Terme di Valdieri-Malinvern
Valasco
22 settembre
Diario di viaggio
La tappa di oggi è per me la più risaputa del trek, visto che ho girato la conca del Valasco in lungo e in largo negli anni scorsi. Anche se in genere prediligo montagne più verdi, adoro questa zona. Purtroppo, per non fare troppo tardi, saremo costretti a rinunciare alla splendida mulattiera tra i laghi del Claus e di Valscura. Il vallone di discesa sarà un po' cupo, forse anche per la luce sfavorevole.
La mattina è molto meno fredda di ieri. Sarà la quota, sarà che le temperature sono in risalita, dopo il flusso freddo della scorsa settimana. In questo viaggio ho portato con me un termos, al posto della solita borraccia, da farmi riempire al mattino con della tisana calda. I primi giorni è stato molto utile, mentre da ieri è diventato un di più da socializzare a termine pasto; al Morelli-Buzzi ho avuto bisogno e ho apprezzato la sorgente fredda. Sarà così anche oggi.
Ci incamminiamo lungo la strada militare diretta al Valasco. Al primo tornante, la lasciamo per seguire il vecchio sentiero, che conserva qualche memoria del passato, come lapidi ed edicole votive. In una zona spoglia, che dà l'impressione di essere una via preferenziale delle slavine, si ricongiunge alla strada, dopo averla lambita varie volte. Il Valasco è accessibile solo in primavera, a neve trasformata, a causa di questa zona pericolosa. Giunti alla cascata immediatamente a valle del piano, un paio di noi si fermano a fotografarla, mentre io mi dirigo deciso a dissetarmi alla sorgente.
Al Valasco pascolano un gregge di pecore e vacche da carne, sullo stesso terreno. Una volta non era raro che vacche e pecore dividessero il pascolo, con le seconde relegate però in terreni marginali, dove le prime avevano difficoltà di accesso. Ci dirigiamo all'ex casa di Caccia di Vittorio Emanuele II. Come del resto tutte le montagne qui intorno e anche l'edificio del Questa, sono di proprietà di un privato, di cui ci hanno diffusamente parlato nei giorni precedenti. Dopo decenni di degrado, all'inizio degli anni Duemila è stata ristrutturata e trasformata in rifugio; più recentemente è stata anche ripristinata l'originaria intonacatura esterna a bande rosse e gialle. L'effetto è sul genere tamarro, ma d'altronde non ci si possono aspettare gusti raffinati da una persona che si divertiva ad sterminare animali che gli venivano mandati addosso in preda al terrore. Il piano non ha solo rilevanza turistica e zootecnica, ma anche naturalistica, come del resto molte zone analoghe. Si tratta di un classico piano di sbarramento glaciale, che in origine era un lago, poi colmato dai detriti e divenuto zona umida. In anni recenti, è stata qui scoperta una cimice d'acqua caratteristica dell'Europa Centrale e Settentrionale.
Al rifugio c'è una classe di quinta elementare in soggiorno. Al nostro arrivo i bambini scorrazzano felici sui prati; quando riprendiamo la marcia, le maestre li hanno radunati e li stanno facendo cantare delle canzoni atroci. La nostra solidarietà va a quel fanciullo che si è ritirato in disparte e sta piangendo a dirotto.
Risalendo la scarpata, raggiungiamo la strada, qui dal fondo molto sassoso, che guadagna quota restando sul bordo del piano. Raggiunge in breve il piano superiore, che è anche il limite massimo del pascolo. Da qui in poi, infatti, le montagne diventano rocciose e non hanno più terreni adatti al bestiame, a parte minimi fazzoletti. La strada militare, che è diretta ai laghi di Fremamorta con un lungo giro, sale molto regolare a tornanti. In qualche punto notiamo il tracciato della precedente mulattiera. Dai giornali d'epoca sembra di capire che fosse stata in origine costruita per Vittorio Emanuele II, già nei primi anni della riserva. La sua importanza strategica fu subito colta dai comandi militari, per cui già nel primo Novecento fu resa carrozzabile. Erano gli anni in cui l'Italia era alleata con l'Austria-Ungheria, in seguito agli screzi con la Francia per questioni coloniali. Le opere furono abbandonate allo scoppio della Grande Guerra, quando le alleanze cambiarono e i combattimenti avvennero sulle Alpi Orientali. Un primo grande lavoro di ripristino fu fatto sul finire degli Anni Venti (una incisione in val Morta riporta il nome del battaglione Alpini Dronero e l'anno 1929) e ancora successivamente, quando fu costruito il lungo tornante con la galleria, per permettere il trasporto dell'artiglieria pesante. La strada e le strutture furono manutenute ancora fino alla fine della guerra, in previsione di un attacco che stavolta non si verificò mai, perché le truppe alleate preferirono risalire la penisola.
