Trevi nel Lazio-Collepardo
Monti Ernici
6 giugno
Diario di viaggio
Oggi un tappa che comincia con un percorso millenario e prosegue per dei bei borghi, ma con troppo asfalto in mezzo. Me la ricorderò soprattutto per gli incontri.
Mentre mi preparo, il proprietario dell'albergo mi fa vedere dove passa il percorso di oggi, tra i boschi dei monti di fronte alla struttura. Dall'albergo percorro la cementata del giorno precedente, stavolta con Trevi illuminata dal sole (ieri pomeriggio era in ombra). Superato il ponte sull'Aniene, imbocco una mulattiera a tratti lastricata, che lascia vedere nella fattura il lavoro degli antichi abitanti di questi monti. Salgo in un bosco di carpini; la loro ombra non è sufficiente ad attenuare il caldo afoso che già pesa alle otto e mezza.
Transito da Santa Maria della Portella, una cappella nata come ex-voto dopo una bella storia di ribellione ai soprusi di un padrone oppressivo. La storia è dipinta nei dettagli su una ceramica fissata al muro. Di qui proseguo in lieve discesa, in traverso sopra una valle molto verde. Sul fondo ci sono alcuni alpeggi, dove stanno falciando i prati. Ad un certo punto, lascio il sentiero che prosegue in quota, per una mulattiera che scende più ripidamente verso gli alpeggi, che costeggio, fino a raggiungere il fondovalle. Qui incontro un ruscello e una fonte, che ci voleva proprio. Riprendo a salire per piste erbose e terrose, a tratti molto dilavate dall'acqua. Ad un bivio, sbaglio nel valutare qual è la pista principale e imbocco quella sbagliata. Per fortuna, da Trevi alla strada asfaltata i segni CAI sono frequenti, per cui, quando mi accorgo che sono spariti, torno indietro fino al bivio, prendo l'altra pista e ne trovo subito uno, che al primo arrivo non avevo visto perché in ombra. Salgo tra alcune mucche al pascolo per uno strappo che mi sembra non finire mai. Dietro ogni dosso immagino il colle, dove dovrebbe esserci l'arco, ma ogni volta mi inganno e continuo a camminare senza arrivarci mai.
Finalmente lo raggiungo. La sua esatta funzione è dibattuta tra gli archeologi e questo aggiunge un velo di mistero a questa solitaria struttura che ha attraversato i millenni nella solitudine dei boschi. Probabilmente nei secoli scorsi, ai tempi della civiltà agricola, questa via era più frequentata, ma oggi sembra davvero di essere tra i resti come di un'Atlantide perduta nel nulla. Alla sua ombra mi concedo una pausa.
Un ultimo breve tratto di sterrata conduce alla strada asfaltata. Subito c'è sulla banchina una traccia delle bestie, che mi fa sperare di poter camminare sul morbido, ma dura sì e no un chilometro. Dove la strada prende a scendere, la banchina si restringe e la traccia scompare. Oggi è sabato e la strada di montagna è frequentata da diversi ciclisti, che mi salutano. Tra questi mi colpisce in particolare un vecchio con una barbona e una lussureggiante capigliatura rasta. Anche le moto non mancano. Grazie al consiglio dell'albergatore, al chilometro 44 scendo a bordo strada e trovo una fonte a cui rinfrescarmi e dissetarmi.
Arrivo a Guarcino, dove per prima cosa faccio un po' di spesa da un norcino e da un banco di frutta. Poi, dopo un giro tra i vicoli, mi fermo a pranzare in su una panchina in uno di essi adorno di piante in vaso, in compagnia dei rap di Fabri Fibra che provengono da una finestra aperta. Non mi fermo tantissimo, perché il cielo limpido del mattino viene a poco a poco conquistato dai cumulonembi. Le previsioni annunciano instabilità pomeridiana; nei giorni scorsi ho visto che fa un temporale debole all'inizio del pomeriggio e poi uno più intenso intorno alle 16 e io vorrei arrivare a Vico all'asciutto, per ripararmi lì dalla pioggia.
Mi fermo ancora in un bar per il caffè e per un amaretto locale, che ha più o meno lo stesso gusto di quelli delle mie parti ma è molto più pastoso. Mi regalano un opuscolo della Via Benedicti, un sentiero segnato dal CAI locale che parte da Subiaco e arriva a Montecassino; rispetto al cammino richiede più giorni e meno asfalto. Percorro tutta la strada che attraversa il paese, fino a scendervi alla base, dove imbocco una pista sterrata in salita, che attraversa un tipico ambiente mediterraneo di ulivi. Le quote si vanno abbassando e la vegetazione è parecchio cambiata, così come la temperatura aumentata. In questo momento poi, sono immerso nell'afa che precede il temporale: il sole è scomparso, il cielo si va scurendo dal lato dei monti e l'umidità è massima. Ben presto le mie braccia sono come due abbondanti fonti miracolose di sudore.
