Monte Cusna e Prati di Sara
Costa delle Veline
6 settembre
Diario di viaggio
Questa tappa ad anello non fa parte della GEA, ma la consiglio senz'altro a chi passasse da queste parti, per la bellezza degli ambienti attraversati. Il motivo che mi ha spinto ad aggiungerla è un nome, Prati di Sara, la suggestione di una misteriosa donna che nel passato ricevette in dono un pascolo punteggiato di faggi secolari, posto su un cocuzzolo che si stacca dal versante occidentale del Cusna.
Per pigrizia al mattino me ne resto a dormire, anziché salire verso il Passone per riprendere l'aurora. Come sempre mi pento della mia indolenza, perché la luce che modella il Prado merita ancora dopo le 9, quando con molto comodo mi avvio dal rifugio. Il sentiero costeggia terreni marnosi erosi e brulli e si dirige verso la lunga schiena verde del Cusna. Quando la si raggiunge, si piega a ovest e la si risale restando sull'ampio culmine erboso. Il panorama si fa sempre più ampio e comprende le ormai familiari Apuane e la Pietra di Bismantova, che finalmente si staglia bene tra le dolci colline del basso Appennino. La pianura è invece invisibile, dissolta nella solita cappa caliginosa.
Dopo un aereo passaggio nei pressi del filo di cresta, in un punto in cui è più aguzza, si passa accanto ai ruderi di una seggiovia. Un neotopografo ci potrebbe trascorrere una settimana a fotografare. Una surreale panchina di fronte al precipizio è invece quanto attrae il mio obiettivo. Si oltrepassa un caratteristico torrione e si scende ad un colletto, dove il vandalismo ha danneggiato le paline.
Si vede di fronte la cresta che sale diretta per la cima, breve ma parecchio erta. Come sul Rondinaio, ripongo la fotocamera nello zaino per essere più agile e mi lancio. La traccia è esile e i bolli scoloriti, così ad un certo punto mi trovo nell'impasse tra due vie, entrambi possibili e incerte. La moneta lanciata in aria dice destra e mi trovo quasi ad arrampicare. Se non altro non è ripido né esposto, altrimenti sarei già rotolato all'indietro. Poi naturalmente vedo sbucare la traccia alla mia sinistra. Il resto è un tranquillo sentiero fino alla cima, solo senza poter prendere fiato.
In cima non mi posso neanche sedere, perché pecore e cavalli hanno rivestito il terreno dei loro escrementi. Mi raggiunge un simpatico signore, che ha l'aria di non sapere tanto bene dove si trova, pur essendo del luogo. Poco dopo si ricongiunge con lui il suo compagno di gita, un volontario del CAI che si occupa di segnare i sentieri della zona e mi sa fornire utili indicazioni. Mi parla della difficoltà di far venire i turisti su queste montagne, della seggiovia fallita alcuni anni fa a causa di ciò, del vandalismo legato ai rancori tra la gente di montagna (anche il libro di vetta è stato asportato).
Li lascio, perché ho ancora tanta strada da fare. I due si meravigliano del giro che ho in mente: evidentemente, l'usanza di salire e scendere sulle cime per la via più breve e diretta non è solo una tenace tradizione dei CAI della mia zona. Scendendo sul versante opposto a quello di salita, trovo nuove e più estese formazioni erosive, coloratissime. Incrocio due ragazze con due cani, l'ultimo incontro della giornata (marmotte escluse).
Per dossi prativi con vecchi segni di fuoristrada si arriva i Prati di Sara. Purtroppo la siccità estiva ha preteso il suo dazio: li trovo ormai con l'erba secca e con i laghetti prosciugati. I faggi sono meno secolari di come li avevo fantasticati, ma le loro forme contorte, le radici che solcano il terreno nudo sotto la chioma rivestono un fascino per me irresistibile. Peccato che non riesca a produrre che una foto decente, nonostante l'impegno e l'ora che concedo ai tentativi.
Dai margini del prato si stacca il sentiero che, girando attorno al Cusna, porta alla Costa delle Veline, lungo un antico percorso di transumanza. Che il tracciato abbia una storia lo si capisce sin dai primi passi: si cammina infatti a fianco di imponenti faggi secolari, che servivano a marcare il tracciato e a sostenerlo, limitando l'erosione.
