Castel di Tora-Orvinio
Monti Lucretili
1 giugno
Diario di viaggio
Questa è una delle tappe naturalisticamente più belle del cammino. Non solo per la parte sui monti Lucretili, ma anche per la parte in pianura: dopo Pozzaglia Sabina, infatti, si attraversa una pianura verdissima. Dalle mie parti sarebbe stata inesorabilmente villettizzata, mentre qui è preservata molto bene.
La sveglia suona alle 5.30, perché vogliamo evitare i temporali pomeridiani e anche il caldo, che già a metà mattina si manifesta con colate di sudore. La casa di Rita si trova già sul cammino e così ci è risparmiato un tratto della ripidissima salita che bisogna affrontare, oltre il ponte di Castel di Tora. È breve, saranno al massimo dieci minuti, ma ti lascia dietro al domanda di come se la cavino qui se nevica. In una luce bellissima e un'aria ancora per poco frizzante, percorriamo la sterrata che ci porterà in cima alla collina. Un paio di abbeveratoi sono l'unica fonte d'acqua fresca che troveremo fino a Pozzaglia. Sfioriamo un profumatissimo caprifoglio e altrettanto inebrianti ginestre. Tutto intorno è molto verde. Ci supera un vecchio in moto, che poco dopo vediamo ritornare giù; sarà andato a controllare le sue bestie, di cui vediamo le fatte per terra. E infatti, quando sbuchiamo su una radura, a bordo strada una mucca bianca bruca placida e si fa fotografare da ogni angolo senza battere ciglio. Poi è il turno di tre cavalli, anch'essi del tutto indifferenti al nostro passaggio. Mi domando cosa ne facciano di questi cavalli; di sicuro non sono da carne, perché uno è visibile anche in una foto della guida.
Non sono neanche le 8 e già Flavio non sopporta più i pantaloni lunghi. Se li cambia proprio di fronte al borgo di Ascrea, costruito allo sbocco di una gola tra i monti Navegna e Cervia. Peccato che tutta la scena sia troppo appiattita dal controluce per una foto. In pieno sole sono invece il lago del Turano e la valle sottostante immersa nella nebbia, con Rocca Sinibalda a svettare. Lontano riconosciamo il Terminillo. Finalmente otteniamo un po' di frescura da una faggeta, al cui imbocco il sentiero si perde un po' (ma basta seguire le tacche gialle). All'uscita costeggiamo dei rimboschimenti di pini e abeti rossi che nulla hanno a che vedere con la vegetazione autoctona. Anche dalle mie parti in passato sono stati fatti rimboschimenti con pini neri, in zone fuori del loro areale, col risultato che oggi sono piagati dalla processionaria. Inoltre questi boschi puri sono spesso poveri di biodiversità. In una zona di rovi il sentiero scompare, ma puntiamo verso la traccia, evidente più avanti, che bordeggia un dosso e ritroviamo le segnalazioni.
Qui facciamo una pausa con la banana che ci ha dato Rita, accompagnati dal canto del cuculo. Lungo tutto il cammino ne ho sentiti tantissimi, anche se solo ora mi sono ricordato di segnarmelo negli appunti.
Riguadagnata una sterrata, segue una breve risalita, molto panoramica su Pozzaglia, Orvinio e la conca verde che le separa. Minuscola in mezzo al bosco è anche individuabile Santa Maria del Piano. La discesa verso il paese è nei rimboschimenti, analoghi a quelli precedenti. Ci superano quattro fuoristrada mastodontici. In paese sentirò che ne sono attesi molti altri, per una manifestazione o qualcosa del genere. Fortuna che siamo partiti molto presto e abbiamo evitato l'orda. In questi giorni di ponte, mi sarei aspettato di vedere qualche escursionista a piedi, ma nisba; qua nessuno cammina. Solo al B&B di stasera vedremo due romani, che domani percorreranno un tratto della nostra tappa odierna, mentre sui sentieri sarà sempre la solitudine assoluta.
A Pozzaglia Sabina vediamo la mummia di Sant'Ulpia, esposta in occasione della festa patronale, e andiamo a farci fare il timbro dalle suore. Sono molto simpatiche e ciarliere. Una sembra quasi dimenticarsi della messa che sta per cominciare. Parliamo un po' del nostro cammino e di noi e loro ci sommergono di santini di suor Agostina, una loro consorella canonizzata da Giovanni Paolo II.
Dal paese scendiamo nella piana, quasi perdendo il bivio in discesa. La strada che percorriamo deve avere una storia assai lunga, a giudicare dalla lastricatura medievale. Si incontrano alcune costruzioni agricole molto modeste, a volte fatte con pezzi di recupero. A parte un po' di boschi, la piana è occupata soprattutto da grandi distese prative, oltre cui si cominciano a vedere i ruderi della chiesa. Dove la pista sterrata diventa un mare di fango, prendiamo la via asciutta per il prato. Un po' di fango ci tocca lo stesso, ma poi un guado di un torrente ci lava gli scarponi.
Siamo a Santa Maria del Piano. Era la chiesa di un'abbazia benedettina dell'XI secolo, anche se la leggenda la vuole fondata da Carlo Magno. Fu costruita con ampio riciclaggio di monumenti funerari romani, le cui iscrizioni sono visibili qua là sui muri. All'epoca era la normalità: anche per Santa Scolastica si saccheggiò a piene mani l'adiacente villa di Nerone. Andò in decadenza molto presto, per motivi economici, e fu abbandonata. In questo periodo sono in corso dei lavori di consolidamento ed è quasi tutta avvolta dalle impalcature. Gli operai ci lasciano andare in giro, ma si raccomandano di stare al largo: in effetti i muri gonfiati sono poco rassicuranti.
Dopo una pausa, riprendiamo a camminare sulla pista, che anche qui in un tratto è magnificamente lastricata, con arrotondate pietre calcaree di fiume. Poco dopo ci si presenta di fonte Orvinio, arroccata su un colle. Anche stavolta ci tocca un salita breve ma erta, sotto un sole cocente, per la mulattiera storica che conduceva in paese. Sbuchiamo nella zona vecchia e la attraversiamo tutta.
Arriviamo in tempo, prima della chiusura pomeridiana dei negozi. Flavio, che anche ieri non era riuscito a comprare nulla e oggi aveva di nuovo dovuto contare sulle mie riserve di frutta, riesce a farsi fare un mega panino con il pecorino abruzzese, che divora in un amen.
Mentre ce ne stiamo stravaccati su una panchina, ci viene a trovare Maurizio, amico del cammino, che ci ha subito riconosciuto come pellegrini dagli zaini. Ci accompagna al B&B, dove ci facciamo la doccia e ci facciamo un tè con la torta che Simonetta ci ha preparato. Flavio per la verità era dell'idea di proseguire ancora, ma i cumulonembi che si avvicinano la convincono a desistere, perché avrebbe senz'altro dovuto pernottare in tenda.
Prima di cena poi Maurizio ci accompagna per le chiese, dove c'è qualche quadro della gloria locale, il pittore Manenti. Ci parla anche dell'entusiasmo suo e Simonetta per il cammino, che li ha portati a dedicarsi anima e corpo all'impresa. Il tramonto col Velino illuminato dalla luce della sera è fantastico.
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Sergio Chiappino
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