Casteldelfino-Chianale
Bosco dell'Alevè
19 giugno
Diario di viaggio
Tappa che attraversa il bosco di pini cembri dell'Alevè, senz'altro la maggior celebrità naturalistica del viaggio. Molto bello anche il sentiero tra Maddalena e Chianale.
La carta da giornale negli scarponi ha fatto il suo sporco lavoro: si è inzuppata ben bene e ha sottratto un bel po' di acqua alle tomaie e alle solette, che restano comunque umide, ma calzabili senza pena. Anche la colazione è molto buona, a parte lo yogurt di Becetto con l'aroma di banana… una combinazione azzeccata come il gelato al ketchup. Alla partenza la moglie del proprietario, a cui dobbiamo la gustosa cena di ieri sera, col cellulare ci scatta una foto zaini in spalla, a imperitura memoria del nostro passaggio lungo il Valle Varaita Trekking. Risaliamo diretti al centro del paese, dove contiamo di trovare l'imbocco della mulattiera per Bertines. Passiamo ai piedi di un grande edificio nobiliare con loggiato, Casa Ronchail. Risalendo ripidamente la parte vecchia, molto ben tenuta, raggiungiamo l'imbocco della mulattiera, che si presenta erbosa e intrisa di rugiada, grazie a cui recuperiamo celermente l'umidità ceduta alla carta. Saliamo nel bosco, per poi trovare dei prati e delle stalle poco prima di Bertines. Nella frazione mi faccio incuriosire da uno strano aggeggio montato nell'orto di un vecchio: sopra bastoni di legno infissi nel terreno, sono infilate delle bottiglie di plastica, a cui sono fissati dei fondi di bottiglia, sempre in PET, come se fossero pale a cucchiaio di una turbina Pelton ad asse verticale, che fanno ruotare la bottiglia quando spinte dal vento. Il signore mi spiega che servono a creare vibrazioni nel terreno, per tenere lontane le talpe dal suo orto.
Passiamo sotto un arco e giungiamo a un vecchio fienile, dove nutriamo un timidissimo cane da guardia con i resti dei giganteschi panini di ieri (c'era chi ne aveva presi due e non era riuscito a finirli). Anche un gatto randagio apprezza.
Saliamo per un ripido sentiero lastricato, che una volta serviva a far scivolare a valle i prodotti dell'alpeggio e del bosco su slitte. Attraversiamo un ambiente solatio tra cespuglieti di noccioli e radi larici, con vista sul Pelvo d'Elva che va sparendo dietro una nuvola già a metà mattina. Il potere colatorio della salita è rimarchevole, anche se per fortuna l'aria è più secca che ieri, per cui una sosta all'ombra è sufficiente a regolarizzare la temperatura corporea. Ci fermiamo anche noi un attimo al masso che fungeva da segnaposto per le soste delle slitte, per poi riprendere la salita. Compaiono i primi cembri in mezzo al pascolo a lariceto. Qui sono piccoli, segno che sono recenti: in passatto, come già osservato, i larici avevano ampliato il proprio areale per l'intervento umano, a discapito delle altre specie, che con l'abbandono della montagna stanno guadagnando nuovamente spazio. Il pino cembro si diffonde grazie alla simbiosi con un corvide, la nocciolaia, che si nutre dei suoi semi e ne fa scorte nel terreno, che a volte dimentica, consentendo loro di germogliare. È per questo che nelle zone rocciose capita di osservare dei cembri nati in anfratti delle rocce, come ad esempio tra le guglie rocciose, lungo il sentiero che sale dal gias delle Mosche ai laghi di Fremamorta, in valle Gesso. Mi ero portato il binocolo anche per poterla scorgere nel bosco, ma non capiterà l'occasione.
Facciamo una sosta refrigerante all'ombra nei pressi del bivio, a cui saremmo arrivati dalle grange Auriol, se avessimo seguito il percorso previsto dagli ideatori del trek. Poco dopo arriviamo all'ampia radura delle grange Pralambert Sottano, da cui ammiriamo alcune cime dell'alta valle, dove arriveremo nel pomeriggio. Le segnalazioni latitano, ma il percorso è evidente. I cembri diventano sempre più fitti e grandi; sui pendii a monte del bosco compaiono delle formazioni rocciose. Arriviamo a un pianoro, certamente un lago interrato, ricoperto di fiorellini indaco. Subito oltre c'è il lago Secco, che tiene degnamente fede al suo nome: è infatti un piccolo specchio d'acqua, quasi interrato, che per buona parte lascia allo scoperto le rocce del fondo. Al suo interno prolificano i girini. Notiamo che, soprattutto alle quote inferiori, molti pini hanno tanti aghi secchi e ci chiediamo se sia ancora l'effetto delle siccità degli scorsi anni e ancora di quest'inverno o se sia un ricambio abituale. Mi faccio affascinare dagli intrecci delle radici a fior di terreno, ma per scattare qualche buona foto dovrei venirci con più calma e dedicarmi solo a questo, meglio se in una giornata autunnale di nebbia, senza i contrasti estremi del solstizio.