La strada spiana poco prima di Vico, la cui cinta muraria da qui è nascosta dalle case costruite all'esterno. Entro e gironzolo per i vicoletti. Mentre sto bevendo a una fontanella, mi nota un vecchio, che vuole offrirmi un bicchiere di vino. Declino, ma mi fermo a chiacchierare con lui, che mi invita a casa sua a bere un caffè. Il suo piccolo appartamento, in un'angusta casa medievale è nel caos più completo, con il pavimento ingombro di rifiuti e pile di stoviglie da lavare. Gli chiedo anche se posso dargli una mano a sistemarlo, ma lui mi dice che sta bene così. «Sono un tipo un po'&hellip» e la parola adeguata non gli viene. Mi prepara un caffè speciale, che apre apposta per me. «Caffè Trombetta, ce l'hanno alla stazione Termini». Durante il viaggio di ritorno, alla stazione lo cercherò, ma senza risultato: probabilmente è un ricordo di trent'anni fa. Mi trova un bicchiere meno incrostato della media e me lo versa. Il caffè non è il massimo. Poi mi accompagna a una torre lungo le mura, dove c'è una nicchia con la statua di san Domenico di Sora, il santo che in Ciociaria oscura pure Padre Pio. «Qui è più il Cammino di san Domenico che di san Benedetto» mi spiega. Sotto la nicchia vi sono un paio di concavità dove la devozione popolare ha riconosciuto le impronte del gomito e del braccio del santo. Con molta fantasia in più, è possibile riconoscere anche quella della mano. La statua è anche una meta delle partorienti: prima che si diffondessero le norme igieniche, il parto era un affare davvero rischioso, per cui non c'erano altri terapie che la preghiera.
Il vecchio poi se ne va e a me è rimasta la voglia di un caffè vero. Trovo un bar oltre la cinta muraria. Quando entro, la barista sta litigando con una vecchia. Ordino una fetta di torta e un caffè e mi sistemo fuori. La barista si siede accanto a me e mi chiede del mio viaggio e della mia città. Ripensando a quell'incontro, mi rendo conto che mi ricordo e ho preso appunti sulle parole dettemi dalla barista, ma non ricordo nulla di quello che ho detto io. E così anche per gli incontri precedenti e successivi. Forse ripetevo una specie di litania preregistrata o forse trovavo parole nuove per le solite domande che mi ponevano; in ogni caso mi sembra di averle raccontate senza ritenerle, perché la cosa importante per me erano le cose nuove che ogni persona mi raccontava, mentre quelle mie familiari mi sono scivolate sopra senza amalgamarsi all'esperienza del mio viaggio. «Vico mi piace», le dico. «Prova a viverce d'inverno». In effetti è un po' diverso che venirci in vacanza. Le città come la mia hanno tanti difetti, ma le opportunità non mancano: ogni giorno ci sono decine di eventi interessanti tra cui scegliere. Intanto contemplo il caffè, che mi è se ne sta addensato sul fondo di un minuscolo bicchierino di vetro, quasi solido. «Se vuoi bere l'acqua ce so' le fontane», mi spiega.
Intanto il temporale è svanito prima di materializzarsi e posso perciò ripartire. Saluto la gentile barista, carico lo zaino sulle spalle e vado a imboccare la strada per Collepardo. Supero una coppia a spasso col cane, che mi chiede del Cammino. Dopo un po' di salita, arrivo allo scollinamento, da dove parte anche un percorso pedonale che rimane un quota e scende a Collepardo passando dalla chiesa della SS Trinità. Vedo due motocrossisti infilarvisi, incuranti dei divieti. Preferisco proseguire per la strada, per vedere il Pozzo d'Antullo, un'enorme voragine carsica. Ho la doppia fortuna di trovare aperto il percorso di accesso (lo è solo il sabato e la domenica) e di entrarvi gratis in qualità di camminatore. Il diametro della voragine è davvero impressionante. Chiedo al guardiano se alla base vi sono delle aperture che danno accesso a dei cunicoli e lui mi spiega che il pozzo si è formato per il crollo della volta di una grotta, avvenuto in tempi preistorici, per cui il fondo è ingombro di detriti ed eventuali gallerie sono state colmate.
Proseguendo per la strada in discesa in breve sono a Collepardo. Il B&B è una casetta medievale. All'arrivo ce l'ho tutto per me, perché gli altri ospiti sono impegnati in un corso sulle erbe, di cui qui sono dei veri appassionati, come si capisce dai numerosi disegni a tema appesi sulle pareti. Il temporale intanto arriva mentre mi sto rilassando, ma è poca cosa: avrei anche potuto prenderlo senza danni.
Passeggiando per il paese, chiacchiero con un vecchietto con un po' di demenza senile, che da adulto è stato responsabile delle mense all'università La Sapienza e dopo la pensione è tornato al paese natio. La moglie mi invita alle Prime Comunioni della mattina seguente, ma io conto invece di partire il prima possibile per evitare il gran caldo. La sera cena tipica e pantagruelica in una trattoria e poi due passi, mentre i paesani si sono costruiti un maxischermo con un telone, per guadare la finale di coppa.
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Sergio Chiappino
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