Tiglieto-Passo del Faiallo
Bric del Dente
26 aprile
Diario di viaggio
Prima delle due tappe lungo le vie storiche che univano il monastero con la costa e lungo cui si scambiavano cereali, legno, vetro e sale (fin dal medioevo), ma successivamente anche ferro, carbone e carta, per citare solo le merci principali.
Al mattino il cielo comincia presto a rannuvolarsi, a dispetto delle previsioni che promettevano cielo limpido. Gli addensamenti si estendono in fretta dal Beigua verso l'interno e ricoprono le cime più alte. Credo siano generate dal vento umido e fresco che soffia dal mare. Resterà così tutto il giorno. Alla partenza ripercorro l'ultimo tratto del tragitto di ieri, fino al sentiero. Mentre costeggio il deposito edile, un cane minuscolo mi viene incontro abbaiando, salvo tosto farmi le feste. Temendo che mi segua, non ricambio l'affetto e lo lascio deluso mentre mi guarda allontanarmi.
Il sentiero mostra subito la sua natura di percorso antico e importante. È infatti spesso lastricato e a volte anche bordato di pietre. Secondo le note della cartina, dovrei vedere sul selciato i segni delle lese, le slitte su cui si trasportavano le merci; oggi non le noterò, ma ne farò un scorpacciata domani scendendo verso il passo della Gava. Dopo un tratto nel bosco, sbuco nei prati di Case Isola, al cui centro troneggia un acero di monte. Il sentiero si perde un po' tra l'erba, ma le segnalazioni continue consentono di non smarrire la retta via. Queste come quasi tutte le abitazioni isolate che vedrò sembrano ancora tenute, almeno in parte, ma in tutto il giorno non vedrò che una persona. Un doppio guado mi porta alla salita verso colla Minetti, dove qualcuno ha costruito una sbarra di legno sul sentiero, che tocca aggirare. Scendo a una casa abbandonata con una quercia secolare, dietro a cui riparte il sentiero. Continuo fino a una strada, dove resto un po' incerto su dove svoltare, finché l'unica persona con cui parlerò oggi mi indica la direzione giusta. Girandomi vedo allora il segnavia che prima mi era sfuggito.
In questo tratto la mulattiera è scomparsa sotto la strada, che va seguita per almeno un chilometro, fino a Ferriera Alta, un toponimo che dice tutto. Questi antiche industrie siderurgiche erano spesso costruite vicino ai fiumi, per poterne sfruttare la forza per le lavorazioni. Oggi Ferriera deve essere popolata da mattacchioni, a giudicare dalla quantità di cartelli spiritosi sparsi tra le case. La pista erbosa prosegue per un lungo tratto parallela al Rio Rosto, fino al punto di guado. Oggi non è per nulla difficile, perché la lunga siccità ha abbassato di molto il livello medio dell'acqua, come ben si vede dalle concrezioni sulle sponde. Al Faiallo un cartello sconsiglia questo percorso in caso di forti piogge, che in ogni caso può essere facilmente evitato proseguendo lungo la strada fino ad Acquabianca e seguendo di lì i tre pallini gialli. Un percorso del tutto alternativo consiste invece nel salire dall'albergo alla dorsale, dove si trova il sentiero dei due quadrati gialli vuoti, che resta sul crinale a va ad allacciarsi a quello che sale da Campo Ligure. A monte del guado il rio forma un laghetto verde, detto lago della Chiusa, dove confluisce anche un altro torrente. Mi ha garantito un ragazzo di Tiglieto che anche a luglio qui dentro non si può resistere più di un minuto. Io non ho alcuna velleità balneare, d'altronde, ma una pausa in questo luogo incantato non me la leva nessuno. Dopo alcuni minuti odo dei richiami di caprioli, che forse hanno sentito il mio odore e si sono messi in allarme.
Un secondo guado, decisamente più semplice anche se ci fosse più acqua, mi riporta sulla mulattiera storica, che in questo segmento presenta un fondo a tratti rovinato. Una buca che non vedo mi fa anche ruzzolare a terra, per fortuna senza conseguenze. Il bosco è un misto di querce e faggi, consorzio insolito perché le due specie prediligono climi un po' diversi. Presso alcune case di pietra in rovina noto un capriolo, più per merito suo che si muove e fa rumore, che del mio occhio distratto. Segue una faggeta quasi pura, anche con alberi maestosi, in particolare un tiglio. Mi domando se ci siano delle piazzole dei carbonai, visto che per lavorare i minerali di ferro serve carbone, che in Italia può essere ottenuto solo dagli alberi, in quanto non se ne trova nel sottosuolo.
