Valmalenco

Alpi Retiche

12 tappe


Presentazione

«Odio i bei vigneti e odio i campi di granoturco»
L. Stephen, in Ascensione al Monte Disgrazia, 1862
Ma io amo gli angoli solitari, sperduti!
G. Nolli, In Valmalenco, Milano 1907

Che è spauentosa cosa à passar per essa

Non ricordo cosa mi abbia motivato a individuare questa valle laterale della Valtellina come meta di uno dei miei viaggi a piedi. In qualche modo, dovevo essere venuto a conoscenza dell'Alta Via ideata negli Anni Settanta, magari per averne visto in libreria una guida recente, redatta nel 2017 e corredata di magnifiche foto. Tuttavia, una volta acquistate le guide e le cartine, consultati i siti specializzati sulla valle, avevo osservato che procedeva un po' troppo dritta per i miei gusti, perché c'erano non pochi motivi di interesse lasciati in disparte: naturalistici, paesaggistici, antropologici. Ideai perciò un percorso mio, più zigzagante, più ozioso, che poi gli accidenti del viaggio mi hanno costretto a modificare in corso d'opera.
Le montagne della Valtellina, a causa del loro isolamento al centro della catena alpina, erano poco note e spesso innominate ancora ai tempi della Rivoluzione Francese, quando nella Lombardia austriaca gli astronomi di Brera avevano già tracciato delle carte molto precise: nel 1755, né il Bernina né il Disgrazia sono citate nelle Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia al di qua delle Alpi, oggi detta Valtellina del Quadrio.
Per quanto riguarda la valle secondaria, compare nella letteratura per la prima volta solo nel 1551, nella Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti, con un cenno assai poco lusinghiero: è chiamata «meritevolmente» malenga, perché è raffigurata come deserta e circondata di spaventose rupi sassose prive di vegetazione, anche se già dal Medioevo i signori di Sondrio vi avevano costruito torri e castelli.
L'immagine è certo esagerata, ma non del tutto fasulla, se da una statistica del 1861 risulta che oltre la metà della superficie della valle è di terreno sterile. Della parte rimanente, la voce maggiore sono i pascoli, un terzo dei quali boscati, ai seminativi resta un'esigua minoranza.
Sicuramente le sue nude rupi oggi sono viste con occhi diversi e hanno motivato anche me a visitarla; la valle sembra essere particolarmente apprezzata da chi predilige le montagne di roccia e ghiaccio piuttosto che quelle verdi. Questi hanno un illustre predecessore di Horace Benedict de Saussure, il naturalista svizzero che organizzò la prima ascensione sul monte Bianco, il quale nei suoi Voyages dans les Alps, attraversando la val Maggia in Canton Ticino, affermò che le «montagne completamente rivestite di foreste mi sembrano più tristi […] delle rocce nude e sterili».
Io invece preferisco piuttosto camminare tra prati e boschi, in cui le nude cime fanno da sfondo, e mi sento in difficoltà, sia fisica che emotiva, nelle pietraie. Pertanto, dopo ripetuti attraversamenti, ho iniziato a nutrire una certa repulsione per esse. Alla fine ho pertanto rinunciato alla salita di una vetta dai forti connotati simbolici, per evitare di terminare il viaggio con una dose da cavallo delle più ostiche.

