Chiesa di Bellino-Meira Garneri
Colle della Bicocca
21 giugno
Diario di viaggio
Oggi, per evitare un tratto lungo il torrente, che temiamo monotono, e la risalita pomeridiana, decidiamo di distaccarci dal percorso previsto per salire invece al colle Bicocca e raggiungere Meira Garneri dal colle di Sampeyre. Non so se sia stata una buona scelta, perché il tratto più bello sono stati i prati attraversati dopo che ci siamo ricongiunti al Valle Varaita Trekking. Oggi è prevista instabilità più marcata che nei giorni precedenti, ma saremo graziati, prendendo solo poche gocce.
La partenza ci regala una cartolina con Chiesa, le vacche al pascolo e l'infilata della valle. Un vecchio intento a pascolare le vacche ci rassicura che oggi non pioverà, «almeno fino a mezzogiorno», aggiunge dopo un attimo di pausa. Forse non era indispensabile una secolare saggezza contadina, per sapere che i temporali di calore arrivano nel pomeriggio. Ci superano i due tedeschi incontrati a Chianale, che salgono come noi al colle Bicocca, ma scenderanno poi probabilmente dal colle Terziere su Casteldefino su un sentiero per degli alpeggi. Sulla nostra carta è indicato come incerto e destinato a perdersi, ma al colle lo troveremo indicato da una palina. La salita al colle Bicocca, che avevamo già percorso anni fa con le ciaspole, è decisamente più graduale e piacevole di quella al colle della Battagliola, ma altrettanto monotona. Saliamo infatti con una teoria di tornanti in un lariceto con qualche cembro, forse in passato pascolato, con l'unica interruzione di un paio di piccoli alpeggi diroccati con vista sul Viso, anche oggi coperto.
Ancora nella prima parte della salita, ci supera un pastore su una moto da trial, accompagnato da un cane bianco, che ci gira al largo. Più in alto, ci raggiungono e superano anche un cane da pastore con collare antilupo e un cucciolo; il cane ha un atteggiamento coì affettuoso nei confronti del cucciolo che a lungo lo riterremo la madre, fino a quando ci accorgeremo che è un maschio. Non vedremo più il pastore, ma udiremo dei campanacci provenire dalla nostra destra, dove è diretto un sentiero diretto a Celle, non riportato sulla nostra cartina. I due cani ci anticiperanno invece al colle della Bicocca, dove poi gireranno un po' spersi e penseranno anche ad aggregarsi a noi, salvo poi ritornare sui loro passi. Al crescere della quota ci imbattiamo anche in fioriture, soprattutto viole. Raggiunta una spalla da cui si vede il colle, vediamo sfrecciare in discesa un gruppo di una decina di ciclisti. Nell'ultimo tratto, meglio esposto rispetto a gran parte della salita, rivolta a nord, qualche rododendro è fiorito, mentre più in basso la stagione era più arretrata.
Al colle troviamo una moto da cross parcheggiata, senza tracce del guidatore, e i due cani intenti a rincorrersi e a giocare alla lotta. Ci fanno anche chiaramente capire di avere fame, infilando il muso nello zaino, ma non apprezzano il nostro pane. Il più grande tenta anche di marcare il mio zaino con la sua pipì, ma lo fermo in tempo. Il paesaggio sull'altro versante è completamente diverso da quello salito: c'è un'ampia testata valliva, interamente prativa, sovrastata dalla mole del Pelvo immerso nelle nubi. In lontananza, nella foschia, si riconosce la caratteristica sagoma del monte Bettone, all'altro capo della conca di Elva, a picco sull'orrido dove corre la vecchia strada ora chiusa al transito. L'aria è fresca, come del resto lo è stata per tutta la salita, anche se l'umidità ci ha fatto sudare lo stesso. Soffia anche una brezza, per cui decidiamo di cercarci un posto più riparato per mangiare un boccone. Proseguiamo perciò sulla sterrata diretta al colle di Sampeyre, controllando che i cani non ci seguano, e ci fermiamo a bordo strada nei pressi del colle Terziere, poco sopra gli scarni resti di una grande costruzione militare. Durante la sosta, sentiamo un cinguettio incessante, che una consultazione di internet ci conferma essere quello di un'allodola.
