Lago Santo Modenese-Passo delle Radici

Campi di Annibale

4 settembre


Vista sulle Alpi Apuane
Vista sulle Alpi Apuane

Diario di viaggio

Mi sveglio presto per il Giovo illuminato dalla luce rossa dell'alba. Ne vale la pena, anche se non si ha la macchina fotografica. Mi dispiace solo per l'airone che se ne stava a pescare; come al solito, con la mia sola presenza lo caccio verso una zona più tranquilla. Il padre del gestore mi aveva preannunciato lo spettacolo del doppio Monte Giovo, la montagna che si riflette sul lago placido. Purtroppo per riprenderla servirebbe molto più grandangolare di quello che ho.
Fino al Passo delle Radici è una tappa di modesto dislivello, fatta soprattutto di lunghi traversi, prevalentemente in ambiente aperto e assai panoramico, con le Alpi Apuane a farla da padrone.

Si parte da dove si è lasciato, dalla faggeta che circonda e avvolge il lago: alti tronchi chiari sorreggono una densa copertura, che ricopre tutto di fresca ombra e tiene il sottobosco pulito. Sullo sfondo il lago, verde per il riflesso della montagna boscosa. Segue un alternarsi di foresta e radure prative, fino ai Campi di Annibale, dove l'ambiente di fa più spoglio. È una zona di terreno smosso, di pochi alberi sparsi tra molti massi. Secondo la leggenda, ciò sarebbe dovuto agli elefanti di Annibale. Dopo pochi giorni dalla partenza, ho già perso il conto dei posti dove sarebbe passato Annibale, che evidentemente era venuto qui a fare trekking. Oggi c'è chi lo fa con cavalli o muli, ma il suo sangue reale richiedeva some adeguate alla sua grandezza. La vista di cui si gode da qui, verso le colline di coltivi del basso Appennino, è davvero maestosa; include pure la Pietra di Bismantova.
Si passa poi ai piedi della rocciosa bastionata occidentale del Giovo. Saliti a un colle, si passa sul solatio versante sud, dove incontro molte lucertole. Il sole picchia e loro se la godono. Dopo un breve passaggio esposto, si valica una dorsale, oltre cui lo sguardo si può spingere fino al mare e alla Apuane. Da questa distanza non sono bianche, ma delicatamente blu per la prospettiva aerea. Incontro un gruppetto di pensionati che, incuriositi dal mio zaino corposo e dal cavalletto appeso su un lato, mi interrogano sul mio viaggio.
Il sentiero taglia le pendici erbose della Cima dell'Omo. Dopo un tratto in discesa, si lascia il tracciato principale che prosegue verso valle, per una traccia che prosegue in discesa più moderata. In un impluvio trovo una provvidenziale sorgente, filiforme per la siccità, ma sufficiente a riempirmi un paio di bicchieri. Terminato il periplo attorno all'erbosa vetta, un breve salita porta ad un intaglio, dove incontro un signore di mezza età intento a contemplare il paesaggio. All'inizio faccio un po' di fatica a comunicare con lui, perché parla una specie di spagnolo, che probabilmente secondo lui è italiano, poi finalmente scopro che è olandese e stabilizzo la lingua sull'inglese. Scambio qualche parola con lui e gli indico il mare, che ancora non aveva notato. Mi chiede informazioni sul rifugio del Lago Santo e io, che non dimenticherò mai i mirtilli con la panna, gliene tesso le lodi. Sfogliando il libro del Battisti scoprirò che si chiama Pïet e vuole percorrere tutta la GEA, per proseguire fino a Roma.

imbarazzato dalla mia scarsa propensione alla socializzazione, lo lascio e proseguo su un tratto molto aereo lungo il filo di cresta. Più avanti incontro due trentenni. Il primo ha l'aria stralunata; il secondo sembra un po' perplesso, ma segue il primo ciecamente. Sono partiti stamattina e sono diretti all'Abetone: intendono quindi fare in un solo giorno il tragitto che io ho percorso in due. È mezzogiorno passato e sono a metà della prima tappa. Buona fortuna. Forse avrei avvertirli che l'ostello ora è chiuso per mancanza di prenotazioni.
Si sale poi verso la Cima di Romecchio, una sequenza di dolci dossi erbosi da cui si ha il primo colpo d'occhio su San Pellegrino. Nella discesa si attraversano alcune faggete di crinale, dove gli alberi sono contorti dal soffiare incessante del vento. Mi dispero per non riuscire a rendere in foto la scena, ma è troppo complessa e caotica per le mie abilità.
Dalla Bassa del Saltello si segue per un breve tratto una strada, che poi si lascia per un nuovo sentiero. A questo bivio trovo parcheggiata una Panda bianca. Mi fermo poco più avanti per pranzare e, durante la pausa, vedo passare il proprietario dell'auto, che tiene in mano un pettine gigante colmo di mirtilli.
Si alternano faggete a prati ingialliti, finché si prospetta la scelta tra una strada e il sentiero, che portano entrambi allo stesso posto. Seguo il secondo per un breve tratto, ma sembra seguire dei saliscendi estenuanti, cosicché calo sulla strada e lì proseguo. Non è neppure soleggiata come temevo.

