Hochmut-Hochganghaus
Val Venosta
13 luglio
Diario di viaggio
Scampati alle code dei tedeschi che sciamano da e per l'Adriatico, arriviamo a Merano sotto un cielo che si va coprendo. Ci lascia dubbiosi a chiederci se farà temporale, se è il caso di estrarre i coprizaini e le mantelle, se la pioggia rinfrescherà l'aria afosa del fondovalle, se ci lascerà almeno arrivare alla funivia o si scatenerà prima. Ciascuno risponde a suo modo e si colora di conseguenza. Saliamo a Tirolo nell'autobus affollato di escursionisti con zaini piccoli e di turisti tedeschi in sandali, poi raggiungiamo a piedi la funivia, che per salire aspetta solo noi, che le riempiamo la cabina più coi bagagli che con la nostra persona.
La corsa è panoramica sul castello di Tirolo, sui funghi di terra nascosti in una piega della montagna e sulla Val Venosta, oltre che sull'urbanizzata Merano. Arriviamo alla Hochmut, un nido d'aquila aggrappato ai ripidi fianchi della montagna, la cui cima è immersa nelle nebbie di un giorno afoso. Nell'aria sempre umida, ma almeno fresca per la quota guadagnata, ci avviamo per ripide scalinate. Il cielo resta plumbeo, ma non scaricherà che innocui scrosci e aspetterà commiserevole il nostro arrivo, prima di dare il la a una notte di pioggia. Oggi sarà l'unico giorno di tempo brutto: per il resto troveremo belle giornate di sole con modesti addensamenti diurni.
Il primo tratto di sentiero è un traverso aereo, su un pendio quasi verticale. Questi fianchi ripidi saranno una costante di quasi tutto il percorso. Attraversiamo poi ombrosi boschi di abete rosso, verdi anche di felci e di muschio e grondanti umidità. In certi tratti gli alberi crescono tra grossi massi. Questo ambiente ricorda i boschi dell'Ossola; d'altronde sono simili il clima continentale e le rocce coerenti che si fratturano a grossi blocchi. Oltre al verde incontriamo anche qualche fioritura, come dei gerani e un giglio martagone che cresce nei pressi di una cascata.
Immersi in un'umidità che non può aumentare nemmeno nei momenti di pioggia, perché l'aria ne è abbondantemente satura, percorriamo dei su e giù, ci addentriamo in impluvi e riemergiamo sulle dorsali.
Questo rilassante tragitto ci conduce al rifugio, ai margini di un prato che occupa un conoide di deiezione. L'ambiente è molto agreste, mentre la struttura rivestita in legno è moderna e funzionale. Si rivelerà anche il posto tappa alpino col servizio migliore in termini di confort e ricercatezza del cibo. Naturalmente siamo gli unici italiani. Ci dicono che ad agosto ne passa qualcuno in più, ma in questo viaggio ne troveremo a mala pena qualcuno che fa la passeggiata in giornata fino al maso. In quasi tutti i posti tappa è quasi tutto scritto in tedesco, dalle riviste a disposizione degli ospiti ai cartelli che illustrano le norme da seguire nel soggiorno. Cominciamo a familiarizzare con le facce di quelli che ritroveremo nei posti tappa successivi. Non sono pochi quelli che percorrono questo trek.
La sera i tedeschi si ritirano nella sala Tv, a guardare in religioso silenzio la finale dei Mondiali brasiliani di calcio. Noi invece restiamo a socializzare coi due giovani padroni. Parlano un po' a fatica l'italiano, come una lingua imparata a scuola, ma ci raccontano volentieri la loro passione per la montagna e gli animali. Lei va a cavallo, entrambi sono scialpinisti. Anzi, tutti e tre, perché si portano dietro la dolce e obbediente cagnetta Lea.
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Sergio Chiappino
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