Passo di Pradarena-Passo del Cerreto
Monte la Nuda
8 settembre
Diario di viaggio
Il mattino, avviandomi, vedo i due mirtillai incontrati il giorno prima montare un banchetto colmo delle succose bacche rosse. Il cielo si è coperto e la temperatura è scesa parecchio, tanto che devo percorrere in pile il primo tratto pianeggiante. Una strada taglia una gradevole faggeta e conduce, con lievi saliscendi, fino al suo termine. Qui un sentiero si inerpica ripido per un pendio, fino a sbucare all'aperto poco sotto il crinale, dove pianeggia. Nel bosco mi sorpassano i due cavalieri visti la sera a cena. L'erta salita ha ormai ridotto il mio abbigliamento a una maglietta, mentre loro sono tutti intabarrati: mi fanno venire in mente i postini a cavallo morti di freddo durante la Piccola Era Glaciale, di cui ho letto nel libro che mi porto dietro per i momenti liberi. Ma, quando raggiungo il ventilato terreno aperto, devo coprirmi anch'io.
Le nuvole sono pochi metri sopra di me e vedo i cavalieri sparirvi, quando anziché seguire il sentiero in piano decidono di risalire la dorsale. Vi sono costretti da un salto di roccia, che a piedi non è un problema, ma per un cavallo è un ostacolo insormontabile. Aggirato il dosso, entro in una faggeta di crinale, dove gli alberi sono modellati dal vento incessante in un intrico contorto. I cavalieri intanto mi hanno nuovamente raggiunto e ci scambiamo qualche impressione su questa meraviglia.
Una serie di traversi in ambiente aperto offre dei bei panorami. A causa delle nubi, la vista è limitata alle montagne vicine, ma è già appagante. Riprende poi la salita, che condurrà alla Nuda. L'ambiente è alpino, con praterie alternate a pietraie. La cappa nuvolosa si avvicina sempre di più, a mano a mano che si sale, finché ci si finisce dentro, proprio in vista della cima. Il «Cardine in bellezza di questo tratto della GEA», secondo la guida, oggi è un cippo immerso nel ventoso e freddo grigiore.
Perciò tiro dritto senza fermarmi e proseguo per un'aerea cresta erbosa, dove incrocio escursionisti radi che stanno salendo in cima. Da un colle si piega in discesa su un ripido canale prativo, che il sentiero affronta per la via più breve. Incrocio due gruppi che salgono rassegnati a prendere un bel po' di freddo in cima.
Al bivacco Rosaro mi scaldo con una tisana e socializzo con una famiglia del posto, che fa oggi la sua prima gita in queste montagne, dopo essere andata per anni in Trentino. L'autista del bus che mi condurrà a Reggio Emilia, mi spiegherà che con l'autostrada è più rapido e comodo andare lì piuttosto che percorrere tutte le curve dell'Appennino per arrivare su queste montagne.
Il tempo si fa cupo. I boschi sono bui come al sopraggiungere della notte. L'ennesimo sentiero con piazzole dei carbonai scende tra affioramenti rocciosi disordinati, fino a una stradina, che porta a un gruppo di case e poi all'asfalto. Qui il paesaggio è rovinato. Prima una zona disboscata, poi un rumore grave come di motociclette annuncia una pala eolica sotto sequestro. Al passo mi spiegheranno che un privato aveva ottenuto i permessi dal comune, che però li aveva concessi illegalmente. Ora era tutto davanti ai giudici, con prospettive incerte.
Al passo trovo molti motociclisti. Il proprietario dell'albergo ha promosso le tortuose strade dell'Appennino tra i loro circoli e ora ne raccoglie i frutti. Ho anche la possibilità di consultare Internet. Le previsioni per i prossimi giorni sono poco incoraggianti: la prospettiva di dover affrontare zone che non conosco con la nebbia e la pioggia, la guida che annuncia sentieri poco segnalati, la prospettiva di una notte solitaria al Sarzana chiuso mi demotivano e mi spingono a rinunciare al proseguio del viaggio.
Faccio ancora due passi verso Pietratagliata, in un bosco delle streghe, fino a una zona cintata presidiata da un assopito maremmano. La mattina, al risveglio, la nebbia è così fitta che nemmeno si vede l'altro lato della strada. Peccato, ma tornerò.
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Sergio Chiappino
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