Tortona-Ca' del Monte
2 giugno
Diario di viaggio
La prima tappa conduce il viaggiatore attraverso le basse colline tortonesi, coltivate prevalentemente a cereali e vite; le lascia infine con una rampa, che sale sulle alture dell'Oltrepò pavese. È molto lunga e presenta parecchio asfalto, per cui può risultare indigesta, ma può essere alleggerita spezzandola con un pernottamento a Volpedo, giusto a metà strada. È molto gradevole la parte fino a Volpedo, mentre è più noioso il tragitto di lì ai campi da golf di Momperone. Di nuovo molto bella e anche panoramica la salita fino a Serra del Monte.
Scendiamo dall'affollato treno, pieno di gente che va a prendere la coincidenza per Milano, e ci dirigiamo verso il centro, puntando su un bar pasticceria sotto i portici dove fare colazione con caffè d'ambrosia. Diamo un'occhiata al moderno duomo e poi ci infiliamo tra i vicoli lastricati in porfido, diretti al cimitero, da dove dovrebbero partire le indicazioni. Un signore ci ferma e ci chiede dove siamo diretti. È stupito che possa esserci un percorso pedonale per Volpedo: lui conosce solo la strada per le auto.
Il cimitero di Tortona è molto verde e ben tenuto, da quello che possiamo intuire sbirciando dagli ingressi. Aggiratolo, troviamo le prime tacche. Ci conducono su una stradina, che si inoltra in un'armonia di campi di cereali, tra cascine sparpagliate. Una chiesa abbandonata dall'architettura da garage è la stecca. Come sempre il sabato mattina, c'è un gran andirivieni di automobili per le commissioni, perché chi abita in luoghi fuori mano usa l'auto anche per andare a comprare le sigarette. Quasi subito ci facciamo ingannare da una freccia su un palo, ma la traccia GPS ci riporta in fretta sul percorso corretto. Nelle prime due tappe ne faremo un uso abbastanza intenso, perché le segnalazioni non sono sempre sufficienti. Oltrepassiamo un dosso, girando intorno a una recinzione. Sulla discesa siamo già fermi a bere, perché fa molto caldo. I ruderi di una cascina su un cocuzzolo dominano un piccolo campo di grano.
Ci aspetta ora un lungo tratto sgradevole, perché dobbiamo marciare lungo una strada a traffico intenso e veloce. Come sempre in Italia, non è previsto che la gente si muova a piedi da un paese all'altro, per cui manca persino una banchina dove transitare in sicurezza; non parliamo poi di una pista ciclopedonale accanto alla carreggiata principale. In particolare un pickup ci sfreccia vicino a tutta velocità e fa vibrare per lo spostamento d'aria. Dei fiori di malva a bordo strada non bastano a rallegrare l'esperienza. Finalmente raggiungiamo la strada diretta al centro di Viguzzolo, dove il traffico si dirada. Ai margini ci sono delle case abbandonate e due edicole votive in stile art noveau o qualcosa del genere di inizio Novecento. La seconda è chiusa da tendine e contiene una Pietà. Alla chiesa dedicata a sant'Antonio, il vecchio che la tiene in ordine e sta sistemando le bacheche, chi chiede la nostra meta. Gli rispondiamo genericamente che andiamo al mare e lui allora, strabuzzando gli occhi, ci fa notare che la carrozzabile per il mare passa altrove. Gli spieghiamo pertanto che siamo diretti a Capanne di Cosola e a questo punto le sue palpebre si dilatano fino quasi a lambire le sue labbra balbettanti. Proseguiamo nell'abitato fino a toccare la pieve medievale, una chiesa minuta in mattoni rossi, isolata dalle case, al centro di un prato, purtroppo chiusa.
Dal paese proseguiamo per una zona pianeggiante, per cavedagne. Una quaglia ferma sulla pista, al nostro arrivo si allontana a piedi, proseguendo sulla sterrata per un lungo tratto e facendosi ammirare, prima di inoltrarsi nei campi. Qualche minilepre più accorta si allontana rapidamente al nostro sopraggiungere. Un campo è coltivato a lino, che in questo momento è fiorito. Sin dalla partenza ci accompagnano poi mille papaveri rossi ai margini dei campi, meno in mezzo alle coltivazioni. Una quercia monumentale è cresciuta ai margini della pista, che poi affronta una zona di colline, dove compaiono i vigneti. Arriviamo a una zona chiusa, sul cui recinto ci sono delle lampadine anti-esplosione, come nota l'elettricista del gruppo: è una stazione di un oleodotto. Su dei pali notiamo degli stinti quadrati blu, i segnavia originari della Via del Mare, risalenti almeno agli Anni Novanta. Affrontiamo una collina più elevata, alla cui sommità c'è il paese di Monleale. Costeggiamo un vigneto che sembra abbandonato e poi ci troviamo alla base di un pendio ripido, tra vigneti produttivi. Una provvidenziale panca all'ombra di una grande quercia ci invita a una pausa.