Guadagnando gradualmente quota arriviamo sulle sponde del lago Bagnour, moderatamente affollate di persone che prendono il sole. Guadiamo l'emissario e andiamo al rifugio, dove abbiamo prenotato il pranzo. Siamo arrivati all'ora giusta. Il gestore sta facendo dei lavori che consentiranno di a fare ombra con un telo ai tavoli all'aperto, camminando avanti e indietro sullo stretto mancorrente della staccionata, che delimita il dehor. Insieme a lui gironzola per il tavolato esterno la cagnetta Dido, il cui muso ha la fisionomia di una persona triste. Per non cuocere, scegliamo di sistemarci all'interno, nonostante i tentativi della gestrice di scoraggiarci, in quanto ha appena pulito. Lasciamo gli scarponi ancora umidi ad asciugare al caldo del tavolato esterno e indossiamo i sandali. La polenta e il suo condimento sono quanto mai consistenti e ci chiediamo come facciano i gestori ad essere così magri, se cucinano questa roba; provo anche una birra di segale chiamata 3841, come l'altezza del Monviso. «Cervogia [birra, n.d.r.] è una maniera di beveraggio che l'uomo fa di fromento, di vena e di orzo… ma la Cervogia fatta di segale, è sopra tutte le altre la migliore», scriveva un accademico della Crusca nel 1685: in effetti tutte le birre di segale che ho provato mi sono piaciute.
Scarponi e bucato si sono intanto asciugati completamente. La discesa avviene per un ampio sentiero, certamente molto frequentato la domenica, dato che è la via più breve per arrivare al rifugio. Il cielo intanto si va coprendo di nuvoloni. Le previsioni meteorologiche restano analoghe a quelle di ieri, ma oggi e domani non si genererà alcun temporale. Passiamo accanto all'incantevole rifugio Grongios Martre, una baita con un prato all'inglese, aperto solo per chi pernotta. Nelle recensioni su internet si legge che vale la pena sobbarcarsi ben venti minuti a piedi per trascorrere la notte qui. Poco più avanti c'è un poggio panoramico sul lago artificiale di Pontechianale. Siamo intanto usciti dal bosco di cembri. Facciamo una sosta al rifugio Alevè, sul margine della provinciale, per terminare di digerire la sostanziosa polenta. Ai tavolini esterni sono seduti dei francesi ubriachi, che abbrancano il biondo del gruppo e gli chiedono se è tedesco.
Seguiamo la pista erbosa che va a Castello restando sotto la provinciale, sui cui margini pascolano delle pecore. Tra le case beviamo alla fontana e poi ci dirigiamo verso la diga, passando accanto ai tavoli di un bar con musica per motociclisti. Attraversiamo quindi lo sbarramento, sul cui muro a valle hanno i nidi le rondini, che vediamo volteggiare. Proseguiamo lungo la passeggiata del lago, che la sera è illuminata da lampioni in uno stile da modernismo sgualfo. In compenso la fioritura sui prati, evidentemente ancora sfalciati perché cintati, è all'apice. Verso il fondo del lago incrociamo degli anziani a spasso. Lasciamo sulla sinistra l'imbocco del sentiero diretto alla Battagliola, che percorreremo domani, e facciamo una merenda frugale nel bar del campeggio. Non entriamo a Maddalena, che è una frazione in larga parte moderna, costruita a beneficio degli sciatori. Anche la chiesa parrocchiale è recente, perché l'originale fu sommersa nel lago insieme alla sua borgata, dopo la costruzione della diga, ultimata nel 1942.
