Attraverso l'Arcadia
Dal mare agli altopiani d'Abruzzo
9 tappe
Presentazione
Questo viaggio è il frutto della passione di Roberto D'Agostino di Trekking Italia, pescarese prestato all'Emilia. Carte IGM alla mano, e molte ricerche sul campo per scoprire cos'è rimasto dei vecchi tracciati, ha ideato un percorso che parte dalla spiaggia, attraversa le colline e sale agli altopiani, per poi attraversarli fin quasi al Lazio. Tutto evitando le strade, percorrendo invece le vecchie cavedagne rimaste, i sentieri dove ci sono, o anche tagliando per i prati dove necessario.
È un percorso a volte avventuroso, specie quando si attraversano zone abbandonate dai contadini o dove nessuno cammina, in cui i tracciati sono abbandonati. Può infatti capitare di incontrare piste invase dai rovi o colline franate che bloccano il passaggio, come del resto sentieri segnati solo sulla carta. Richiede perciò capacità di adattamento e di improvvisazione, di lettura della carta e di orientamento.
Molti, quando vanno in montagna, salgono con l'auto nel punto più alto raggiunto dalla strada e poi imboccano la via diretta per la cima. Così si vede solo la montagna per alpinisti e si incontra tuttalpiù qualche gestore di rifugio. Invece, se si viaggia anche in basso, si incontra la montagna abitata e vissuta dai montanari, quella viva ma anche quella dimenticata. In questi luoghi isolati vive un sacco di gente curiosa, influenzata solo marginalmente dalla massificazione della città e più libera di svilupparsi in maniera originale, spesso stramba per chi non vi è abituato. Se poi, in un viaggio di più giorni si comincia da un territorio marginale dove chi cammina è un alieno, l'esperienza è ancora più insolita.
Per prima cosa ci sono le colline, con le loro distese di grano punteggiato di papaveri, gli ulivi, i boschetti, i calanchi. Purtroppo in questa zona in cui l'uomo è più presente non si può non notare una certa sciatteria nella gestione del paesaggio: tralicci ovunque, casermoni di dieci piani alla periferia del borgo medievale, scheletri di cemento, case moderne edificate accanto a cascinali abbandonati alla rovina, piste agricole marginali asfaltate e abbandonate, vecchie cavedagne date in pasto ai rovi. Spie di una gestione pubblica che un abruzzese di adozione, incontrato il primo giorno, non esita a definire cialtrona.
Prima ancora, se vogliamo c'era stato l'Abruzzo balneare. Pineto è un'importante meta estiva: è fondamentale per l'economia, ma per l'escursionista è ben poco, giusto un po' più largo della sua spiaggia. Gli ombrelloni, la pineta, la ferrovia, due o tre file di alberghi e seconde case ancora chiuse e già si costeggia il primo casolare.
A mano a mano che ci si avvicina ai monti, il territorio si fa più selvaggio: più gerbidi, più boschi, più rovi, più frane, più cavedagne infrascate. Prima di Bisenti la pista è invasa dai rovi; li aggiriamo dal prato sottostante, ma quando è ora di risalire, la collina di fronte a noi è completamente franata: dobbiamo inventarci una via, aggirando rovi, attraversando boschi, devastando campi di fave. Sopra Farindola della pista è rimasto un passaggio basso e stretto, buono solo per i cinghiali: ci tocca toglierci lo zaino e avanzare accucciati, zaino in braccio. Meno male che la colata di fango incontrata mezz'ora prima era stata risistemata, ma solo perché quella sterrata portava a delle abitazioni.
Quindi si sale, un'interminabile ascesa in compagnia dei ricordi di chi è stato bambino su questi monti, oggi abbandonati ma una volta brulicanti di vita. Nel pomeriggio il colle e la vista dall'alto su Campo Imperatore, il piccolo Tibet, il momento più emozionante del viaggio. Poi la lunga cavalcata nelle sue fiorite distese calcaree. La notte e la mattina posso finalmente benedire il cavalletto, che mi pesa da quattro giorni sulla schiena e si è incastrato in tutti i rovi che mi hanno sbarrato la strada.
Viene poi la volta degli altopiani coltivati e dei borghi medievali. Delle zuppe di leguminose (la carne di pecora ci insegue invece imperterrita dal principio), dei fiordalisi, dello zafferano, dei vicoli, degli affreschi dei monaci, dei paesi invernali e estivi, dove la gente si trasferiva per coltivare gli altopiani. Anche del terremoto, che ha lacerato ancor di più questi borghi quasi disabitati, a volte privi anche di un solo centro di aggregazione. Ma anche degli acquazzoni e dei temporali, che per tre giorni ci flagellano, ci inzuppano e ci rubano dei pezzi di tragitto, prigionieri come siamo delle nostre mantelle e dei nostri scarponi allagati (ma una volta li freghiamo). Soprattutto nella stregonesca foresta dell'Anatella, attraversata a capo chino come per proteggersi dalla grandine.
