Lago del Chiotas-Terme di Valdieri

Vallone di Lourousa

21 settembre


Lago del Chiotas
Lago del Chiotas

Diario di viaggio

Tappa su mulattiere di origine militare. Scendendo il vallone di Lorousa, non avrei scommesso un centesimo che interessasse anche i pastori, ma poi ho scoperto che mi sbagliavo: una volta le pecore pascolavano attorno al Morelli-Buzzi, per quanto possa sembrare incredibile. Gli ambienti attraversati sono molto severi e austeri.

Per questa mattina avevo programmato un'uscita fotografica all'aurora. Mi ero segnato gli azimut e gli orari del sole nascente sul notes. Ieri sera, tuttavia, il livello infimo dei laghi mi aveva convinto a lasciar perdere. Tuttavia, stamattina vedo l'Argentera incendiarsi dalla finestra del bagno, mentre mi sciacquo la faccia (radermi è fuori discussione, con quest'acqua gelida) e non resisto alla tentazione: corro in stanza, indosso un paio di pile, afferro la fotocamera e mi lancio fuori al gelo. Senza allontanarmi dal rifugio, corro freneticamente a destra e a manca, alla ricerca dei soggetti e della luce migliore. Qualche scatto lo porto a casa.
Il lago è talmente basso che potremmo evitare il giro dalla diga, percorrendo invece la strada sul lato dell'Argentera, normalmente sommersa. Decidiamo però lo stesso di seguire la strada principale, per affacciarci dalla diga verso valle, spettacolo che ricordo impressionante. Non si vede invece il vecchio rifugio, forse coperto dai sedimenti. Il lago, con quello sottostante della Piastra che abbiamo visto qualche giorno fa, forma un sistema che può sia generare energia che immagazzinarla, attraverso un sistema di pompe e turbine che possono mandare l'acqua in entrambe le direzioni. Quando partiamo, fa ancora talmente freddo che indosso i guanti e il cappello. I rivoli ghiacciati sulla strada sono sempre lì da ieri sera. In mezzo alla sterrata, giacciono delle bacche di sorbo succhiate, come quelle di qualche giorno fa. Superiamo il troppo pieno, inutile come non mai, e andiamo a finire sulla strada asfaltata, finché dopo una breve galleria sbuchiamo finalmente al sole, poco prima di finire sulla diga. La temperatura diventa subito piacevole.
Oltrepassato l'altissimo muro di cemento armato, imbocchiamo la mulattiera, che sale con un'interminabile serie di tornanti. Ogni tanto si intreccia con il tracciato di una strada più ampia, abbandonata o forse solo sbozzata e mai realizzata. I fazzoletti erbosi sono molto magri e prevale la pietraia. Ci fermiamo ad osservare alcuni cuccioli di stambecco, che mantengono la distanza di sicurezza. Alcuni si allontanano, uno si sdraia su un masso e aspetta che passiamo oltre. Verso quota 2400, la mulattiera, che si era tenuta sul versante orografico sinistro, traversa e si sposta sul versante opposto, per poi rimontare a zig-zag una zolla erbosa. Peccato non essere con un pullman da cinquanta persone: il serpentone sulla serpentina avrebbe prodotto una bella foto… In alto le pietraie diventano ancora più estese, fino a far scomparire quasi del tutto i già stentati prati. Superato il bivio per il passaggio del Porco, oltrepassiamo una spalla che ci immette in una grande conca di sfasciumi. Alle nostre spalle è intanto di nuovo spuntato il Gelas. Con un traverso, raggiungiamo il colle del Chiapous, dove ci fermiamo per una pausa. Ci accomodiamo presso un diruto ricovero militare, su un prato di erba pungente, al sole e al riparo dalla brezza fresca che soffia da nord.

