Casamari-Arpino
Valle del Liri
8 giugno
Diario di viaggio
La tappa odierna, molto tranquilla e con un dislivello contenuto, si svolge nella valle del Liri, una zona molto antropizzata e anche molto industrializzata, specie nel passato recente.
Al mattino lodi in gregoriano alle 6. Stavolta niente posto d'onore in mezzo ai monaci, ma ascolto invece lo ieratico canto in un posto raccolto, quasi invisibile dal coro. Nella chiesa hanno lasciato l'infiorata del giorno precedente e hanno anche rimosso le panche che la transennavano. Durante questo viaggio ho scattato pochissime foto alle chiese e ai monasteri, perché ho preferito comprare le guide, dove ci sono tutte le foto necessarie e fatte bene. Ma qui non si può resistere, per cui, dopo le lodi, faccio un salto in camera, afferro la macchina fotografica e torno. A quest'ora del mattino, con le luci della chiesa ancora spente, la luce naturale è appena sufficiente per lo scatto a mano libera.
Parto alle 6.40, ma il fresco non durerà neanche fino a Isola del Liri. Ho anche la possibilità di bere un caffè al bar, che i cartelli davano aperto solo più tardi. Mi serve una vecchia rallentata. Nell'alta Italia, come la chiamano qui, le avrebbero già sparato in preda a una crisi di nervi. Quando ho letto la descrizione della variante, mi ha un po' inquietato la presenza incombente della superstrada, ma lungo il tragitto non sarà così invadente. Infatti, lasciata l'abbazia, attraverso una zona dorata dal grano maturo, seguita dal verde di prati e casette. In un cortile, accanto al recinto dei cavalli, troneggia una cabina telefonica rossa. Attraverso poi una zona più degradata a fianco della superstrada.
Giunto a Castelliri per strade di campagna, mi tocca seguire la provinciale in una zona suburbana, dove comunque c'è il marciapiede. Ad un certo punto, un cagnetto mi viene incontro e mi abbaia furiosamente. È vero, qui i pedoni sono un'anomalia, con lo zaino poi. Il padrone lo richiama rassegnato. È un signore barbuto, che nell'insegna del suo negozio o bottega o officina, o quello che è, si designa custode delle tradizioni agricole. Attorno all'entrata stazionano un carro in legno, vari attrezzi agricoli tradizionali e cartelli scritti fitti fitti che non leggo. Forse Flavio, appassionato di cultura contadina, si sarà fermato a ciacolare, ma per me potrebbe essere troppo traumatizzante. Pertanto tiro dritto per Isola del Liri, che è ormai a pochi passi.
Qui vado a vedere la cascata, che è deludente, perché la maggior parte dell'acqua è convogliata in un canale che la salta e una volta forniva energia a una fabbrica; nei dintorni se n'è conservata qualche attrezzatura idraulica. Provo a fare un giro per il centro, ma non ci vedo che auto parcheggiate fin sotto l'altare. Dopo una spartana colazione (a Casamari mi hanno dato il solo pernottamento), riprendo a camminare per un percorso pedonale cementato che corre nel bosco poco sopra il fiume, senza peraltro offrirvi accesso. In questo tratto si vedono diverse vecchie industrie dismesse, alcune delle quali mostrano un'architettura di un certo pregio. Il camminamento invece è sciatto: lungo tutto il tragitto, ci sono lampioni senza lampadine né bocce. Termina dove ci sono la captazione del canale che toglie acqua alla cascata e altri vecchi impianti dismessi. Segue la moderna e neotopografica fiera di Sora, aggirata la quale si arriva all'abbazia di San Domenico.
È il luogo più famoso associato al santo. È un complesso romanico, costruito accanto a una villa romana. Vado in chiesa, molto ombrosa, com'è tipico di questo stile, e poi parto alla ricerca di un monaco che mi timbri la credenziale. Quello che risponde al citofono vorrebbe farmi santo seduta stante, incredulo del mio andare a piedi. Oltre al timbro, mi dà anche un po' di materiale informativo sull'abbazia, che è anche basilica e parrocchia. Siamo poco oltre metà mattina, ma ho già fame, perché la colazione è stata parca. Medito se fermarmi nei prati accanto all'abbazia, ma poi rinuncio perché non c'è acqua.
Proseguo allora e mi trovo a costeggiare il fiume Fibreno, per una stradina tranquilla dove la gente del posto va in bici e corre. Oltre il fiume c'è uno stabilimento chimico, ma la zona resta comunque piacevole. Oltrepassato un passaggio a livello, trovo una panchina accanto a una fontanella e ne approfitto subito per fermarmi. Accanto a me ci sono due pescatori; uno di loro mi chiede informazioni sulla potabilità dell'acqua, senza notare che col mio look certo non sono del posto. Nella casetta oltre la strada, osservo una cagnetto che ha fatto prigioniera una clog rossa e la sta uccidendo correndo e scrollandola.
Proseguo ancora per un po' lungo il fiume, per poi imboccare una stradina che affronta la collina direttamente, senza sconti, per il pendio più ripido. Sulle montagne, intanto si è fatto scuro e si sente tuonare. Faccio caso a ogni possibile ricovero d'emergenza, ma intanto proseguo finché il temporale resta a distanza. Quando sono a Collecarino, il cielo è nero anche sopra di me ed è prudente cercare un riparo. Mi chiedo se in questa frazione isolata c'è un bar e scopro che la risposta è che oggi è chiuso. Torno allora all'ultimo posto riparato che ho visto, un arco all'ingresso di un cortile, mentre le prime gocce principiano a cadere. Mentre aspetto che il rovescio passi, arriva in auto un signore che dal baule scarica due agnelli legati per le zampe e li porta in un capanno nel cortile.
Dopo mezz'ora di pioggia, la precipitazione cala e riparto col coprizaino, nel dubbio che riprenda. Una panoramica strada in quota mi porta ad Arpino, proprio mentre si scatena un rovescio più intenso. Faccio appena in tempo a ripararmi sotto il tendone di un bar chiuso. Quando smette mi metto alla ricerca dell'albergo. Dopo la doccia faccio un giro per il paese, che è molto bello. L'impianto è medievale, ma sono conservate anche alcune vestigia romane (il paese è la patria di Cicerone e del generale Caio Mario). L'unico, solito, appunto, sono le automobili: per un viottolo angusto vedo salire un gigantesco BMW, che si incunea nella strettoia un centimentro alla volta e ne esce miracolosamente indenne. In questi borghi probabilmente fanno anche la Comunione in auto. La sera ceno da un cuoco che ha lavorato per i monaci di Casamari e mi prepara una pasta fatta in casa con i fagioli e gli asparagi selvatici.
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Sergio Chiappino
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