Dopo la confluenza del sentiero dei tre pallini che sale da Acquabianca, in breve sono a Gattazzè. Era una dimora di vacanza e di caccia della famiglia Raggi, che andò distrutta nel 1968 in un incendio e non fu più ricostruita. Oggi gli edifici sono invasi dalla vegetazione e solo le mura della cappella resistono in qualche modo; chissà per quanto, visto che il tetto non è più integro. La mulattiera diventa stradina e sale dolcemente nel bosco. Qui la primavera sta ancora arrivando: pochi alberi hanno già le foglie. In un tratto più aperto vedo la cima del Bric del Dente; da questa distanza si riesce già a vedere il pilone sommitale. Il tracciato arriva a un torrente nei pressi di uno sbarramento in cemento, dove una volta c'era un ponte in legno. Oltre che dai suoi resti, si deduce la sua presenza da alcuni scoloriti triangoli gialli che vi puntavano. Guado il torrente a valle dello sbarramento e si attraverso un pianoro dove la traccia si perde un po'.
Ad una secca svolta a sinistra si presentano due possibilità: posso seguire la mulattiera storica, che punta dritto verso il Faiallo, oppure restare sul sentiero segnalato, che va al Bric del Dente. Visto che è presto, opto per la via più lunga. Nel primo tratto il percorso segnalato rimane su un sentiero, lungo cui mi imbatto nell'agognata piazzola dei carbonai. Dopo l'incrocio con un sentiero segnato da tre pallini gialli (non è lo stesso di prima, è solo che questo è il segnavia di tutti i sentieri di collegamento), bisogna lasciare il sentiero e tagliare su per i prati seguendo i segnavia, fino all'Alta Via dei Monti Liguri. Il bivio non è tanto evidente per chi arriva da valle, per cui al primo tentativo lo manco, salvo poi accorgermi che non sto puntando verso la cima e tornare quindi indietro a cercare la via giusta. Sono finalmente arrivato a vedere il mare. Come un tamarro qualsiasi, estraggo il cellulare e gli scatto una foto orribile (c'è pure una luce pessima) da far girare seduta stante via Whatsapp.
Seguo l'Alta Via verso est arrampicandomi su per i prati e i cespuglieti. Trovo una coppia all'incrocio col sentiero di Fiorino, ma i due non salgono in cima e scompaiono nel nulla. Io sono in maglietta, perché nel bosco faceva caldo, mentre i due sono ben intabarrati, perché dal mare soffia un vento gelido. L'ultimo tratto è una ripida traccia tra le rocce. Indosso i guanti e un po' di strati (dopo pranzo ne aggiungerò un altro) e scatto qualche foto all'Appennino, stavolta decente: ai miei piedi c'è la dorsale con il Bric Dentino da cui arriva il sentiero da Campo Ligure, quello che ha fatto nascere il progetto. Me ne sto un po' seduto a mangiare e a guardare il panorama. Verso la pianura c'è foschia, ma in lontananza si riconosce lo stesso la sagoma inconfondibile del Bric Puschera. Il Reixa e il Faiallo sono immersi nelle nuvole orografiche che corrono poco sopra di me; per qualche istante si formeranno anche al di sotto e avvolgeranno brevemente la cima. Verso Masone è più limpido.
Nonostante il freddo resisto abbastanza. Quando è l'ora di ripartire, indosso quasi tutti gli strati che mi sono portato appresso e per il primo tratto non ho intenzione di liberarmene. Solo quando sarò più al riparo un po' per volta passerò alle due magliette. Fino al primo bivio mi rendo conto che non ho memoria del percorso fatto poco prima in verso opposto, forse perché ormai pensavo solo ad arrivare in cima o ero troppo esaltato per la vista del mare. Seguo quindi l'Alta Via in direzione ovest.
La vegetazione in questa zona è ben diversa da quella che avevo incontrato poco sotto, mentre salivo: gli alberi sono pochi e abbastanza stentati, per una serie di fattori. Per prima cosa il clima del crinale è assai più severo di quello delle zone sottostanti, per il forte vento quasi incessante e molto rafficato (siamo al confine tra il Mediterraneo e il continente, con due climi assai diversi che producono spesso instabilità). Inoltre d'inverno si forma sovente uno spesso strato di galaverna, che mette a dura prova gli alberi. All'albergo uno schermo proietta foto molto eloquenti, a questo proposito. A questo va aggiunto che le rocce di questa zona, originate dai vulcani della crosta oceanica, producono un terreno assai ostile per molte piante, tanto che qui ci sono molti endemismi, che solo su questo terreno riescono a vincere la concorrenza delle altre specie. Uno di questi lo vedo fiorito oggi: è la viola di Bertoloni.
Finisco sulla strada, la seguo e perdo il bivio per rientrare sul sentiero, cosicché mi sciroppo asfalto supplementare. Quasi per caso vedo l'innesto successivo e arrivo al passo per un esile sentierino nel bosco sotto la strada. Nel nebbioso giorno feriale, solo un tavolo dell'area attrezzata è occupato. Il ponte festivo di bel tempo non ha lasciato che una manciata di cartacce. Una volta dopo Pasquetta in un posto analogo trovai pure del vomito. All'albergo parlo del mio viaggio e dell'Alta Via con il gestore, che ha il fisico e il look di chi fa cose toste. La nebbia persistente mi fa desistere dalla passeggiata serale sul Reixa.
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Sergio Chiappino
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