Malinvern-Aisone
Forti di Vinadio
23 settembre
Diario di viaggio
Oggi ultima tappa con discesa a valle, lungo il percorso di Lou Viage, il trek ad anello della valle Stura, improvvisando anche un po'. Infatti in origine avevamo previsto di scendere a Vinadio, ma all'ultimo preferiamo puntare su Aisone.
I tedeschi fanno colazione molto presto e si dileguano mentre noi scendiamo nella sala da pranzo. Dopo colazione, trascorro il tempo lanciando la palla a Neve, mentre i miei amici chiacchierano con Katia, che si appresta a scendere a valle. Oggi il rifugio sarà chiuso. La prima parte di discesa segue la noiosa strada, perché non ci sono alternative. Ci supera quasi subito il fuoristrada della gestrice, preceduto da Neve, che approfitta del viaggio per fare una corsetta. A bordo strada pascolano alcune vacche. Già ieri avevo avuto l'impressione che questa conca rocciosa non fosse il massimo per loro, ma quando le vedo brucare gli aghi dei larici e le foglie degli ontani, ho la conferma che queste sono tenute malissimo e abbandonate a sé stesse. Del pastore non c'è traccia: sale giusto ogni tre giorni a dare un'occhiata.
L'infilata del vallone alle nostre spalle è dominata dalla scura piramide della Testa Malinvern, mentre i suoi ripidi fianchi sono invece solcati da canaloni di slavina. Uniti al cielo velato e alla foschia che tutto sbiadisce, rendono l'atmosfera cupa. Nel giorno festivo, incrociamo un po' di gente che ha lasciato l'auto al divieto e sale a piedi. Due vecchi cacciatori con a spalle fucili più grandi di loro, accompagnati da una badante depressa e sconsolata, scrutano un pendio cespuglioso. Nell'aia della casa nei pressi del divieto, i proprietari stanno accatastando legna su un rimorchio.
Improvvisamente percepisco una sensazione di freddo, che mi fa fermare per coprirmi con uno strato in più: siamo scesi sotto l'inversione termica. Già a San Giacomo alcuni vecchi mi avevano detto che ad Entracque quella mattina faceva più freddo che lì in quota. Il sole viaggia ormai basso e le inversioni sono tipiche della stagione fredda; speriamo che porti finalmente pioggia e neve. Superiamo alcune grange con i tetti di lamiera, caratteristici della valle Stura. Finalmente il sole raggiunge lo sprofondo di questo vallone, in una zona di sorbi e frassini. Stando alti, costeggiamo un lago artificiale, chiamato bacino di Rio Freddo. Sulle sue sponde è appollaiato un tarabuso, che riusciamo a osservare al riparo della fitta vegetazione. A valle della diga, lasciamo la strada che scende verso il fondovalle e ci portiamo sull'altra sponda del vallone. Sono ormai due ore che camminiamo e al ponte facciamo una pausa al sole finalmente caldo.
Risaliamo ancora brevemente la strada, diretta ai locali di sevizio della diga, per poi imboccare una mulattiera militare diretta al forte Piroat, che già avevamo scorto da lontano costeggiando il lago. Lungo il traverso, la vegetazione muta spesso, passando dai faggi alle querce agli abeti, cioè alberi che prediligono condizioni climatiche anche molto diverse tra di loro. Arrivati al forte, cintato da una rete per impedire l'accesso, ci dividiamo. Infatti cartina e cartelli danno indicazioni diverse su come raggiungere il forte Sestrera. La prima indirizza verso il proseguio della mulattiera militare, che fa un giro ampio, i secondi verso un sentiero, che invece sale dritto per il pendio. Ci ritroviamo quindi al forte superiore, nonostante i due del sentiero perdano un bivio. Anche questo è cintato. L'ambiente circostante ha un aspetto triste. La luce è pessima per il cielo velato e la foschia. Di fronte a noi c'è il monte Nebius, mentre più a est il monte Aighera, una cima rocciosa che confondo con la Testa di Peitagù, salvo accorgermi più tardi dell'errore. Sotto c'è il forte precedente, che domina dall'alto lo stabilimento dell'acqua minerale. Ci fermiamo a pranzare in uno spiazzo, su una panca accanto ai resti di un fuoco.
Costeggiamo poi il forte e scopriamo che la rete è stata sfondata in un punto, consentendo l'accesso a chi lo desidera. Per scendere a valle ci sono due opzioni: un sentiero diretto che punta a Vinadio, oppure una sterrata che scende gradualmente a metà strada tra Vinadio e Aisone. Visto che le ginocchia ci serviranno ancora per gite future, optiamo decisamente per la seconda. Scende a tornanti puntando verso est e attraversa una grande quantità di boschi diversi, oltre che di zone affascinanti di nude rocce calcaree. C'è anche un bosco misto di faggi e abeti bianchi, retaggio di un clima piovoso che quest'anno è solo un ricordo. La vegetazione poi cambia al calare della quota, diventando da mezza montagna, con ciliegi e frassini. Vediamo la vera Testa di Peitagù sopra Aisone e, da un tornante, Vinadio, con il forte, i vivaci tetti di lamiera colorata e l'ecomostro, che però da qui non spicca come da latri punti di vista. Dobbiamo anche superare dei canaloni da cui è franata una gran quantità di terra, in occasione di qualche alluvione.
Raggiungiamo il fondovalle. In origine avevamo previsto di puntare su Vinadio, ma alla fine abbiamo preferito Aisone, per calpestare meno asfalto e per un bar molto accogliente che ricordiamo da una gita precedente. Al bivio presso il ponte di ferro prendiamo perciò a destra, sulla pista sterrata che attraversa i prati dell'ampio fondovalle alluvionale. Da qui i segnavia sono a volte un po' consunti e difficili da individuare, ma ci sono. Tra vecchi edifici rurali, salici, pioppi (vegetazione ormai di pianura) confluiamo nuovamente sulla strada asfaltata. Nel tratto di pista ai margini di una borgata è in corso un torneo di petanque, in occasione di una festa patronale. Seguiamo brevemente l'asfalto e troviamo quindi un segnavia su un palo, che ci indirizza nuovamente tra i prati, dove pascolano delle vacche già demonticate. Una volta i pastori facevano a gara a scendere prima per fregare ai colleghi l'erba migliore; chissà se è ancora così. Costeggiamo la vegetazione ripariale lungo la Stura, con vista sulle imponenti cavità delle grotte di Aisone, che nel neolitico offrirono un riparo ai primi colonizzatori di questa valle. A monte c'è la zona rocciosa attraversata dallo spettacolare sentiero che abbiamo percorso la scorsa primavera. Raggiunto il ponte stradale, puntiamo verso la muraglia che sorregge la statale. Il trek si conclude in salita. Prendiamo qualche consumazione al bar, seduti nel dehors, tra il rombo delle moto che nei festivi salgono al colle della Maddalena. Non dev'essere molto tranquillo qui, tra questi ospiti domenicali e i TIR che nei feriali fanno la spola con il sud della Francia o lo stabilimento dell'acqua minerale. Alcuni nuvoloni si addensano sulla valle, ma neanche stavolta porteranno le desiderate piogge. Scendiamo infine alla fermata dell'autobus, che ci porta Borgo San Dalmazzo, dove abbiamo lasciato l'auto una settimana fa.
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Sergio Chiappino
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