Moriani-I Penti
Castagniccia
3 giugno
Diario di viaggio
Che traffico! Che tanfo di benzina! La piazza di fronte al porto di Bastia si riempie già al mattino di auto, moto e bus, che riversano i loro scarichi nell'aria frizzante di una fredda primavera. E il traffico in uscita dalla cittadina sarà anche peggio, con tanto di ingorgo nella direzione opposta alla nostra. Piccole folle si accalcano all'unica fermata dove sostano tutti gli autobus. Finalmente giunge il nostro, su cui saliamo insieme ad altri zainuti e alcuni locali. Ben pochi di loro fanno il nostro trekking: la maggior parte, tra cui alcuni dall'aspetto bionico, sembra diretta a Conca per attaccare il GR20 sud. Solo una coppia di lingua tedesca scende insieme a noi a Moriani, apparentemente diretta verso la nostra stessa meta, anche se dopo un paio di giorni la perderemo di vista.
A Moriani Plage, piccola località balneare di brutte costruzione moderne, il traffico lungo la strada costiera che scende a sud non è da meno che a Bastia. Non ci viene nemmeno voglia di andare a vedere il mare e la spiaggia, ma ci infiliamo direttamente verso l'interno, dopo aver individuato le prime tacche arancioni, che ci segnaleranno il percorso fino all'altra costa, sul Mediterraneo.
Non appena si lascia la strada costiera, il miracolo: il traffico e il rumore scompaiono di botto e ci si trova soli in mezzo al silenzio, tra villette di vacanza ancora deserte.
Lasciata l'ultima casa, si cammina tra grandi castagni e lecci. Sulla costa picchiava un sole forte, mentre qui nuvole dense avvolgono i primi contrafforti che salgono verso i monti dell'interno. Una bella cagnetta nera si accoda a noi nei pressi di un maneggio. La cosa ci preoccupa un po', come sempre quando non dobbiamo tornare indietro per la stessa strada, ma per fortuna prima di Piedigrado ci lascerà spontaneamente. In breve si arriva alla chiesa di San Nicolao, che purtroppo è chiusa per restauri e quindi non è nemmeno avvicinabile. Attorno alla chiesa ci sono alcune tombe, ma la cosa che ci stupisce di più è che poco oltre si trovano molte altre tombe sparse per il bosco, lungo la mulattiera. La consunzione delle lapidi e la colonizzazione di erbacce e edera raccontano una storia di spopolamento, dove la famiglia si è estinta o gli eredi sono emigrati verso la città o il continente.
Si sale quindi attraverso un castagneto abbandonato. Questo paesaggio sarà assai comune per tutto il trekking. Il muschio è abbondante, segno che qui l'umidità è sempre alta, non solo oggi. Ne troveremo persino nella macchia mediterranea. Si entra nei borghi di Piedigrado e Castellana. I paesi hanno un aspetto arcaico: alcune vecchie foto li mostrano con i loro abitanti di oltre un secolo orsono. L'architettura non sembra mutata, se non per qualche insegna che si è consunta. Gli abitanti sono invece spariti: per le strade non c'è nessuno, nemmeno i vecchietti che chiacchierano sulle panchine; questa sarà una costante di molti paesi corsi. Da qui c'è anche una bella veduta su San Nicolao affacciata sul mare. Peccato per la giornata grigia, in cui il mare è appena discernibile dalla melassa: questo è un paesaggio da limpidi giorni di tramontana.
Più avanti incrociamo alcune mucche che vagano solitarie lungo una strada asfaltata deserta. Hanno un cartellino sull'orecchio, ma non vi è traccia di pastori e nemmeno di cani. Apparentemente sono libere di andare dove vogliono.
Pranziamo a Tribbiolu, al termine di una salita a tratti erta. Si scende quindi verso il torrente, lo si guada e si avanza poco sopra il fondovalle, in un ambiente verdissimo. Il cielo cupo brontola, ma qui cadono solo poche gocce innocue. Si passa accanto a diversi castagni imponenti. Alcuni sono delle sculture, vuoti dentro, scavati dai secoli fino a ricavarne delle forme astratte di grande maestosità. Vediamo anche numerose piante di digitale fiorite: l'erba è velenosissima, ma i fiori rosa a campanula sono stupendi.
Verso I Penti si attraversa un allevamento di maiali bradi. Vediamo il proprietario arrivare in pickup dall'altra parte del torrente e, senza scendere, scaricare del mangime dal retro, inseguito dai maiali famelici. In questo tratto il la mulattiera si perde un po', a causa dell'aratura prodotta dal grugno dei maiali alla ricerca della castagne. Bisogna mantenere la direzione e la quota, finché sentiero e tacche ricompaiono. Si va a incrociare il verdissimo torrente e a guadarlo, su rocce parecchio scivolose. Sull'altra riva si trova una sorgente ferruginosa, che lascia per terra una striscia rossastra. Nessuno ha avuto il coraggio di berla; in un cartello al paese leggeremo poi che il sapore è disgustoso.
Risalendo dal ruscello alle case, ritroviamo il paesaggio di tombe sparse, con le stesse storie da raccontare. Prima una tomba con le scritte consunte, poi una invasa dall'edera, quindi una ben tenuta accanto alle melanzane. E così via. Al posto tappa la gerant ci spiega che qui ognuno seppelliva i suoi morti nel proprio terreno; la ragione che ci dà è che non c'erano terreni comuni abbastanza grandi per ospitare cimiteri, ma il sospetto che in una terra senza legge, regolata da vendette reciproche, non si trovasse la pace neppure da morti non si fuga.
La gîte ha un aspetto molto spartano ed economico, così come la cena. Si trova proprio accanto al torrente (oltre che a un imponente castagno secolare), per cui la speranza di asciugare il bucato è vana.
La sera facciamo due passi per Penti e Forci. Nel primo troviamo solo un maiale, nel secondo finalmente un signore sul ballatoio di casa sua. L'aspetto dei paesi è identico a quelli visti di giorno. I castagneti lungo la strada, immersi nella nebbia, hanno un aspetto nordico. Nei paesi si trovano spesso fontane; a differenza di quanto capita in Italia, dove scrivono 'Acqua non potabile', qui non appendono cartelli minatori, ma espongono le analisi chimiche e batteriologiche nella bacheca della Casa Communa (municipio).
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Sergio Chiappino
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