Chianale-Chiesa di Bellino
Colle della Battagliola
20 giugno
Diario di viaggio
Dopo il piacevole rientro a Maddalena, la tappa si presenta come double-face, perché mentre la salita al colle dela Battagliola è una purga, per contro la discesa è assai gradevole. Anche oggi era prevista la possibilità di temporali, ma fortunatamente il primo pomeriggio il cielo è schiarito rapidamente senza precipitazioni.
La mattina i tedeschi, diretti anch'essi a Chiesa, fanno colazione molto prima di noi e partono quando ci stiamo appena recando a tavola. Questo era l'unico posto in tutto il viaggio dove avrebbe avuto senso scattare qualche foto all'aurora e pertanto avevo rinunciato al cavalletto compatto, perché portare mezzo chilo in più per otto giorni da usare in una singola occasione mi sembrava uno sforzo inutile. Sto proprio diventando vecchio: cinque anni fa mi ero sobbarcato con entusiasmo quello da due chili per un'intera settimana per impiegarlo una sola notte. Inoltre in paese è stata montata una grande gru, che contamina di modernità l'idillio campestre della borgata, per cui rinuncio del tutto ai propositi bellicosi e mi sveglio con comodo a sole già alto. A colazione Brigitte, che dà in appalto i prati qui intorno per produrre miele millefiori, ci racconta dei suoi problemi con i pastori transumanti. Questi sono soliti arrangiarsi come meglio possono e approfittano di ogni distrazione per arrangiarsi, senza tanti riguardi per le proprietà altrui. D'altronde i loro rapporti con gli stanziali non sono mai stati idilliaci e sono anzi sempre stati considerati da costoro delle specie di profittatori, sempre pronti ad arraffare tutto ciò che capitava loro a tiro. Anche molti di loro sono d'accordo su questo punto e ne fanno motivo d'orgoglio, perché consente loro di cavarsela in una vita errabonda in casa altrui.
Tornati a Maddalena, passiamo per il borgo, triste come solo può esserlo una stazione sciistica fuori stagione o via Montenapoleone con le serrande abbassate. Per gli appassionati di stramberie, ci sarebbe da vedere una chiesa dove gli evangelisti sono raffigurati con sei dita, ma noi puntiamo invece al bazar, dove conto finalmente di trovare qualche cartolina. Altri si fanno conquistare da un camoscio di peluche con zampottoni da cucciolo di gatto davvero irresistibili (e che dire del mammuth, disgraziatamente troppo grosso per i risicati spazi dello zaino?), i più materialisti invece dai croissant della vicina panetteria. Oltrepassiamo il ponte sul Varaita, passiamo dal campeggio per andare a imboccare il sentiero, che per prati fioriti punta verso un gola che scende dal monte Pietralunga, oltrepassa il rio e entra nel bosco. Da qui fin quasi al colletto della Battagliola non c'è molto da raccontare, ma in compenso molto da ansimare e sudare, in quanto la salita si svolge su un sentiero sempre ripido, senza pausa alcuna: i suoi 600 m di dislivello ci sembrano 1500, anche per altissimo tasso di umidità. Non si presenta proprio come un sentiero storico di montanari. Degne di nota le tantissime formiche operaie, alcune radunate attorno a ricchezze misteriose, una con un piccolo scarabeo sulle spalle, varie volte più grosso di lei. Per la maggior parte del dislivello restiamo nel lariceto, per sbucare infine in un alneto sulle ultime rampe. Qui prolificano innumerevoli piantine di veratro, credo perché gli ontani fissano l'azoto nel terreno e il veratro prolifica bene nei terreni azotati, come ad esempio gli scarichi degli alpeggi. In passato questa proprietà era sfruttata nell'Appennino genovese, dove era praticato un ciclo colturale che prevedeva una fase di alneto, poi destinato a essere bruciato per essere sostituito dalle coltivazioni, che per qualche anno avrebbero beneficiato dell'azoto così fissato nel terreno. Il panorama è caratterizzato dalla lunga fascia rocciosa del monte Pietralunga sopra le nostre teste, mentre oltre la valle c'è la catena del Viso in buona parte fagocitata dalle nuvole. Raggiunta una dorsale, troviamo uno spiazzo erboso molto panoramico, dove ci fermiamo finalmente per un po' di contemplazione. Nel prato è ammucchiato qualche osso scarnificato. Segue un traverso tra rododendri, alcuni fioriti, e raggiungiamo infine il colle con un'ultima ripida rampa fangosa.