Ad ogni modo, la geologia e la geomorfologia, soprattutto quella delle alte quote, sono due motivi centrali in questo viaggio. La valle si trova nei pressi della linea insubrica, la linea di separazione tra le rocce dell'oceano ligure-piemontese e quelle continentali africane, le due falde che scontrandosi e scorrendo l'una sull'altra hanno causato il sollevamento della catena alpina. La linea prende il nome dai celti insubri, che abitavano l'attuale Lombardia prima dei romani e corre più o meno lungo l'Adda, sul fondovalle valtellinese. Nel corso dell'orogenesi, le due falde si sono compenetrate e alle loro rocce si sono aggiunte ulteriori intrusioni di lava, che hanno dato origine alla maggior parte delle rocce della contigua val Masino e si spingono in val Sissone.
Quest'enorme varietà di substrati rocciosi ha una corrispondenza molto evidente nella diversità dei paesaggi della valle: la forma e il colore delle cime, il tipo e l'estensione degli alpeggi, la morfologia delle valli possono mutare repentinamente in poco spazio e rendono ogni tappa nuova e densa di scoperte. Due escursionisti mi diranno che, per queste ragioni, la preferiscono di gran lunga alle ben più rinomate Dolomiti, che per l'uniformità geologica presentano invece un paesaggio sì affascinante, ma più monotono.
Questi fenomeni hanno poi lasciato in Valmalenco un'enorme varietà di rocce e minerali, che sono stati sfruttati dall'antichità fino ai giorni nostri. Lungo il cammino, mi imbatterò in siti di estrazione di ferro, rame, serpentinoscisto, amianto, talco, ma ce ne sono molte altre: quando a inizio Novecento nacquero le lampadine elettriche a incandescenza, si fecero anche delle prospezioni per cercare il tungsteno, di cui erano costituiti i fili. Tuttavia il prodotto più etnicamente connotato è la pietra ollare, adoperata per la fabbricazione di pentole e vasellame da cucina, a cui fa cenno anche l'Alberti. Farò una deviazione apposita per vedere dall'esterno l'ultimo tornio idraulico ancora funzionante, anche se solo a scopi dimostrativi.
Al sollevamento della catena, tutt'ora in atto, si oppongono i fattori morfoclimatici che la erodono, la sgretolano e la scavano, i più evidenti dei quali sono i ghiacciai, ma anche le piene anche disastrose del Mallero e dei suoi molti affluenti hanno modellato il paesaggio con piane alluvionali, marmitte dei giganti, gole e quant'altro.

La macrostoria

Di sicuro non è stato l'interesse per la Storia dei grandi eventi a portarmi qui, in quanto la valle ne è sempre stata ai margini: non vi sono transitati condottieri, non hai mai destato le mire di qualche re, né la curiosità di geografi o altri dotti. L'unico episodio di un certo rilievo sembra essere stato uno degli antefatti della Guerra dei Trent'Anni, nel corso della quale le contese per la Valtellina non furono un fatto marginale. Nel 1618 Nicolò Rusca, prelato di Sondrio fu tratto a processo per il passo del Muretto a opera dei riformati grigioni, che allora controllavano la Valtellina insidiati dagli Spagnoli, nel contesto delle contese per i passi alpini. Accusato di essere un agente al servizio del nemico spagnolo, fu arrestato, portato al tribunale di Thusis, dove morì sotto tortura.
