Sentiero selvaggio

Supramonte

5 tappe


Presentazione

C‘è una falesia infinita che emerge da un mare dalle fluttuanti cromie di indaco e smeraldo. Una falesia costiera di quasi 40 km abitata da nessuno e interrotta solo da insentaure surreali, prese in prestito dai sogni. Quella costa unisce il litorale di Dorgali con quello di Baunei ed è una vera appendice del Supramonte
D. Ruiu, Il Supramonte

Questo trek si svolge nel Supramonte di Dorgali e Baunei, che, pur non essendo strettamente parte del Supramonte a cui si pensa di solito, per geologia, vegetazione, fauna, tipo di antropizzazione ne fa parte a tutti gli effetti.
L'ambiente è quello di montagne calcaree, aspre, senza sorgenti (in cinque giorni si attrarversa un solo corso d'acqua permanente) e senza pascoli (le capre, unici animali che resistono qui, mangiano le foglie della macchia e dei lecci). Eccezione sono degli altopiani argillosi, fertili, che erano la vera ricchezza di queste terre. All'interno il paesaggio è tormentato, inciso da profonde valli scavate dai torrenti nella morbida roccia calcarea. La peculiarità geologica sono archi di roccia, scavati da vento e acqua nelle numerose falesie. La vegetazione è quella tipica della macchia, con i suoi profumi intensi e gli accesi colori della fioritura, che ha il suo culmine tra aprile e maggio. La parte arborea è rappresentata da lecci che, nelle zone non investite dai tagli indiscriminati di Otto e Novecento, sono dei veri patriarchi; ma soprattutto da ginepri, prevalentemente della specie fenicio, il cui legno sopravvive per tempi indefiniti alla morte della pianta. Sul mare il Supramonte si affaccia con alte falesie interrotte da cale straordinarie, che nell'alta stagione balneare attirano migliaia di turisti, ma nelle sere di primavera sono quiete e affascinanti.

Arriviamo a Cala Gonone in una giornata uggiosa. Appena ci infiliamo nella galleria che porta al golfo, ci troviamo immersi in una spessa coltre di nuvole, che stanno aspettando il pomeriggio per scaricarsi con generosità. Cala Gonone è una moderna località turistica, nata negli anni ’50 come luogo di villeggiatura. Il posto è bello, ma la città è un luogo un po’ triste, con tante costruzioni moderne in cemento sistemate alla rinfusa.
Prima che piova e il mare si ingrossi, riusciamo a fare un breve giro in barcone fino alla grotta del Bue Marino, così chiamata perché fu l'ultimo rifugio della foca monaca. Questi due nomi le vengono rispettivamente dal suo verso simile a un muggito e dalla livrea. È oggi scomparsa da queste acque a causa della caccia indiscriminata di cui fu oggetto per via dell'olio e della pelle e per la pressione antropica conseguente al boom turistico. Prima della caccia, le foche usavano le spiagge come luogo di riposo e riproduzione, ma successivamente furono costrette a rifugiarsi nelle grotte, sebbene non fossero il luogo a loro più consono: i primi speleologi che le esplorarono trovarono diversi scheletri di cuccioli, che non erano sopravvissuti alle dure condizioni di vita. La guida ci racconta che le foche abbandonarono definitivamente la grotta negli anni ’70, quando questa fu aperta ai turisti (sono rimasto senza parole alla notizia).
L'interno della grotta del Bue MarinoL'interno della grotta è molto suggestivo: non sono le grotte di Castellana, ma, come in tutte le cavità calcaree, abbondano le concrezioni e le stallattiti che si specchiano sull'acqua. In particolare, c‘è una sala con la volta molto alta che, riflettendosi sulla superficie piatta del mare (le onde non riescono a penetrare fin qui) crea l'impressione di una gigantesca vasca, mentre in realtà il mare è profondo solo un paio di metri. Verso il fondo della visita si arriva al punto in cui il fiume che ha scavato il tunnel si getta del mare. Le acque del fiume e del mare non si mescolano subito, ma l'acqua dolce continua a scorrere in superficie, come è evidente dalle curiose forme di erosione localizzata subito sotto il pelo dell'acqua. In corrispondenza della foce c'è lo spiazzo sassoso in cui venivano a partorire le foce, ed è proprio qui che si conclude il percorso guidato.
Torniamo indietro un po' di corsa, perché il mare si sta ingrossando e c‘è il rischio che il barcone non riesca più ad attraccare. Il viaggio di ritorno viene cullato dalle grosse onde che fanno oscillare un bel po‘ la barca.
Il pomeriggio sarebbe in programma il sentiero naturalistico, ma cade una pioggia sottile ma fitta ed insistente che ci tiene chiusi in albergo.

Tappe

Tappa 1: Cala Gonone-Cala Luna
Tappa 1: Cala Gonone-Cala Luna
Tappa 2: Cala Luna-Cala Sisine
Tappa 2: Cala Luna-Cala Sisine
Tappa 3: Cala Sisine-Golgo
Tappa 3: Cala Sisine-Golgo
Tappa 4: Cala Goloritzè
Tappa 4: Cala Goloritzè
Tappa 5: Pedra Longa
Tappa 5: Pedra Longa

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Sergio Chiappino

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