Il colle prende il nome da una sanguinosa battaglia combattuta a metà Settecento tra piemontesi e franco-ispani, nell'ambito della Guerra di Successione Austriaca. La battaglia fu tanto cruenta quanto inutile, perché il fronte decisivo era un altro, in valle Stura di Demonte, ma qui si combatté lo stesso all'ultimo sangue per carenze di comunicazione e comando dell'esercito francese.
Quando ci affacciamo sulla valle di Bellino, un nuvolone sta risalendo il pendio erboso sotto di noi e il Pelvo d'Elva ne sbuca fuori come sospeso per aria, aggrappato alla nebbia. Quando si dirada, vediamo Chiesa in fondo alla valle, su un conoide di deiezione mantenuto a prato. Al mattino il cielo si era rannuvolato di grossi cumulonembi già alle 10, ma ora si va schiarendo e rimangono solo cumuli alti sopra le cime. Ci cerchiamo un posto più a valle riparato dalla brezza e pranziamo, tra nuvole che vanno e vengono. Sale un signore in MTB in compagnia di un cane e poi scendono due anziani che hanno fatto un percorso selvaggio e avventuroso, salendo da Pleyne. Udiamo i richiami di un corvide, quasi certamente una nocciolaia che sta girando sui cembri dell'altro versante.
Scendiamo lungo la pista militare. Dapprima l'erba è appena spuntata, ma ben presto finiamo circondati da un mare di fiori. Gli anemoni sono i più comuni, ma in un prato vediamo anche della rara fritillaria, qui di colore viola. La strada scende ad ampi tornanti nei prati, dove ci fermiamo continuamente a fotografare. Gli spazi di sereno sono sempre più ampi: pessimisticamente ho rinunciato alla crema solare e la sera la pagherò con un arrossamento generale. Prudentemente porto anche sempre la crema idratante, di cui farò ampio uso. Prima di arrivare a un impluvio, lasciamo la pista e imbocchiamo il sentiero diretto a Chiesa, che scende più ripidamente nell'erba alta. Alternando prati a bosco, perdiamo quota rapidamente in un ambiente molto gradevole. Peccato solo che questi prati non sembrano più pascolati né falciati e sono perciò destinati a sparire. Sono ancora del tutto privi di vegetazione invasiva, per cui l'abbandono sembra recente; magari una pista in costruzione poco sotto di loro permetterà di recuperarne l'uso. Arriviamo a un gruppo di grange, dove funziona ancora un'apprezzata fontana (stavamo per terminare le scorte di acqua, dopo la sudata in salita).
Proseguiamo nell'erba così alta e folta che persino io, di solito immune, mi troverò una zecca aggrappata alla coscia. Attorno a degli alpeggi ci sono alberi piantati, così come a volte al margine del sentiero. Arriviamo a Mas del Bernard, borgata raggiunta dalla strada e abitata, dove sono in corso dei lavori fognari. Raggiungiamo la strada di fondovalle e risaliamo fino a Chiesa, dove gironzoliamo un po' tra belle architetture, prima di trovare il nostro posto tappa. È organizzato in maniera prussiana per dare un servizio adeguato al prezzo più basso possibile, essenzialmente agli escursionisti: è il posto dove ne vediamo di più. I gestori, che parlano tra loro nello stretto dialetto di Blins, dai termini spesso diversi dall'occitano del resto della valle, non sembrano particolarmente interessati all'escursionismo. Il loro figlio adolescente va in giro su un quad, né ci chiedono del nostro giro. Grazie al pomeriggio solatio e agli ampi stendibiancheria a ovest, riusciamo a far asciugare all'aria il bucato, come non ci capitava dal primo giorno. Dormiamo in camerata con un signore inglese, ma dai tratti somatici poco british, che sta facendo un trek senza una meta precisa, ma fermandosi più giorni in un posto e andando a zonzo, seguendo l'ispirazione del momento e le indicazioni che riesce a reperire dagli altri viaggiatori.
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Sergio Chiappino
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