Castellaro di Varzi-Capanne di Cosola

Monte Chiappo

5 giugno


Monte Chiappo
Monte Chiappo

Diario di viaggio

Con questa tappa lasciamo le colline, per salire decisamente verso i crinali dell'Appennino. Rispetto alle due lunghe tappe precedenti, è quasi una tappa di riposo, nonostante il dislivello superiore ai mille metri e la ripida salita fino al Pian della Morra. Dalla cima del monte Chiappo si vede il mare, se la giornata è limpida. Non è questo il nostro caso: dovremo rimandare l'appuntamento blu di ben due giorni, a quando arriveremo in vista di Torriglia.

La strada parte subito ripida, proprio accanto all'albergo. La sterrata è invasa dal pietrisco, portato a più riprese dai temporali di maggio. L'albergatore ha provato a ripulirla dopo la prima ondata, ma ha dovuto arrendersi alle successive. Ha anche dovuto legare un cane, che seguiva gli escursionisti e non tornava più: una volta ha dovuto recuperarlo in un canile di Genova. Il primo tratto si snoda in un fitto bosco con carpini, pini silvestri e maggiociondoli fioriti. Siamo accompagnati dal canto degli uccelli, ma non dagli odori della resina o dei fiori, dilavati dalla pioggia. Il torrente che scorre sul fondo di questa valletta infossata ha una portata copiosa e l'acqua limpida. Superiamo vari bivi ben segnalati. Da oggi posso riporre il GPS nello zaino, perché ce la caviamo con le segnalazioni sul campo e al massimo la cartina. Superato il torrente su un ponte, imbocchiamo un sentiero che taglia i tornanti della pista, attraversando un bosco dai contorni fiabeschi. Il terreno intriso d'umidità colora d'amaranto le foglie morte, su cui il sentiero disegna una striscia scura. I tronchi sono fittamente ricoperti di licheni, mentre dall'alto filtrano a tratti tra le nubi dei raggi di sole che rendono lucenti le foglie dei faggi, bianche senza dettagli per la pupilla dilatata dall'oscurità delle fitte chiome. Siamo infatti saliti di quota, oltre i mille metri, per cui la faggeta quasi pura riempie il paesaggio. Il sentiero tocca ripetutamente la pista, la segue un po' e poi la lascia di nuovo.
Più in alto, quando siamo già in mezzo alle nubi, attraversiamo un rado rimboschimento di pini neri e poi di abeti bianchi. Lo stridente bramito di un daino lacera il silenzio ovattato della nebbia. Il sentiero spiana decisamente, attraversando dei rimboschimenti di larici in sofferenza e abeti rossi. La pista è molto scavata dalle moto e siamo perciò costretti a camminare sui bordi per non sprofondare nel fango. Gli uccelli cinguettano a piena gola. È dal primo giorno che ascolto gorgheggi melodici e ritmici cucù, ma solo adesso mi sono ricordato di appuntarlo sul notes. Purtroppo faccio fatica a ricordare i titoli di musiche ben note, quando le ascolto, per cui non riuscirò mai a discernere i canti delle singole specie. Nel buio rimboschimento di abeti rossi un'ombra ancora più nera emerge dal terreno: è un nido di formica rufa, che ne macina gli aghi morti.
Arriviamo al rifugio incustodito del Pian della Morra, dove un ossimorico cartello avvisa che il locale è ad uso esclusivo di tutti. Ci accomodiamo sotto la tettoia per riposarci. In salita avevamo caldo, ma più per l'umidità che bloccava la traspirazione che per la temperatura, rimasta fresca dopo la pioggia di ieri e con le nuvole di oggi. Ora, da fermi, dobbiamo aggiungere un paio di strati all'abbigliamento. Nel sottotetto corrono instancabili i ghiri.