Intanto le nuvole si addensano in questa zona e il tratto successivo sarà pertanto in una nebbia fredda e buia. C'è una gran fioritura di anemoni. Alcuni prati sono invasi dalla carice rigida, una piantina che prolifica nei terreni eccessivamente pascolati e calpestati e non adeguatamente fertilizzati, perché a monte delle stalle più elevate. Intanto le nuvole vanno da un'altra parte, consentendoci di scorgere da lontano la borgata Serre di Elva, quella con la celeberrima Crocifissione di Clemer. Siamo nei pressi di una bizzarra formazione erosiva, credo di calcare, simile ad altre viste in altri posti. In lontananza, sul versante opposto della vasta conca di Elva, si notano coltivazioni di erbe aromatiche ed officinali, facilmente riconoscibili per i teloni posti sul terreno per riscaldarlo. Finita l'era dell'agricoltura di sussistenza, della patata e della segale destinate agli affamati montanari, oggi l'agricoltura di montagna può sopravvivere producendo beni superflui, destinati ai sazi metropolitani, per nutrire il loro bisogno di natura incontaminata frutto della civiltà industriale della pianura. La storia del genepy, una tra le più diffuse di queste erbe, è doppiamente emblematica in questo senso, in quanto l'uso come liquore oggi comune è un prodotto della rivoluzione industriale, che ha messo a disposizione l'alcool in cui macerarlo (prima era adoperato come tisana). Incrociamo una signora tedesca con il bucato appeso allo zaino, evidentemente una viaggiatrice come noi, ma con uno zaino grosso la metà dei nostri da 50 litri. Finisco sempre con il riempirlo con comfort, che poi peraltro uso in quasi tutti i viaggi, e invidio pertanto coloro che riescono a viaggiare con un carico minimo. Peraltro una volta anch'io mi portavo uno piccolo zaino da 35 litri, ma poi ho visto che viaggiare con qualche comodità in più non pregiudicava il mio godimento, perché ce la facevo lo stesso senza penare. Adesso viaggio con binocolo, un litro e mezzo d'acqua, ghiaccio istantaneo, a volte cavalletto, sandali confortevoli, pantaloni da riposo, ma con il procedere dell'età dovrò lasciare a casa qualche accessorio. I miei compagni di viaggio, che hanno qualche anno più di me, hanno già raggiunto questa fase.
Al termine di un tratto noioso, ci fermiamo un po' su dei pietroni a un quarto d'ora dal colle di Sampeyre, per poi ripartire bardati di guscio e coprizaino quando comincia a tuonare e gocciolare. In lieve salita, avvolti da una nebbia sempre più fitta, passiamo da una baita di legno e raggiungiamo il colle, dove ci sono un monumento e una monovolume bianca attrezzata per passarci la notte. Seguiamo la strada asfaltata diretta in val Varaita, fino a trovare il sentiero alternativo. Le nuvole sono molto fitte e il cielo continua a brontolare. La traccia non è sempre marcata e i segnavia sbiaditi, ma non è difficile restare sul percorso giusto, in quanto non ci sono bivi. Attraversiamo un pascolo arborato di radi larici, invaso da rododendri (in parte fioriti), chiaro segno di abbandono da qualche decennio, in quanto i pastori erano soliti bruciarli, perché sottraevano spazio all'erba. L'ho visto fare anche di recente. La nebbia si dirada e i più ottimisti si tolgono anche il guscio per stare più freschi. Oltrepassata una conca, il sentiero scende diritto e sconnesso in un bosco più fitto con anche legno morto, altro segno di mancanza di intervento umano, anche se stavolta benefico, in quanto aumenta la fertilità del suolo e la sua biodiversità. Arriviamo al ricongiungimento con il Valle Varaita Trekking, che individuiamo anche grazie a dei cartelli che indirizzano al nostro rifugio, proprio mentre comincia a piovere. Risaliamo dei prati fioriti di giallo, senza traccia ma con visibili tacche biancorosse, avvolti da una densa nebbia e bagnati da una lieve pioggerella. Dopo essere risaliti ancora un po' per piccoli prati e bosco rado, descriviamo un traverso, per poi scendere alla carrozzabile del colle. La attraversiamo e un sentierino nel fitto della vegetazione ci conduce al rifugio.
Dobbiamo fare un lungo giro per evitare le ruspe e il fango che la loro presenza comporta. Sono in corso grandi lavori per adeguare l'impianto fognario a un ingrandimento in corso, in quanto a breve sarà inaugurata una SPA. La struttura è di proprietà di una famiglia che possiede già un grande albergo a Sampeyre e evidentemente ha piani ambiziosi; è dato in gestione a due giovani. Il posto è di gran lunga il più lussuoso di quelli visti in tutto il viaggio, come traspare già dalla sala bar all'ingresso ed è confermato dall'arredamento delle stanze. La struttura è molto calda, grazie a un buon isolamento termico, e ha le rifiniture in legno e pietra. La stanza riscaldata ci permette di lavare e asciugare tutto, nonostante il temporale che si scatena dopo il nostro arrivo.
Oltre ai due gestori e ai cuochi, ci abitano un pastore del bernese e un gattino affettuoso che adora mordere. Nella sala da pranzo è trasmessa un playlist di musica italiana ricercata, da De Andrè a Caparezza; evidentemente è presupposta una permanenza più breve della nostra, perché sentiremo tre volte le stesse canzoni.
Galleria fotografica
❮ ❯
© 2008-2024
Sergio Chiappino
Questo opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.