Rore-Melle
San Maurizio
23 giugno
Diario di viaggio
Tappa di bassa montagna, tra boschi e minuscole frazioni dell'ubac, dal latino opacum, come in occitano è chiamato il lato rivolto a nord e quindi ombroso, in queste valli che corrono da est a ovest. Almeno nelle zone attraversate da noi, rispetto all'adrech è decisamente meno affollato dal turismo domenicale: vediamo solo qualche villeggiante nelle frazioni e nessun merendero. Dislivello e durata della tappa sono superiori a quanto riportato nell'opuscolo degli ideatori.
Attraversiamo il paese accompagnati da vari gatti e riempiamo la borraccia alla fontana. Scendiamo quindi nei prati sottostanti, dove vediamo un vitello dentro una gabbia di legno, accompagnati dal rombo del traffico domenicale sulla provinciale. Poco prima di raggiungerla, imbocchiamo un sentiero erboso, per fortuna calpestato dalle vacche, che la sottopassa e attraverso un bosco fitto sbuca su una strada asfaltata diretta a Cugnet. La seguiamo, nella totale assenza di segnalazioni ai bivi, dove ce la caviamo con la cartina. All'ingresso di Giarassi, vediamo dei segnavia che indirizzano su una mulattiera invasa dall'erba alta, diretta alle case. La evitiamo, per non riempirci subito di zecche e rugiada, e saliamo invece alle case da una traccia poco più avanti. Un signore del posto ci spiega però che dobbiamo invece restare sulla strada asfaltata di accesso, come sembrava dalla descrizione, e così facciamo. Ad ogni buon conto, mi scarico la traccia GPS della tappa sul cellulare.
A un tornante lasciamo la strada asfaltata e la traccia GPS, per seguire invece i cartelli e le tacche biancorosse, che restano su una pista sterrata interdetta al traffico motorizzato non autorizzato. Su questa ci supera un SUV bianco, che vedremo parcheggiato più avanti, mentre in verso opposto scende in retromarcia un pickup ammaccato, che trasporta una balla di fieno. Restando sulla pista, saliamo nel bosco, guadando due volte un rio e riallacciandoci al percorso previsto a monte di Cugnet. A un bivio ci mettiamo un po' a trovare un segnavia, su una pietra sepolta nell'erba alta, e poco dopo siamo a Lusiero, frazione dimenticata che prende il nome da una cava di lause (lose in dialetto piemontese), le pietre piatte in cui si sfaldano le rocce scistose e che in valle erano ampiamente usate per i muri e i tetti. Nei pressi c'è un pilone votivo datato 1723, il più antico della zona, che raffigura san Chiaffredo inginocchiato davanti alla Madonna con Bambino.
Il sentiero sale nella faggeta e attraversa poi una zona disboscata, dove sono stati lasciati in piedi gli esemplari da seme (il faggio produce le faggiole a partire da 70-80 anni). Confluiamo su una pista sterrata, chiaramente quella lasciata al bivio prima di Lusiero, per deviare su una pista minore, che proseguirà lungamente in quota fino a San Maurizio. Nel primo tratto attraversiamo una faggeta formata solo da grandi esemplari, quindi una pecceta artificiale con gli alberi allineati lungo le curve di livello. È evidente che qui erano stati fatti dei lavori di gestione del bosco. Più avanti invece il bosco sembra meno curato. La pista oltrepassa un ruscello, nelle cui pozze vediamo molti girini e una biscia d'acqua. Sul fondo del sentiero crescono molte orchidee. Arriviamo a un torrente più consistente, che ha trascinato a valle dei detriti. Di qui la pista è più battuta e la zona più tenuta, come conferma la presenza di mucche in un prato (e anche dei prati stessi). Dalle radura vediamo la Madonna delle Betulla sul versante opposto. Giunti a San Maurizio, andiamo in cerca della chiesa che dà il nome alla frazione e ci sediamo alla sua ombra per pranzare. La chiesa ha un forma molto articolata, come se fosse stata costruita a tocchi in molte riprese. Sulla facciata laterale è dipinto un affresco che raffigura i santi della legione Tebea a cavallo, con indosso abbigliamento seicentesco. Quello dei santi della legione tebea, legionari romani che avrebbero diffuso il cristianesimo in queste valli prima di essere martirizzati nell'attuale Bourg St. Maurice, ai piedi del Gran San Bernardo, è un culto molto diffuso nelle Alpi Occidentali e vi sono dedicate innumerevoli chiese e santuari. Dal 1938 san Maurizio è anche patrono del corpo degli Alpini, ma qui in zona Monviso è Chiaffredo, patrono di Saluzzo, il più popolare di loro, come si vede dalla diffusione di questo nome nelle lapidi che ricordano i morti. Il suo nome non compare nella primo documento che cita questi martiri, un'agiografia risalente a oltre un secolo dopo i fatti, ma fu aggiunto in seguito dagli agiografi posteriori al di qua delle Alpi. A un angolo dell'edificio, in una fessura del cemento, è fiorita una bella campanula.