Arrivati al bivio a quota 2000 m, all'ombra di un larice secolare teniamo un conciliabolo. Abbiamo infatti due possibilità. La prima è continuare a seguire la strada, che punta direttamente al lago di Valscura. La seconda è di arrivarci per un giro più lungo, che bordeggia il lago del Claus, intrigante per la forma convoluta, e poi percorre un magnifico tratto di strada, mirabilmente costruita in una pietraia caotica. La voglia di prendersela più comoda e non di arrivare in rifugio con l'acqua alla gola alla fine prevalgono e saliamo per la diretta. Quasi subito ci dividiamo in due gruppi: io, che ho già percorso la strada un paio di volte, seguo la precedente mulattiera, mentre gli altri seguono filologicamente la via nuova, che è più deteriorata. Le rocce sono rossastre, per la presenza di minerali di ferro. Secondo la guida di Boggia da queste parti la declinazione magnetica è anomala. Da questa zona si vedono bene il selvaggio vallone di Prefouns e la val Morta, che la strada risale a svolte, diretta al Colletto del Valasco.
Una volta che ci siamo ricongiunti, proseguiamo lungo la rotabile, che, tra gli ultimi larici e cembri, con alcune svolte ci porta in vista dei ruderi di casermetta, subito prima del lago. Proprio all'ultimo sbucano le vette dell'Argentera e della Cima di Nasta, oltre la valle del Gesso della Valletta. Ci fermiamo su una roccia montonata nei pressi dell'emissario. L'impressione che ho è che questo lago, come quello del Claus e delle Portette, ma anche la conca del vallone di Prefouns, fossero i circhi glaciali wurmiani, da cui scendevano le seraccate verso i due pianori del Valasco. La voglia di fare una corsa alla mulattiera nella pietraia è tanta, ma prevalgono la pigrizia e il desiderio di un giro fotografico attorno al lago. Lungo le sponde vediamo transitare e anche fermarsi dei ciclisti e degli escursionisti. Si vedono due strade proseguire. La prima che costeggia il lago e punta a un primo grosso ricovero e poi a un secondo sullo spartiacque (come detto allora il confine correva più a valle). La seconda invece lascia subito le sponde e rimonta dei pendii erbosi. Consultata la carta, capiamo che dobbiamo seguire quest'ultima.
Attorno al lago ci sono i resti di parecchie casermette. Il lago di Valscura era uno snodo importante della linea difensiva, dove c'erano depositi di materiali, armi, munizioni e alloggiamenti per le truppe. La Bassa del Druos era infatti considerata una via preferenziale di attacco, data la facilità di accesso su ambo i versanti. Per questo furono edificate opere di retrovia, per creare un secondo argine. Queste in verità erano previste su tutto il confine, ma i lavori andarono a rilento e molti progetti non furono mai realizzati.
Il tragitto prosegue con una lunga serpentina tra magre zolle erbose e pietraie rosse. Il panorama si amplia e modifica a mano a mano che saliamo e riusciamo a vedere oltre le dorsali vicine. Per poco non vediamo dall'alto la mulattiera nella pietraia. Al colle troviamo ai nostri piedi un vallone molto più pietroso di quello salito, dove spicca un fazzoletto verde in un vallone laterale sospeso, da cui credo passi il sentiero diretto a Sant'Anna di Vinadio; in lontananza scorgiamo le familiari cime di Rocca la Meja e del Monviso, oltre a molte vette ignote. Rispetto alla valle salita, questo vallone ha meno punti notevoli. Ci fermiamo sulle rocce, godendoci il pallido sole, filtrato da alcune velature.