Lungo il primo tratto trovo molti escrementi di cavallo, anche freschi, perché il sentiero conduce al letto roccioso torrente Lavacchiello, che in questo periodo secco è l'unica fonte di acqua in questa zona. Si risale quindi su traccia incerta per delle zone erose, che mi ricordano i calanchi delle Langhe, fino a intercettare un sentiero che arriva da più in alto e prosegue a mezza costa. Qui l'ambiente si fa affascinante, per via delle vaste zone di arenarie erose, dai colori variopinti, ma molto franose. Attraversarle richiede un po' di attenzione, specie ora che non ci sono più le greggi a tracciare il percorso dopo l'erosione dell'inverno.
Oltre questo ambiente si trova la Lama dei Cavalli, quasi un angolo di Alpi trasportato qui. Infatti poco dopo inizio a sentire i fischi delle marmotte, introdotte qui dalla forestale negli anni '70, che si sono ben adattate a queste praterie.
Passati sul versante sud, ben presto si entra nella Costa delle Veline, una sorta di piccolo altopiano ondulato che interrompe la ripida discesa del versante meridionale del Cusna. Il nome, che in origine era Velene, deriva probabilmente dalla presenza del veratro, una delle più micidiali piante che esistano dalle nostre parti, in grado di paralizzare il sistema nervoso se ingerita. Si attraversano molti dossi e molte conche, dove a inizio stagione si formano dei piccoli laghetti effimeri.
Intanto però le condizione meteo sono andate peggiorando. Dalla tarda mattinata si sono formati imponenti cumulonembi che hanno oscurato il cielo. Fin da subito ho scrutato quelli intorno a me per vedere se qualcuno passava dalla forma a cavolfiore a quella a incudine, segnale premonitore del temporale. Nessuno di quelli intorno a me sembrava minaccioso, ma ora sento dei tuoni provenire da est, oltre Lama Lite, dove non posso vedere. In questi spazi aperti sono l'unico oggetto che si eleva dal terreno, un perfetto parafulmine. Senza contare il cavalletto di alluminio che mi porto appresso…
Per fortuna la descrizione scaricata dal sito del parco annuncia la presenza di un ricovero di pastori più avanti. Allungo il passo e lo raggiungo prima del temporale. È un angusto igloo fatto di pietre, dove mi riesco a sistemare solo contorcendomi. Ha un sacco di aperture sulla copertura in pietra a secco e non ripara affatto dalla pioggia, ma è tutto quello che ho. Aspetto che il temporale oltrepassi la mia zona e poi mi rimetto in moto senza indugiare troppo, prima che abbia smesso di piovere, perché ne sento arrivare un altro da dietro il Cusna.
Il Passone, dove mi riallaccio al percorso del mattino, si rivela più vicino del previsto. Il nuovo temporale sembra volersi scaricare soprattutto sull'altro versante, senza valicare la montagna. Anzi, sopra l'Abetina Reale compare un timido arcobaleno e smette di piovere, anche se il cielo non si sgombra.
Trascorro il tardo pomeriggio nel tepore del rifugio, sorseggiando un tè, ma stavolta senza torta, memore della cena pantagruelica di ieri. Intanto fuori le nubi tornano, fino ad avvolgere il rifugio nella nebbia; ma alla fine il quietarsi serale delle termiche le dissolve. Il Cusna si tinge allora di arancio e poi di rosso.
Stavolta ceno con due neo-fidanzati del luogo, che stanno cominciando ad andare in montagna. Nel pomeriggio sono saliti dal versante nord del Cusna e sono stati investiti in pieno dal temporale che invece ha risparmiato me. Si sono rifugiati nel gabbiotto di cemento diroccato della seggiovia, una bella latrina romantica in cui abbracciarsi mentre fuori la nebbia buia brontola e scarica rovesci. Speriamo non si facciano scoraggiare.
Dopo mi godo la stellata di una notte senza luna, seduto davanti al rifugio con i lavoranti, giocando a distinguere gli aerei dai satelliti che solcano il cielo, ascoltando i primi bramiti della stagione.
Galleria fotografica
❮ ❯
© 2008-2024
Sergio Chiappino
Questo opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.