Dal 1512 la Valtellina era inquadrata come stato suddito del Libero Stato delle Tre Leghe Grigie, uno stato indipendente che occupava il territorio dell'attuale cantone svizzero dei Grigioni. Era un'unità assai eterogenea per lingua, costumi, giurisdizione e religione. Il potere risiedeva nelle assemblee comunali e gli organismi federativi stabili erano deboli. Vi erano inoltre aristocrazie sia locali, sia esterne, che vantavano vecchi privilegi feudali. Questi pezzi grossi, per adoperare il vocabolario di allora, erano sempre a rischio di essere posti sotto processo da tribunali istituiti dai comuni e persino eliminati fisicamente, in caso le loro azioni divenissero invise alla gente comune. La popolazione era inoltre divisa nella fedeltà alle potenze (Impero, Spagna, Francia, Venezia) che si contendevano l'accesso ai passi.
La Spagna in particolare ne aveva bisogno per l'unità tra i suoi domini italiani e fiamminghi, attraverso i territori del Sacro Romano Impero Germanico, con cui aveva in comune il casato regnante, e manteneva perciò un atteggiamento minaccioso e aggressivo. Per queste ragioni aveva fomentato l'insofferenza dei cattolici valtellinesi verso la presenza pur marginale di riformati e la libertà di culto in genere. Questa era dovuta anche al fatto che per gli statuti valtellinesi religione e potere civico erano strettamente intrecciati, per cui l'eterogeneità religiosa aveva effetti divisivi all'interno delle comunità. I radicali grigionesi stavano per contro tentando di creare chiese locali disgiunte da controlli esterni (spagnoli e romani), com'era nelle tradizioni vallive, incontrando l'opposizione dei cattolici fedeli alla controriforma tridentina, che aveva invece cercato di porre il clero sotto il controllo centrale. Rusca era uno dei personaggi più in vista in questa battaglia e finì vittima di uno dei tribunali contro i pezzi grossi, istituito per contrastare l'azione degli aristocratici grigionesi ritenuti collaboratori della minaccia spagnola.
Completamente diversa fu la percezione cattolica della sua misera fine: essi ritennero che fu ucciso «perché era buono», per citare Angela Finocchiaro in Volere volare, perché difendeva la vera religione dagli heretici malvagi e oppressori. Alle rivendicazioni religiose erano frammischiate quelle economiche e politiche, per l'amministrazione della giustizia che era vista come oppressiva. Il ruolo di giudice era infatti dato in appalto in cambio di soldi e costui poteva tenere per se le entrate (le condanne anche penali erano prevalentemente pecuniarie, non era prevista la galera, ma al massimo talvolta pene corporali). Essi erano perciò incentivati a cercare il pelo nell'uovo pur di condannare: ritorna in più libri che ho letto il caso emblematico di un giudice riformato, il quale multava i cattolici che non si confessavano a Pasqua.
Di lì a breve il malcontento cattolico sfociò in una sanguinosa rivolta, in grado di portare al collasso il fragile potere grigione, che amministrava il paese suddito unicamente tramite pochi funzionari, senza guarnigioni militari permanenti. Il resto è la storia della Guerra dei Trent'Anni: la rivalità tra Francia e Spagna, le occupazioni militari, i lanzichenecchi, la peste, il cambio di regime grigione, fino alla restituzione della Valtellina alle Tre Leghe (1639), una sofferta ma duratura pace, che resisterà fino alla Rivoluzione Francese anche ai cambi di regime a Milano.