Proseguendo lungo il torrente, restiamo in un bosco rado, ai piedi di una ripida scarpata. Allo sbocco di una gola, guadiamo il torrente proveniente dal vallone di Fiutrusa tramite una rudimentale ma provvidenziale passerella di assi, in parte sommerse dall'acqua. Il torrente è ingrossato per lo scioglimento pomeridiano della neve: domani mattina il livello sarà palesemente inferiore. Ci ricongiungiamo così al sentiero principale proveniente dall'abitato, che sale ampio e ripido verso il vallone di Fiutrusa, fino a quando lo lasciamo in favore di un sentiero più pianeggiante, che risale la valle principale diretto a Chianale. Incontriamo un pastore magro con il suo gregge di pecore e due cani affettuosi; mentre lo salutiamo sta maneggiando un cellulare GSM. Attraversiamo lariceti radi e prati di erba alta con copiose fioriture; la testa del gruppo vede due caprioli che si dileguano prima che sopraggiunga la coda. Poco prima della meta, sbuchiamo in un anfiteatro terrazzato, occupato da prati nel fulgore della fioritura, magnifici nonostante il sole sia quasi sempre celato da nuvoloni innocui. In alto, tra una cascata e la Cima di Pienansea il sole illumina a raso dei vapori generando scene turneriane. Giungiamo infine a Chianale, che ci si presenta con lo sfondo di Rocca Bianca e Roc de la Niera colorate dal blu dell'ombra, avvolte da nuvoloni da litografia settecentesca. Il torrente, in piena perché in quota c'è ancora molta neve in fase di fusione, come traspare anche dal colore lattiginoso, forma gorghi e romba sotto il ponte di pietra che unisce le due chiese della frazione. Dopo la doccia, mi apposterò per scattare una foto a questa scena, ma il sole resterà nascosto dietro i nuvoloni alla testata della valle, vanificando la mia attesa. La frazione è molto ben tenuta, con l'architettura tradzionale preservata lungo la via principale e poche case moderne intonate. Ci abitano stabilmente solo 8 persone, tutte appartenenti alla medesima famiglia. La chiesa, che ho tentato invano di fotografare, presentava dei bassorilievi di origine precristiana, come le già citate teste mozze, che furono distrutte dagli ugonotti, la cui religione si era diffusa qui durante il lungo periodo francese. A loro proposito, il Casalis descrive una tecnica ingegnosa messa a punto da alcuni chianalesi rimasti sempre cattolici per integrare i magri redditi della montagna: alcuni di essi scendevano nella pianura piemontese raccontando di essere ex-protestanti che avevano riabbracciato la vera fede cattolica, anche fabbricandosi falsi attestati. Costoro ricevevano infatti abbondanti elargizioni in denaro, perché evidentemente i piemontesi ritenevano Mammona più convincente delle prediche dei cappuccini appositamente inviati a convertirli. Tuttavia non furono abbastanza accorti da farla franca, per cui alcuni si aggiudicarono anche una crociera sulle triremi.
Stasera siamo nell'agriturismo della signora Brigitte, una vulcanica francese andata in moglie a un locale. Si era erroneamente segnata che non avremmo cenato ed è costretta a rimediare con quello che ha pronto, perché in questa sera ancora fuori stagione non c'è nessun locale aperto. La sera Brigitte ci parla come un fiume in piena, raccontandoci un sacco di fatti personali fino alla settima generazione e suonandoci dei motivetti occitani con la fisarmonica diatonica. Io odio queste musiche, come del resto il liscio, ma non voglio deluderla e soffro pertanto in silenzio. Mi era andata meglio quella volta che avevo sentito una flautista suonare la Syrinx di Debussy alla luce del crepuscolo. Tra due giorni ci sarà un concerto di cori polifonici, che mi avrebbe interessato maggiormente, ma mi è andata male. A dormire qui c'è una coppia di tedeschi quarantenni, che stanno percorrendo un breve trek in valle. Hanno con sé la guida Rother della GTA, quella dove si dice che gli italiani vanno in montagna solo per un picnic accanto all'auto, o al massimo brevi passeggiate, come del resto noi e loro abbiamo potuto constatare di persona nei giorni precedenti. Lui è completamente ubriaco di vino (d'altronde hanno appena trascorso una settimana di vacanza tra Nizza Monferrato e Alba, che la dice lunga sui suoi interessi). Diamo loro un po' di informazioni sui dintorni e sui rifugi del Monviso. La sera è fresca e umida, cosicché apprezziamo i termosifoni tiepidi, che ci consentono di asciugare buona parte del bucato. La notte una volpe viene a rovistare tra i bagagli di un gruppo di francesi, che avrebbero dovuto venire qui a piedi, ma hanno rinunciato per la troppa neve ancora sui passi.
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Sergio Chiappino
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