Qui finisce il bosco continuo e da ora sarà un'alternanza con i prati. Sul primo di questi pascola un capriolo o un daino che neanche solleva la testa al nostro passaggio. Oltrepassato il bivio per Selvapiana, la sterrata offre un po' di visuale sulla valle Staffora, perlomeno quella permessa dalle nuvole che rapidamente avvolgono ogni cosa. Qui cambiano le fioriture, che diventano tipicamente montane. Troviamo infatti prima una Gentiana lutea (quella dell'amaro) a bordo sentiero, poi dei maggiociondoli al principio della fioritura, con i petali ancora chiusi (dovremo arrivare in vista di Torriglia per trovarne di nuovo già sbocciati). Soprattutto però ci accompagnano i fiori di sorbo montano, che emanano un delicato profumo simile a quello dei biancospini, qui ancora di là da sbocciare (anche questi li troveremo fioriti intorno a Torriglia). Attraversiamo quindi altri rimboschimenti di larici e abeti rossi, poi di nuovo faggi, con qualche esemplare monumentale. Il fondo resta parecchio fangoso nei tratti di bosco. Credevo che le conifere derivassero tutti dagli estesi rimboschimenti novecenteschi, per cui mi sono stupito non poco apprendendo dalla guida di Orofilo che erano già presenti negli ultimi decenni dell'Ottocento. Da questa fonte scopro anche che il pendio fino al piano della Morra era pressoché spoglio, una scoperta che mi sorprende di meno.
Oltrepassiamo il monte Boglelio senza accorgercene, superiamo il bivio per Forotondo e arriviamo al monte Bagnolo, dove ci fermiamo ai tavoli nei pressi del ricovero, tra qualche ingannevole sprazzo di sole. Si trova dove una volta c'era un albergo dei tempi delle villeggiature, di cui sono conservati i ricordi fotografici all'interno. Saliamo sulla cima, dove il cellulare ha campo, contando di contattare il rifugio del monte Chiappo. Scopriamo però che è chiuso, nonostante in questo periodo ci sia un flusso regolare di escursionisti lungo la Via del Sale; col clima di oggi, non pochi avrebbero consumato volentieri qualcosa di caldo. Probabilmente aprono solo quando la seggiovia garantisce un flusso abbondante di sedentari, più numerosi dei camminatori.
In cima ci sono un edicola votiva e una targa a ricordo di un prete morto qui nel 1924. Dopo di noi arrivano un uomo e una donna, che conosceremo meglio in cima al Chiappo, dove arriveranno poco dopo di noi e dove li battezzeremo “banda disastri”. Lui è di Roma, ma ha già girato da queste parti. Lei invece è di Verona, ma vive in Inghilterra, dove è sposata con un professore di Oxford e passa il tempo decorando ceramiche. Lui indossa un paio di sandali, lei gli scarponi della sorella, che abita da queste parti. Ieri, sotto la pioggia battente, hanno camminato per strada da Varzi fino a casa della sorella a Cignolo, non lontano da Castellaro, e si sono inzuppati dalla testa ai piedi, anche perché non sembrano avere mantelle né coprizaini. Lei ha perciò lasciato i suoi scarponi inservibili e ha preso in prestito quelli della sorella; sono partiti senza una cartina né una descrizione del percorso, ma solo uno schemino disegnato a penna, e hanno ravanato nei boschi in qualche modo fino alla dorsale. Entro il pomeriggio si scollerà una suola agli scarponi prestati e verranno perciò a farsi prendere da un nipote a Capanne di Cosola (dove per altro non hanno prenotato), salvo poi farsi riportare il mattino seguente. Contano di andare in un giorno a Torriglia e di lì direttamente a Recco in un altro, apparentemente indifferenti alla lunghezza delle tappe (l'ultima è di oltre dieci ore) e alla loro impreparazione. Non ne avremo più notizie.