La microstoria

Questa marginalità storica non implica certo che la Valmalenco si una landa vergine, perché la presenza umana è stata sempre evidente, sia quella più tradizionale fin dai tempi remoti, nelle miniere d'alta quota documentate dall'Età del Ferro, sia quella più moderna dall'epopea di contrabbandieri e guide fino alle piste da sci.
Sulle Alpi gli incontri con la popolazione locale sono più sporadici che sull'Appennino, sia per la loro naturale ritrosia, sia perché nei paesi la loro visibilità è oscurata dalla gran massa di turisti, ma qualche piacevole scambio con gestori di strutture e gente qualsiasi è avvenuto. I primi cittadini che salirono a visitare i monti, non intrattenevano grandi rapporti con i montanari, per la barriera culturale e sociale che separava i colti scienziati settecenteschi dai semplici montanari. Le prime immagini che ci arrivano sono quasi sempre stereotipate, seppure verso estremi opposti, secondo i clichè ai quali aderiva il narratore. Le cose cambiarono solo quando il flusso di forestieri si fece più nutrito e i montanari colsero l'opportunità economica che si apriva loro. Io ho trovato essenzialmente questi ultimi, a parte un pastore con cui ho condiviso un breve tratto di strada. Oggi costoro esercitano il proprio mestiere di accoglienza turistica generalmente senza porre particolare interesse all'itinerario e alle vicende del viaggiatore.
Il resoconto medico del dr. Bartolomeo Besta a metà Ottocento raffigura una popolazione intenta a un duro lavoro, spesso costretta all'emigrazione stagionale e ai mestieri itineranti, ma con doti morali ragguardevoli, specchio dell'ambiente in cui vivono, secondo gli stereotipi sulle genti alpine popolarizzati da Rousseau. Gli abitanti hanno anche elaborato storie su un'origine aliena della propria stirpe, ritenendosi diversi e immaginando discendenza da qualche popolazione girovaga, fossero zingari o ungari. L'elenco dei posti in cui mi sono imbattuto in storie analoghe si allunga sempre di più e comprende ormai tutte le popolazioni che hanno dilagato per le Alpi, dai soldati di Annibale ai Saraceni, dagli eretici medievali agli sbandati in fuga dalla peste.
Questa tradizione riflette un paio di dati di fatto, abbastanza comuni nelle Alpi italiane. Il primo è l'origine della colonizzazione alpina, così come è perdurata fino all'abbandono. Sebbene popolazioni di pastori esistessero sin dal Neolitico e minatori dall'Età dei Metalli, la transumanza organizzata e strutturata, con pascoli estivi nel piano alpino e invernali in stabulazione o nella Pianura Padana, campi coltivati in mezza montagna, risale solo al Basso Medioevo, a opera di popolazioni che sono migrate qui e si sono fatte montanare. Il secondo è che, anche a stanziamento avvenuto, le popolazioni montane migravano frequentemente, in maniera temporanea o permanente, dalla bassa fin qui così come da valle a valle, perché i confini erano molto permeabili e i passi alpini erano vie di congiunzione piuttosto che di delimitazione.
L'economia alpina prevedeva che si facessero molti figli, per avere braccia per l'agricoltura, ma il territorio non era in grado di sostenere la crescita della popolazione, per cui l'unica strada era l'emigrazione definitiva. Si poteva emigrare nella pianura lombarda, nella vicina Svizzera, ma anche in Francia e oltreoceano, non di rado senza documenti e all'avventura.
Anche fra chi restava, per integrare i redditi agricoli, ci si specializzava in mestieri girovaghi, che tenevano lontano da casa quasi tutto l'anno. In valle tali mestieri furono essenzialmente due: il magnan (venditore e riparatore di pentolame) e il muléta (arrotino). Il primo era intrecciato all'economia valliva, all'estrazione e alla lavorazione della pietra ollare e ne era l'ultimo stadio. La vita girovaga, oltre alla solitudine, li costringeva ad adattarsi a condizioni dure, dormendo ogni volta in letti diversi e di fortuna, tanto che le stalle parevano già una pacchia. In compenso offriva loro quelle che al Centro per l'Impiego definirebbero abilità trasversali, ovverosia cavarsela nella relazione con i clienti, parlare tutti i dialetti dei posti dove andavano, più una lingua segreta per comunicare tra di loro (il calmun).
Un altro mestiere errante era permesso dalla vicinanza con il confine: il contrabbandiere. Lo praticavano persone povere e marginali, dei disperati, bassa manovalanza dei trafficanti. Era infatti precario e pericoloso: la fatica di camminare sotto il peso del carico era tanta, i guadagni erano aleatori, mentre era concreto il rischio di morire tra i dirupi, le tormente, i crepacci o le fucilate dei finanzieri.
Con la nascita dell'alpinismo e del turismo alpino, i malenchi poterono riciclarsi in guide e quindi albergatori. I cacciatori di camosci, abituati a inseguirli per rupi e cenge, furono i più svelti a cogliere l'opportunità, anche se la prima guida ad acquisire prestigio fu un agrimensore di Chiesa, Enrico Schenatti. Egli partecipò alla prima ascensione italiana sul Disgrazia nel 1874 e vi salì altre 134 volte, 85 sul Bernina. Si narrano aneddoti leggendari sulla fermezza e sulla leggerezza del suo passo. Nacquero il Grand Hotel Malenco a Chiesa, il rifugio Scerscen (oggi Marinelli-Bombardieri nell'omonimo vallone) per i soggiorni e l'alpinismo. Gli sci da alpinismo furono importati a inizio Novecento, ma è con gli impianti e la funivia del Bernina (che avrebbe dovuto arrivare alla Marinelli), che esplose il turismo, con la conseguente monocultura, nonostante qui le piste occupino un'area limitata.
Sembra essere una popolazione di uomini: minatori, laveggiai, magnan, guide alpine erano tutti maschi. Il ruolo delle donne in valle, non diversamente che altrove, pare essere stato sempre subordinato e relegato all'ambito domestico, alla cura della famiglia e alla trasmissione dei valori, oppure della conduzione dell'attività agricola domestica. Come ovunque, femminile fu il ruolo di trasportatrici, dei laveggi torniti, dei rifornimenti dal mercato di Sondrio e così via. Gli unici modi per ottenere un ruolo sociale erano mestieri «donneschi», per citare una pagella della mamma di un mio compagno delle elementari, come la suora, la maestra o la levatrice, ma si trattava di donne di famiglie di ceto già elevato in partenza. Nemmeno il ruolo di guaritrice aggiustaossa consentì a una popolana di emergere e divincolarsi dall'impegno predominante di moglie e mamma. In passato era anche peggio: dopo la peste manzoniana, quattro donne furono considerate colpevoli di averla scatenata con malefici e condannate al rogo.