L'ombra è quanto di meglio ci potessimo attendere. Oggi la temperatura è elevata e il sole picchia forte dal cielo azzurro. Perlomeno non c'è afa. Contiamo però di trovare al più presto una fontanella in qualche paese, perché le borracce si stanno svuotando rapidamente. Abbiamo previsto dai due ai tre litri di scorta, a seconda delle necessità di ciascuno. Dopo la pausa, proseguiamo la salita tra vigneti, dove sono parchi di diserbante (o forse negli ultimi anni non eravamo più abituati a tutta questa pioggia). Compare il paese di Monleale, di cui aveva già fatto capolino il campanile all'inizio della salita. Attraverso boschetti di querce, arriviamo a dominare la conca di vigneti, al cui margine sorge la frazione. Scatto varie foto, a mano a mano che il procedere del cammino offre primi piani interessanti, delegando al lavoro al computer la scelta dell'inquadratura migliore. È sempre così quando si cammina, specie in gruppo, e non si può fare avanti e indietro alla ricerca del punto di vista migliore. A Monleale troviamo l'agognata fontanella, che condividiamo con due braccianti indiani. Intanto dei bambini scorrazzano in bici per le strade deserte, all'ora di pranzo. Scendiamo prima al sole della strada e quindi lungo la vecchia mulattiera ombreggiata.
Raggiunta la periferia di Volpedo, prima di attraversare il Curone, ci fermiamo a un bar popolare chiamato come il quadro più celebre di Pelizza. I tavolini del dehors sono tutti occupati da giocatori di carte, ma noi riusciamo lo stesso a ricavarci un angolino, dove gustare un buon gelato. Il barista ci chiede del nostro percorso e ci mostra una foto del celebre Ponte Gobbo di Bobbio, che gli piace tantissimo ma di cui non ricorda il nome. Facciamo una puntata alla piazza del paese, ammirando qualche riproduzione dei quadri del pittore divisionista, sparsi per il suo paese natale.
Seguiamo un viale alberato lungo il torrente, apprezzando l'ombra, nonostante la chioma degli alberi sia a volte un po' invasiva. Oltre il campo sportivo imbocchiamo una stradina bordeggiata da ville di pregio, una delle quali è stata trasformata in albergo ristorante, stranamente chiuso, nonostante la stagione propizia alle gite in campagna e il giorno festivo. Un caprifoglio fiorito spande il suo inebriante profumo. Dopo una zona di frutteti, ci aspetta ora una salita caldissima su una stradina asfaltata, dove il profumo delle ginestre fiorite non vale a ingannare la noia. Dopo una grande cascina in rovina e cascina Tirana, uno panoramico sterrato in quota ci conduce a Zebedassi, dove ci fermiamo all'ombra, su un muretto, e offriamo qualcosa a uno smunto gattino randagio. Alle case della frazione sono appesi colorati cartelli con i nomi degli abitanti.
Ora la strada scende, offrendo una bella vista su una vicina collina tenuta a pascolo. Il percorso taglia poi i tornanti della strada, passando per prati di erbe alte e pungenti, fino a ricongiungersi sul fondovalle, in corrispondenza di una cascina con edicola votiva, che il percorso aggira. C'è ora un altro tratto noioso su una stradina asfaltata, con poco traffico (per fortuna i motociclisti percorrono la strada principale, sull'altra sponda del torrente) ma molto monotona. Nella frazione di San Vittore, un provvidenziale gazebo con tavolo e panche ci dà modo di riposare le gambe indolenzite dal lungo tratto su asfalto. Ricordo poi dei pioppi bianchi imponenti. In breve siamo a Momperone, dove possiamo rabboccare le borracce e prendere un caffè al centro sociale. Passiamo quindi tra i campi da golf e la relativa struttura di accoglienza con tanto di piscina e bagnanti, per lasciare finalmente la strada principale, in favore di uno stradello in ripida ascesa.
Attraversiamo le case rurali di Ramella, dove una bambina osserva noi tre, piegati dal peso della salita e dei nostri corpulenti zaini, con gli occhi di chi vede per la prima volta il palco di un cervo adulto. La salita continua ripida fino a Serra del Monte, costeggiando vecchie cascine e campi di cereali dai bordi fioriti. Nonostante la concentrazione per vincere la pendenza e la fatica accumulata, vale la pena di fermarsi e girarsi indietro, perché alle nostre spalle il sole già basso si va nascondendo dietro a velature e la vista abbraccia le dolci colline attraversate finora. A Serra del Monte attraversiamo le case per imboccare una strada in salita nel bosco, di nuovo monotona. Ci stizzisce un andirivieni inspiegabile di auto, visto che la strada è diretta solo all'agriturismo dove pernotteremo. Dopo circa tre chilometri, la strada spiana e il bosco si dirada. Nei prati sono parcheggiati diversi camper e montante alcune tende. L'agriturismo è passato di mano da poco e la nuova gestione non ha ancora ingranato, per cui a volte è un po' confusionaria: di primo acchito sembrano sorpresi di vederci, come se non avessimo prenotato. Inoltre non tutti hanno spiccate doti relazionali; in compenso la cuoca ne esce benissimo. Anche la doccia gelida è molto apprezzabile, per sciogliere il caldo accumulato e tonificarmi.
Galleria fotografica
❮ ❯
© 2008-2024
Sergio Chiappino
Questo opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.