mappa, perché l'altra volta di qui ci eravamo mezzi infrascati. Più avanti trovo un secondo bivio, verso una pista abbastanza larga e battuta, e decido di provarci. Mi andrà bene. Quasi subito, a una confluenza, la trovo ingombra di calcinacci, per bloccare i fuoristrada. Proseguo, in parte in piano in zone moderatamente fangose, in parte in discesa a tornanti per un castagneto dove i cinghiali hanno banchettato e dove intravedo forse le orecchie di una volpe, che fugge all'istante. Infine raggiungo Tetto Firens, dove trovo dei segnavia CAI di un percorso tra Tetto Angelo Custode e Tetto Lessibel, che potrebbe quindi anche essere raggiunto, per percorrere un tragitto interamente su sentieri segnati. Tetto Firens ha una bella architettura, che però non riesco a fotografare per il pessimo controluce. Una scritta su una casa ricorda che fu «rovinato dalla valanga» nel 1876 e «ristorato» nel 1908. Oggi sarebbe ben improbabile un disastro del genere: a parte il fatto che così in basso nevica sempre più di rado, ma soprattutto perché solo intorno al paese ci sono prati con qualche noce sparso, mentre poco più in là i pendii sono ricoperti da fitte faggete, quando invece allora doveva essere tutto più spoglio. Fu uno degli insediamenti stagionali in cui visse Giuseppe Vallauri (1896-1984), detto Nòto Sonador, suonatore e costruttore di fisarmoniche, per la musica occitana beninteso, cognato di Jors, altra gloria di Robilante, a cui oggi è dedicato un museo nel capoluogo. Bevo alla fontana e proseguo per una rilassante passeggiata nella faggeta rallegrata dai canti degli uccelli. Mi piacerebbe tanto imparare a distinguerli, ma non ho orecchio musicale e peno assai nell'associare i nomi dei brani strumentali al loro titolo, anche quando li ho sentiti mille volte: figuriamoci dei brevi suoni a decine di nomi.
Superato Tetto Centin, tra prati con giovani alberi arrivo a Tetto Angelo Custode, che la pista sfiora solo passando a valle; devo pertanto risalire il percorso pedonale per raggiungere le case, ristrutturate con aspetto moderno e gusto, con qualche riserva su quella videosorvegliata con i nani di Biancaneve dipinti sui muri. Un po' nascosta c'è anche una fontana a cui rabboccare la borraccia. In paese non ci sono abitanti; passano però due escursionisti, anche loro con un bellissimo cane. Mi fermo a fare merenda sul gradino di una casa e resto una buona mezz'ora a contemplare il pomeriggio e sentire il frinire delle cicale.
La strada sterrata di accesso scende lungamente tra castagneti tenuti e abbandonati, anche qui con essiccatoi rimaneggiati in tempi recenti. Nei pressi di una casa da cui proviene odore di stallatico, spunta tra gli alberi il cementificio, di cui arriva il meccanico ronzio. A Tetto Cicet Nuovo lascio la strada in corrispondenza di una casa contadina a tre colori, che rispecchiano tre ampliamenti successivi, in parte ancora da terminare. Dall'uscio mi viene incontro un gattino tigrato rosso, che cerca coccole e ricambia con le fusa. Sentendo i miei versi di complimento, esce la padrona di casa, una vecchia, che se lo viene a riprendere prima che mi segua. Il marito invece se ne sta in disparte lavorando in una piccola serra di plastica, dove mi sembra di vedere delle zucchine. Il sentiero prosegue in quota inoltrandosi in un vallone dal fondo quasi piatto e dai fianchi ripidi. Sul fondo prativo stanno pascolando delle vacche. Quando lo raggiungo, mi faccio ingannare da un cartello di legno, che mi manda nell'erba alta. Tornato sul sentiero giusto, lo lascio poco dopo per inoltrami nella gola al cui fondo c'è una cascata. Non riesco però a raggiungerla, perché mi ferma un guado, dove dovrei avere fiducia di una roccia coperta di muschio. Il soldato Joker non crede alla Vergine Maria, io non credo all'aderenza: ogni volta che devo poggiare il piede su qualcosa di inclinato, mi blocco e non mi smuovo fino a quando non vedo qualcuno che ce la fa. Stavolta però sono da solo e non ho l'amica che c'era con me la prima volta che venni qui e mi fece da apripista. Tento poi di assolvermi osservando che stavolta il torrente è decisamente più copioso. La stretta gola in cui mi sono infilato ha il fascino del sublime. D'altronde l'orrido è un classico del paesaggio gotico (si pensi a Malombra). Sopra di me il cielo non è che un ritaglio irraggiungibile. Intorno non ho che pareti buie e vegetazione resa florida dall'umidità perpetua, cullata dalla brezza generata dal contrasto termico con l'esterno. La mia incapacità di proseguire oltre mi fa sentire ancora più piccolo e schiacciato dalla soverchia potenza della natura, che ha scavato questa meraviglia che mi avvinghia e sconfigge.
Tornato sui miei passi con le pive nel sacco, riprendo il sentiero nel bosco sull'altro versante del vallone. Poco più avanti incontro alcuni begli esemplari di aquilegia e sento un picchio battere. Superato un gruppo di casette, raggiungo Tetto Castò, dove sono in corso imponenti lavori di ristrutturazione. Il cane del muratore non mi trova simpatico. In discesa tra castagneti in abbandono, raggiungo la periferia di Robilante, che da qui si manifesta in tutta la sua mestizia.
Per approfondire
- P. Bang, Guida alle tracce degli animali, Bologna 1993
- G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino 1833-1856
- E. Dutto, Sentiero Valerio Tassone
- G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino 1833-1856