Cambiamenti climatici

Eventi climatici estremi non sono una novità in valle: cronache di incerta origine vogliono che l'immagine di luogo deserto data dall'Alberti fosse dovuto a una serie di frane del secolo precedente, connesse a tre fattori. Il primo sarebbero dei terremoti che avrebbero colpito la valle negli anni immediatamente precedenti, su cui però non ci sono notizie coeve affidabili. In parte sarebbero state dovute ai cambiamenti climatici della Piccola Era Glaciale, durante la quale non solo fece più freddo, ma si intensificarono gli eventi estremi, come siccità e alluvioni. L'ultima causa sarebbero invece gli intensi disboscamenti conseguenti alla colonizzazione medievale dell'alta montagna, durante la quale a sud delle Alpi nacque il sistema misto di agricoltura e pastorizia, che sarebbe perdurato fino a metà Novecento.
Alluvioni distruttive hanno colpito la valle ripetutamente, nel corso dei secoli, così come all'opposto siccità. L'ultimo evento su grande scala fu l'alluvione della Valtellina nel 1987, che i più vecchi ricorderanno come uno dei primi spettacoli meteorologici catastrofisti seguiti quasi in diretta dalla TV.
Anche io mi sono trovato in mezzo a uno di essi: una feroce ondata di caldo estivo, seguita a un inverno caldo e siccitoso, che già a luglio stava lasciando a secco alcuni rifugi. Ho trovato i sempre più striminziti ghiacciai già denudati di neve e di fatto impraticabili, anche con attrezzatura alpinistica. Già un secolo fa, riferisce il geografo Nangeroni, i montanari osservavano che gli inverni si facevano meno nevosi e pertanto la mancava la coltre, per irrigare il piano alpino a far crescere l'erba per tenere saldo il detrito che invadeva i pascoli. Quest'anno i ruscelli e le sorgenti hanno una portata magra, le concrezioni sulle sponde dei laghi e nel letto dei torrenti evidenziano il livello inferiore all'abituale. Fa talmente caldo che, anche in quota, ho praticamente sempre fatto la doccia con l'acqua fredda, persino di nevaio, non solo dove la precarietà del rifugio lo imponeva, ma anche dove la calda non avrebbe comportato un sovrapprezzo. Quando, a fine viaggio, ne ho fatta una a Sondrio, l'acqua fredda di valle mi è sembrata tiepida.
I primi europei che hanno cominciato ad apprezzare l'alta montagna selvaggia e a raffigurarla, prediligevano giorni nuvolosi (si pensi al celeberrimo viandante di Friedrich): il sole è associato piuttosto al paesaggio ameno del Mediterraneo. In questo viaggio, ho avuto modo di sperimentare come anche il sole a picco e il caldo torrido siano forze estreme, che mettono a dura prova il viaggiatore e il paesaggio non diversamente dalle tempeste. Certe sudate e la sete che le accompagnava non erano meno epici dello stare soli, isolati dal mondo dei giorni di nuvole basse, seppure certo in maniera affatto diversa.

La via

Quando le Alpi divennero un centro di interesse comune, il viaggio cominciava già alla periferia delle città. A parte il fatto che non ho certo lo status sociale di tali viaggiatori, che mi consente mesi di libertà, ma soprattutto le aree per i pedoni si sono ristrette a pochi atolli nell'oceano dei motorizzati. Anche gli escursionisti sono soliti salire in auto fino al punto più alto possibile.
Io pertanto, cercando di restare fedele all'antico, rispetto al percorso dell'Alta Via ho scelto di partire dall'imbocco della valle a Sondrio: ciò anche in ossequio alle mie convinzioni, che impongono di partire sempre dal punto più basso possibile, perché così posso osservare i cambiamenti della natura e della colonizzazione umana al variare della quota. Inoltre avendo pensato al giro già nel 2019 ma avendolo dovuto rimandare per una serie di motivi, personali e oggettivi, ho avuto nel frattempo modo di leggere quanto più possibile sulla valle a scoprire posti interessanti tralasciati dagli ideatori dell'Alta Via. Ho così previsto tappe o giri oziosi al di fuori del percorso predefinito, attratto da luoghi che mi avevano incuriosito, come laghi sperduti, vie storiche, luoghi del lavoro, eremi, cime, testimonianze del pensiero popolare. Anche nel scegliere da quale variante transitare, dove pernottare, mi sono attenuto a questo principio.
L'Alta Via prevede 8 giorni di cammino; ne avevo preventivati 14, alla fine ho camminato per 12. Sebbene la valle sia in definitiva piccola e corta, seppure assai ramificata, contiene un'enormità di centri di interesse e ho anche dovuto rinunciare a qualcuno. Il principale è stato la val di Togno, a causa del protrarsi dei lavori al rifugio omonimo, che mi hanno privato di un punto d'appoggio. Va tuttavia detto l'alternativa, in parte sovrapposta alla tappa finale dell'Alta Via, era altrettanto gradevole.
Dal mio itinerario mancano i paesi principali, sia perché raggiungerli comporta allontanarsi dai sentieri, ma anche perché nelle Alpi sono modellati dal turismo motorizzato e la visita non ha molto senso per un escursionista. Gli accidenti mi condurranno a fare una puntata a Chiesa, ma in quel frangente sarò colpevolmente distratto e concentrato sulle necessità materiali, limitandomi a uno sguardo superficiale. Inoltre mi resteranno completamente celati i legami tra i montanari che abitano i paesi. Essi sorgo organizzati in gruppi superfamiliari non codificati a livello formale, ma molto sentiti, a cui spetta il compito di gestire la vita politica e in parte anche quella economica, in particolare negli aspetti troppo grandi per le singole famiglie, come la comunione dei pascoli.