Passa anche un gruppetto al trotto, che ci anticiperà sul Chiappo e ritroveremo all'albergo di stasera. Dall'accento potrebbero essere dei lombardi orientali. Riprendiamo a marciare sulla dorsale, in un'alternanza di boschetti di faggio e praterie, tra il profumo di sorbi fioriti e la fioritura di un'aquilegia (anche se l'aquilegia è un singolo esemplare, il suo fiore è così bello e strano che posso affermare che il suo ricordo ci accompagni per tutta la tappa). Su un prato accanto alla pista vediamo delle vacche al pascolo, mentre sul fango delle orme forse di daino. Ad un certo punto percorriamo un breve tratto fuori sentiero, nell'erba alta, per evitare una zona particolarmente fangosa nella faggeta.
Intanto cominciano a cadere dapprima goccioline sparse e poi a piovere più diffusamente, anche se ad intensità non fastidiosa. Ci fermiamo perciò al riparo dei faggi e indossiamo guscio e coprizaino. Nonostante la pioggia, il cielo non si fa più incombente e continua invece la corsa delle nubi, che si addensano, si diradano, risalgono i versanti, si dissolvono per aria. Certo il cielo resta quasi sempre grigio, ma il verde sfolgorante, dopo un mese di pioggia, compensa abbondantemente la mancanza di azzurro e di panorami a lunga gittata. Il breve scroscio poi fa dissolvere momentaneamente le nubi intorno a noi. Così, quando siamo ai piedi delle ultime rampe, più o meno dove cominciano le piste da sci, con i loro sbancamenti e i loro cartelli dai nomi anglofoni e fantasiosi, Lesima e Alfeo sono finalmente ben riconoscibili.
Questi due monti hanno delle storie interessanti da raccontare. Il nome del primo deriverebbe da "lesa manus", perché si dice che Annibale, salito fin lì per controllare dall'alto la situazione, si fosse ferito una mano. La prima fonte scritta della storia che ho reperito è Orofilo, che la riferisce come voce sentita dai montanari. Il Casalis invece non cita la leggenda, pur descrivendo la montagna e accennando a un'ascensione della regina longobarda Teodolinda. Se la storia fosse nata nell'Ottocento, non ci sarebbe niente di cui stupirsi, perché allora la moda romantica dei popoli barbarici portò alla creazione di molti retaggi riferiti a quei tempi. Gli agganci storici questa storia sono modesti: una rapida scorsa di Ab urbe condita rivela come l'inverno in cui Annibale rimase accampato presso il Trebbia fu molto freddo e nevoso, circostanze che non avrebbero permesso una salita del Lesima, e che a primavera si diresse verso l'Etruria piuttosto che verso la costa ligure. È ad ogni modo interessante notare come la memoria del suo passaggio sia molto viva nell'Appennino settentrionale, dove non pochi luoghi lo richiamano. Qui in val Boreca, in particolare, sostengono di discendere dai disertori del suo esercito e portano come prova il fatto che i nomi dei paesi richiamerebbero luoghi africani, come ad esempio Tartago, che sarebbe una deformazione di Carthago. Qualcosa di più certo si può invece raccontare sull'Alfeo. Durante i lavori di posa della statua della Madonna sulla vetta, fu infatti trovata una statuetta di un giovane, raffigurato nell'atto di fare un'offerta. La montagna, oltre a essere secondo al Lesima in fatto di altezza, ha una forma insolita da qualsiasi versante lo si guardi, cosa che lo rende facilmente individuabile tra i dossi appenninici, generalmente dalle forme meno riconoscibili delle cime alpine. Non stupisce perciò che potesse essere considerato sacro dalle popolazioni del posto, dal momento che il culto delle vette è documentato presso i Liguri (si pensi al celebre Bego).
Sulle panche appoggiate ai muri del rifugio ci fermiamo un po', mentre il gruppetto sta per ripartire. «Si va di qua?» ci chiede una signora, indicando il sud. «Dove dovete andare?» «Dov'è che dobbiamo andare?», chiede al resto della truppa. Sarà che sono abituato a camminare quasi sempre in autonomia, ma questi gitanti, non rari nei gruppi, che marciano a ruota ignari anche della meta, mi allibiscono sempre. L'apice, per ora, resta quella signora incontrata nei pressi del monte Prado, che aveva staccato il gruppo e non sapeva dove doveva andare. Durante la nostra sosta, sole e nuvole si susseguono in una corsa senza respiro. Nei giorni limpidi da qui si vede il mare, seppure nella forma di un triangolino remoto, ma il clima umido e instabile di questa settimana rimanderà di un paio di giorni l'apparizione.