Si arriva così a una cappelletta accanto a un grande mucchio di sassi. Secondo la tradizione non è dovuto allo spietramento, ma alla devozione verso San Pellegrino ed è chiamato Giro del Diavolo. Ricorda quando il diavolo, incapace di indurre in tentazione il santo, per la frustrazione gli diede uno schiaffo così forte da farlo girare su sé stesso per tre volte. I pellegrini che vogliono espiare un peccato devono trasportare una masso, di grandezza proporzionale alla colpa da espiare, lungo un percorso predefinito e poi gettarlo qui. Osservando le dimensioni di certi massi del mucchio, viene da chiedersi quanto fosse grande il senso di colpa instillato nelle persone. Chissà quanto deve essere grande il mio sasso, per espiare la scelta di aver preferito la strada al sentiero…
A questo punto, decido di lasciare la GEA, che prosegue in cresta, per fare una puntata a San Pellegrino in Alpe, il paese più alto dell'Appennino toscano. Anche perché spero di trovare un sostituto per il cappellino che ho smarrito il primo giorno, in modo da trovare un po' di protezione dal sole. Il borgo si rivela una parziale delusione, forse per le troppe auto e moto che lo attraversano e per l'atmosfera da turismo sciatto e ciabattone. Nel primo emporio mi metto alla ricerca del cappello in una vetrina di vestiario ammassato alla rinfusa. Scartati quelli di panno da donna e uno per bambini, ne trovo uno solo adatto, bianco e con la dicitura 'Lourdes'. Provo allora in un altro negozio, che ha ogni genere di vestiario con il marchio del posto, tranne i cappelli. Torno allora nel primo posto e, con aria mesta, acquisto l'unico capo adatto, che porterò in giro in questa terra dove pure i veronesi sono mangiapreti.

Da qui si prosegue in una strada nel bosco, che peggiora solo nel finale, dove si sbocca sulla pista da sci del passo e il sentiero s'impantana e si confonde.
L'albergo è arredato in stile antiquato, vende cartoline con gente in abiti anni ’80 che scia attorno allo skilift, ed è gestito da un gruppo di ottuagenari assai efficienti. Di solito nei trek cerco di non bere alcolici, ma al bar mi faccio tentare dalla birra fatta con il farro della Garfagnana. Davvero ottima. Incontro un locale appassionato di montagna e del cuneese in particolare. Mi rivela che le mie cartine possono essere totalmente inaffidabili nella tracciatura del sentiero. Per fortuna troverò sempre segnalazioni così ben fatte da non averne bisogno, ma effettivamente in Liguria mi è capitato che queste cartine segnalassero l'attacco di un sentiero a mezz'ora di distanza dal punto effettivo.
Anche stavolta sono l'unico cliente. Previdente, avevo telefonato già a luglio per prenotare, ma il proprietario mi aveva detto che era presto e di richiamare a fine agosto. Obiettivamente, non c'era tutta questa urgenza di accaparrarsi il posto.

Galleria fotografica

Lago Santo Modenese all
Lago Santo Modenese all'alba
La foresta attorno al lago
La foresta attorno al lago
Campi di Annibale
Campi di Annibale
Campi di Annibale
Campi di Annibale
Vista sulle Alpi Apuane
Vista sulle Alpi Apuane
Cima dell
Cima dell'Omo
Crinale verso San Pellegrino
Crinale verso San Pellegrino
Crinale verso il Prado e il Cusna
Crinale verso il Prado e il Cusna
Passo delle Radici
Passo delle Radici
Passo delle Radici
Passo delle Radici

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Sergio Chiappino

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