Tocca poi ad Albe, il paese con le tre vite e la surreale tomba del re di Macedonia. Siamo ormai planati in una zona antropizzata e anche un po' degradata, dove certa gente scarica i rifiuti a bordo strada e le Tempra targate TO percorrono le piste forestali. Qualche ristorante per abbuffate romane e siamo alla meta.
Ma non dimentico gli abruzzesi. Che non camminano, per cui quando vogliono essere gentili ti danno l'indicazione per la strada asfaltata, che per gli escursionisti è la peggiore. Lungo tutto il percorso, poi, ci sono capitati incontri con personaggi incredibili: la padrona dell'agriturismo, contadina nell'aspetto, nel modo di parlare, di porsi, di cucinare, che ha definito stupidaggine il vegetarianesimo di due del gruppo; una giovane coppia di ragazzi in un paesino di montagna, dove la gente va solo ad abbuffarsi di arrosticini, con un raffinatissimo B&B arredato con riproduzioni di Hokusai fatte da incisori giapponesi, trovate in un baule della nonna; una trentenne di nome Azzurra che mentre ci serviva guardava la TV, perché faceva il tifo per il cugino nella finale del programma trash (il suo gruppo ha poi perso contro un'imbattibile Debborah con l'acca finale); una signora romena che si scusava della sua nazionalità e si dilungava a spiegarci che degli oggetti per terra erano precedentemente sopra una lavatrice, che però era in riparazione perché i clienti precedenti l'avevano rotta, intanto che noi fremevamo di fare la doccia; un cuoco, alle prese con settanta olandesi avvinazzati, che faceva incomprensibili ragionamenti a base di non sequitur; l'unico negozio di un paese che vendeva tra le altre cose frutta, nastro adesivo, sigarette e stampava foto digitali; la nonna uscita con il nipotino dall'asilo, che, saputo che eravamo a piedi, ci ha detto «Me dispiace!»; la vecchietta sbucata da una foto folkloristica che ci ha invitato a riposarci con lei, quando ci ha visto passare carichi di zaini; il gruppo di ticinesi eruditissimi; la signora che ce l'aveva con i marocchini, che però non aveva mai incontrato perché nel suo paese di montagna fa troppo freddo per loro; il discendente di un barone; la badante sudamericana che sbracciandosi dalla finestra ci ha urlato «Peligro! Peligro!» quando ci ha visto dirigerci verso il bosco; la coppia di albergatori che sembrava precipitata lì all'improvviso; quello che ci invitava a visitare la vera casa natale di Ponzio Pilato, principale attrattiva del suo borgo; la custode e guida della chiesa che spiegava agli stranieri che sapevano dire giusto «Parla inglese, per favore?» che bastava che lei parlasse lentamente in italiano e loro l'avrebbero capita, specie quando avrebbe citato il ciborio.
E i motivi per tornarci: il Velino mancato da salire; l'avventurosa val d'Angri da percorrere; la Majelama da scendere; le virtù da assaggiare; Bominaco da guardare con più calma; Tagliacozzo da visitare; Campo Imperatore, Albe Vecchia e le Pagliare di Tione da fotografare in una notte di luna; la foresta dell'Anatella da attraversare nella nebbia autunnale; la via da proseguire fino a Roma.
Per approfondire
- P. Barillà - M. Blatto, Geologia e forme del paesaggio per escursionisti, Rimini 2007
- L. Bonardi - M. Varotto, Paesaggi terrazzati d'Italia: eredità storiche e nuove prospettive, Milano 2016
- F. Brevini, L'invenzione della natura selvaggia, Torino 2013
- M. Broglio (a cura di), La valle di Champorcher, Aosta 2002
- L. Cavalli Sforza - T. Pievani, Homo sapiens, Torino 2011
- J. Dorst - C. Favarger - R. Hainard - O. Paccaud - P.C. Rougeot - J.P. Schaer - P. Veyret, Guida del naturalista nelle Alpi, Bologna 1983
- M. Martini - L. Zavatta, Alte Vie della Valle d'Aosta, Rimini 2009
- F. Marucco, Il lupo - biologia e gestione sulle Alpi e in Europa, Gavi 2014
- J.C. Perrin et al., Muri d'alpeggio in Valle d'Aosta : storia & vita, Scarmagno 2009
- H. Reisigl - R. Keller, Guida al bosco di montagna, Bologna 1995
- A. Segàla, Le ore della luna - I diari segreti dei guardiaparco del Gran Paradiso, Trento 1992
- L. Bonardi - M. Varotto, Paesaggi terrazzati d'Italia: eredità storiche e nuove prospettive, Milano 2016