Riprendiamo la marcia conquistando la vetta, dove, anziché la solita Madonna o croce, stavolta hanno installato un san Giuseppe, con in mano gli attrezzi da falegname. Da qui a Capanne di Cosola scendiamo per dei bellissimi dossi prativi, costeggiando uno vecchio reticolo di filo spinato, che ci accompagnerà anche l'indomani fino quasi al monte Carmo. Per gli amanti della geografia, sul Chiappo si incontrano Piemonte, Emilia e Lombardia, mentre ora e per la prima parte di domani seguiamo il breve confine tra Piemonte ed Emilia. C'è anche un cartello a marcare il punto più occidentale di quest'ultima. Nell'incantevole su e giù tra prati e nuvole, nell'aria frizzante e ventosa dopo il rovescio, c'è posto anche per gli ultimi narcisi. Le nuvole rapide arrivano soprattutto dal mare, mentre verso la val Curone il cielo è schiarito. Purtroppo questa meraviglia dura solo una mezz'ora, prima che siamo al passo dove sorge l'albergo. Il gruppo ha già steso le mantelle ad asciugare sul ballatoio. Noto che loro non lavano la biancheria: devono essere della vecchia scuola, secondo cui si portano due magliette, tanto una è sempre più pulita dell'altra.
L'impatto con il locale è un po' traumatico, perché il bar trasmette una sensazione di trascuratezza e desolazione da stazione di posta del West, da deserto interiore tra i cespugli rotolanti: devo insinuarmi nell'antro delle cucine, per stanare qualcuno che ci scaldi un tè. Per fortuna la cena sarà ben diversa, a partire dalla sala panoramica affacciata sul tramonto e per finire con i prodotti tipici, come il formaggio Montebore. Questo non è un luogo di passaggio, per cui quasi nessuno si ferma al bar, mentre la gente raggiunge il punto più alto della strada per pranzare. D'altronde Orofilo, abituato agli agi borghesi del suo status di avvocato, sciorina un verboso elenco, tracimante della retorica con cui solo allora potevano esprimersi, e colmo di peggiorativi (sconquassate, baracche, cencioso, ruvidissime, miasmi, crivellati, profumato di muffa), per lamentarsi delle scomodità delle locande di montagna come questa, dove la povertà era estrema. Oggi si nota solo che qui non si fanno ristrutturazioni da qualche decennio, credo da quando il miraggio dello sci attirò qualche investimento, ma l'ambiente è pulito e confortevole.
Le nuvole si dissolvono e il sole ritrovato, aggiunto alla brezza, asciuga il nostro bucato prima di sera, rendendo ridondanti i fili tesi in stanza. Durante la cena ogni tanto faccio una puntata all'esterno per fotografare l'Alfeo e il Lesima nella dolce luce del tramonto. Siamo più in alto che nei due giorni precedenti e l'aria è parecchio più frizzante.

Galleria fotografica

Faggeta
Faggeta
Faggeta
Faggeta
Faggeta
Faggeta
Faggeta
Faggeta
Pini neri
Pini neri

Faggio monumentale
Faggio monumentale

Monte Alfeo
Monte Alfeo
Monte Chiappo
Monte Chiappo
Monte Chiappo
Monte Chiappo
Monte Chiappo
Monte Chiappo
Monte Lesima
Monte Lesima
Monte Alfeo
Monte Alfeo

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Sergio Chiappino

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