Nel primo tratto di discesa ci aspetta invece l'ombra della Testa Malinvern. Quasi subito scorgiamo un camoscio adulto con due cuccioli, che si rifugiano sulla parete della cima. Un quarto rimasto più in basso invece non si allontana e ci soffia. Soffiare è un segnale di avvertimento comune a molti animali e significa più o meno «Stai lontano» (penso sia per questo che molti gatti sono spaventati dall'aspirapolvere). È la prima volta che un camoscio mi soffia contro di giorno: di solito si allontanano e basta; solo una notte due mi avevano avvisato così. Mi è capitato più spesso con gli stambecchi, che a volte scaricano anche delle pietre e, secondo la gestrice del rifugio di stasera, caricano pure.
Tornati al sole, proseguiamo la discesa in un ambiente spoglio, di soli sassi, senza un filo d'erba. Il fondo del sentiero è sassoso, irregolare, scomodo. Il paesaggio migliora quando siamo in vista del lago Malinvern, di cui prima appare solo la porzione affacciata sul cordone morenico che lo sbarra a valle. Da questo lato, spicca un dosso di roccia levigata dai ghiacciai, presso la cui cui sommità è cresciuto un cembro, in una di quelle fessure usate dalle nocciolaie come riserva dei suoi pinoli. Superato il cordone, riusciamo ad ammirare anche il resto del lago, che a monte è chiuso da aguzzi picchi rocciosi. Sul dosso affacciato a valle, c'è un esiguo prato, dove ha pascolato del bestiame. Ci fermiamo qui a goderci l'ultimo sole. Dal nostro stesso sentiero scendono quattro escursionisti con zaini di giornata. Una signora del gruppo ci dice che se il paradiso fosse come qui, lei si arruolerebbe. Forse un po' piccolo come paradiso, in una zona abbastanza inospitale.
Raggiunta la sommità del dosso, ci affacciamo su una valle già in ombra, dai contorni un po' tenebrosi, senz'altro non ameni. Tra l'altro, la luce piatta dovuta all'ombra dei monti e alle velature e l'atmosfera un po' fosca rendono la visione ancora peggiore. Il sentiero discende il ripido pendio a tornanti. Il fondo molto sassoso mi suscita una certa pena e compassione per le povere vacche, che lo hanno dovuto percorrere in su e in giù per andare a brucare due fili d'erba striminziti. Anche qualcuno di noi è in sofferenza. Verso il fondo del vallone, pur in assenza di cartelli capiamo che a un bivio dobbiamo prendere a sinistra, verso la traballante passerella che valica il torrente. Una volpe si sta allontanando dalla zona, una conca assai pietrosa, con poca erba, dove pascolano delle vacche. Ad uno ad uno affrontiamo la passerella (il più pesante per ultimo) e poi tutti insieme l'ultima salita che ci porta al rifugio. Sono le 18.30 e siamo arrivati giusto in tempo per la cena.
Mangiamo così presto perché il rifugio ha carenza di elettricità e la gestrice vuole portarsi avanti con il lavoro, prima che diventi buio. La centralina idroelettrica fornisce pochissima corrente a causa della siccità e il generatore di riserva ha qualche problema cronico, per cui può girare solo a intervalli limitati di tempo. Ad ogni modo la sera avremo dell'acqua calda per lavarci, nonostante i disagi. Oltre a noi, al rifugio ci sono dei tedeschi, che concluderanno domani il loro viaggio alle Terme. La gestrice si chiama Katia ed è una nazionale di sci-alpinismo; ha una cagna molto affettuosa e anche abbastanza sfacciata di nome Neve, che la segue nei suoi allenamenti. Quando stacca il generatore e spegne le luci usciamo a guardare la Via Lattea. La temperatura è molto più mite che nelle scorse sere.
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Marittime, scoperto un nuovo insetto acquatico, Piemonte Parchi
First records in Italy of the red-listed shore bug Salda henschii (Reuter, 1891) (Hemiptera: Heteroptera: Saldidae)
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Sergio Chiappino
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