Il vallone di Lourousa, che ci apprestiamo a discendere, è ancora più pietroso del canale di salita, se possibile. Il panorama è dominato sullo sfondo dal Monte Matto, che potrebbe chiamarsi così per via delle slavine, che i suoi ripidi canaloni riversano copiosamente a valle delle Terme, anche in periodi non sospetti, rendendole inaccessibili per gran parte dell'inverno. Il sentiero di discesa è molto sassoso e lo dobbiamo perciò percorrere a piccoli passi, per evitare di prenderci una storta o di rotolare su una pietra mobile. È una purga moderata. Non so perché, ma mi ricordo bene che, quando anni fa lo percorsi in senso inverso, in questo tratto tentavo di spiegare le meraviglie della regola di Scheimpflug al mio compagno di viaggio. Al Morelli-Buzzi ci attende una famiglia di stambecchi. Il maschio sta leccando il sale dalle pietre sul piazzale dove ci sono i tavoli esterni, mentre la femmina e il cucciolo se ne stanno più in disparte. Il maschio non mostra timore, ma mantiene comunque uno spazio di sicurezza tra noi e lui. Ad un certo punto notiamo che la femmina perde bava dalla bocca. Ci chiediamo se sia dovuto al sale che stanno leccando o a qualche malattia (ad esempio la rabbia dà questi sintomi). Negli ultimi anni il numero di stambecchi si è ridotto per l'aumento della mortalità infantile. Arriva poi un signore francese molto chiuso e solitario, che sta facendo un giro appoggiandosi ai locali invernali dei rifugi; ieri sera era al Remondino, ha svalicato dal passo del Brocan e stasera dorme qui. Il rifugio ha dovuto chiudere anche per mancanza di acqua, ma dopo la pioggia di qualche giorno fa, oggi la sorgente è di nuovo attiva e butta acqua ghiacciata.
La discesa prosegue tra altre pietraie, fino ai primi imponenti larici secolari, che sopravvivono isolati in questo ambiente estremo. Ce ne sono di analoghi in altri posti simili, come ad esempio la val Morta che sale dal Piano del Valasco all'omonimo colletto. Il sole sta nel frattempo per scendere dietro la pareti alla nostra sinistra. Meno male che il sentiero si mantiene sul lato meglio esposto: all'ombra non ci stiamo che per pochi istanti, quando ci avviciniamo al centro. Dove tornano finalmente ad apparire dei prati, incrociamo una coppia di trentenni francesi diretti al Genova. Lei sembra molto provata dalla salita e ci descrive come una prova terribile la piccola colata di pietre, che dovremo superare a breve. Non so a che ora siano partiti per essere ancora qui a metà pomeriggio o a che ritmo abbiano proceduto; facciamo due conti e vediamo che non arriveranno al rifugio che al crepuscolo o anche più tardi.
Procediamo in discesa e superiamo la piccola colata di pietre, ben assestate. Siamo in vista del Lagarot di Lourousa, un minuscolo laghetto, profondo appena un palmo, dove i larici cominciano ad infittirsi. Si trova ai piedi del famigerato Canalone di Lourousa, dove una volta c'era un nevaio permanente, da cui passò anche Coolidge durante la prima ascensione dell'Argentera. Ci è morta più gente che nella campagna di Russia, perché, su un pendio così ripido, basta un nonnulla per perdere la presa sulla neve, e a quel punto non c'è più modo di fermarsi, come ci spiegherà l'albergatore delle Terme. Su un masso ci sono alcune lapidi; la più vecchia è di due alpinisti torinesi, morti negli Anni Cinquanta del Novecento, a cui è stato intitolato un bivacco nel Parco del Gran Paradiso. Sopra il canalone troneggia il parallelepipedo arrotondato del Corno Stella, una impegnativa cima, una lama di roccia. Ci fermiamo a fare merenda sul poggio solatio a monte del laghetto, che durante la nostra permanenza sarà raggiunto dall'ombra.
Restiamo ancora brevemente tra larici e radure, per poi entrare in un bosco continuo, prima di larici, più in basso di latifoglie con prevalenza di faggio, separati da una zona intermedia di aceri. Il sole frontale, ormai poco sopra la Testa del Claus, filtra attraverso le foglie e le rende traslucide. Sul pendio che conduce alle terme, odiamo un brontolio salire dal fondovalle. Scendiamo un paio di tornanti e il rumore si delinea: sono i campanacci delle vacche in transumanza. Le vediamo anche da un poggio, sui tornanti a valle dello stabilimento. Quando arriviamo alla strada, dalla traccia di fatte capiamo che arrivano dal Valasco. L'Hotel Royal non sembra sprangato, ma non c'è nessuno nella piscina. Fu voluto da Vittorio Emanuele II in persona, quando scoprì la zona e la elesse a suo terreno di caccia, ma le terme erano frequentate dai Savoia fin dal Cinquecento, quando una duchessa ebbe miracolosi benefici alla salute da un soggiorno. Noi alloggiamo in un albergo più modesto, dove però avremo la miglior cena del viaggio, leggera e gustosa; sopratutto la doba, lo spezzatino occitano cotto nel barbera, lascerà il segno.

Galleria fotografica

Lago del Chiotas
Lago del Chiotas
Argentera
Argentera
Vallone di Brocan
Vallone di Brocan
Rocca Barbis
Rocca Barbis
Lago del Chiotas
Lago del Chiotas

Stambecchi al Morelli-Buzzi
Stambecchi al Morelli-Buzzi
Rifugio Morelli-Buzzi
Rifugio Morelli-Buzzi
Vallone di Lourousa e Monte Matto
Vallone di Lourousa e Monte Matto
Larice
Larice
Larice
Larice
Vallone di Lourousa e Monte Matto
Vallone di Lourousa e Monte Matto
Lagarot di Lourousa
Lagarot di Lourousa
Canalone di Lourousa e Corno Stella
Canalone di Lourousa e Corno Stella

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Sergio Chiappino

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