Il percorso del trek passa sulla strada diretta a Vittone, ma sulla cartina è riportato anche un sentiero, che però sembra perdersi ad un certo punto. Proviamo a entrare tra le case, dove vediamo dei cartelli e dei segnavia che ci indirizzano al sentiero. La frazione è molto caratteristica: presenta sia case più vecchie, sia edifici ristrutturati più di recente, in buona armonia. Ci vediamo un bambino scorrazzare in bicicletta. All'uscita attraversiamo dei prati e ci inoltriamo quindi nel bosco. Ad un certo punto siamo arrestati da un rustico cancello di assi e plastica traforata arancione, scomodo da aprire e richiudere, che ci sembra un indizio di sentiero interrotto. Invece vediamo che l'erba è anche stata rasata e il sentiero prosegue solo un po' più stretto, fino a sbucare a un pilone votivo all'ingresso di Vittone, presso cui stanno pascolando delle vacche. C'è pure un segnavia a segnalarne l'imbocco. Per questa frazione si possono spendere le stesse parole di San Maurizio. Ai suoi margini ci sono dei bellissimi prati, dominati dalla mole erbosa del monte Birrone, che rivediamo dopo una settimana di viaggio. Superiamo un torrente su due passerelle e risaliamo faticosamente su un sentiero solatio, fino a raggiungere un rudere, da cui si ammira la bella posizione di San Maurizio e, sul versante opposto della valle, il Meira Paula. La pista diventa ora più ampia e attraversa una zona di prati e rimboschimenti anche recenti, dai tronchi ancora sottili, fino a sbucare in una zona aperta, dove sono coltivate delle fragole e da cui si vede in lontananza il piccolo campanile di Sant'Eusebio. Incontriamo due piloni, il secondo posto in posizione dominante su un poggio. Peccato non ci sia il posto per sedersi, perché sarebbe un buon punto per una sosta. Arriviamo alla borgata Giusiani, un set cinematografico appropriato per una processione di anime purganti. Ci accomodiamo all'ombra, su una scala di mattoni rossi e cemento di una casa in vendita, mentre un codirosso, che deve avere il nido in uno sgabuzzino con una vasistas aperta in alto, ci volteggia nervosamente intorno.
Scendiamo nella parte bassa della frazione, fino a una grande casa, dove era iniziata una ristrutturazione successivamente abbandonata, affiancata da qualche edificio in buono stato. A valle delle case la mulattiera nel bosco è molto rovinata, nonostante un recentissimo tentativo di regimentare una sorgente. Pertanto, una volta sbucati sulla strada, decidiamo di restarci e di evitare i successivi tagli. Passiamo da Norastra, in condizioni migliori della borgata precedente, dove c'è una persona che sonnecchia su una sdraio. Al primo anfratto deserto indossiamo gli abiti da riposo e qualcuno anche i sandali. Veniamo superati da un po' di traffico del rientro, mentre passiamo tra grandi prati inondati dalla bella luce del pomeriggio e molti piccoli gruppi di case isolate. Madonna della Betulla e Sant'Eusebio continuano a fare capolino tra i rami, oltre la valle.
La prima visione di Melle è il campanile che sbuca sopra un tornante. È stata una fortuna averci messo più del previsto, perché così arriviamo quando si è ormai conclusa una manifestazione. Andiamo alla gelateria, dove si rivela ottimo il gusto fieno, fiordilatte aromatizzato con erbe di montagna. Fino all'auto ci scorta il cane Frodo, piccola istituzione del paese, che al nostro arrivo vediamo rotolarsi sull'asfalto. Nonostante l'età avanzata, resta al nostro fianco e ci fa da guida per le vie, rifiutando però il nostro gelato. Avremmo voluto terminare il viaggio alla birreria del paese, ma oggi hanno chiuso presto e sono scesi a Saluzzo per una manifestazione. Questo ci consiglia anche si evitare la mondana cittadina, che sarà senz'altro caotica. Ceniamo perciò alla locanda di Frassino, dove ci eravamo fermati la prima notte. A raccordarci con il rientro alle incombenze feriali, i due terzi di noi si imbattono in colleghi di Torino.
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Sergio Chiappino
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