Tempi moderni

but ‘carne’ did not exist in the village [Chiesa]
Mrs Henry Freshfield, A summer tour in the Grisons and italian valleys of Bernina London 1862

In quasi tutti i rifugi dove ho soggiornato, dove è stato possibile, mi sono passato per vegetariano. I vecchi montanari riferiscono che la carne era quasi assente dalle loro diete: l'unica trasgressione erano i prodotti del maiale. In ogni alpeggio era condotto un maiale, ingrassato con il siero e lo slavaz (Rumex alpinus, una pianta della vegetazione nitrofila degli alpeggi), per non sprecare nulla del latte; a fine anno era macellato e i salumi erano centellinati nei giorni di festa. Insieme al maiale c'erano gli animali da cortile, anch'essi nutriti con gli scarti e le ortiche, sempre dalla vegetazione nitrofila sgradita alle vacche. Per i resto i montanari campavano di polenta, minestra e patate; le uniche eccezioni di rilievo in valle sembrano essere state il cicc, una focaccia a base di farina e latte, e lo speck, una frittura salata di farina di mais. Le verdure non sono citate tra i piatti comuni, al di fuori delle ortiche, anch'esse come lo slavaz abbondantemente disponibili nei terreni arricchiti di azoto dal bestiame.
Sicuramente questi magri piatti tradizionali non sarebbero apprezzati dai turisti e infatti i locali tipici servono portate a base di bresaola e formaggi. Il menu serale dei rifugi prevede come secondo piatto immancabilmente la carne, in genere bovina, una tradizione nata con l'abbondanza del Boom economico, che in una dieta mediamente sana dovrebbe essere invece consumata con parsimonia. Inoltre il consumo eccessivo di carne, accoppiato all'alimentazione del bestiame oggi adottata, offre un contributo non da poco ai guai climatici di cui ho avuto un saggio nel corso del viaggio. Da queste ragioni è scaturita la mia scelta. Dove i vegetariani erano contemplati, mi sono sempre trovato a scegliere tra uova e formaggio, mentre i fagioli sono apparsi un'unica volta in una zuppa servita come primo. Ignoro le ragioni di questa assenza, dal momento che i legumi secchi pesano e ingombrano poco e sono pertanto idonei al trasporto in elicottero e in più sono facilmente conservabili.
Come concessione ai tempi moderni, prenotando ho anche chiesto dove fosse possibile pagare con carte anziché contanti, perché non prevedevo di passare da paesi dove fare scorta. A volte in montagna la linea dati è precaria e quindi non mi aspettavo che ovunque fosse possibile. Ho avuto la spiacevole sorpresa di scoprire lungo la strada che non pochi posti dove era data per certa ne erano invece privi, per mancanze temporanee di rete o malfunzionamenti delle apparecchiature. Per fortuna a Sondrio, il primo giorno durante un giro in chiesa sono stato illuminato come Jake Blues sull'opportunità di prelevare una scorta supplementare, altrimenti sarei rimasto senza contanti.

Per approfondire

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F Zambon [a cura di], Bestiari tardoantichi e medievali, Milano 2018

Altri formati

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Tappe

Tappa 1: Sondrio-Prato
Tappa 1: Sondrio-Prato
Tappa 2: Torre Santa Maria-Piana d
Tappa 2: Torre Santa Maria-Piana d'Airale
Tappa 3: Laghi di Cassandra
Tappa 3: Laghi di Cassandra
Tappa 4: Piana d
Tappa 4: Piana d'Airale-Alpe Ventina
Tappa 5: Alpe Ventina-Cresta Est monte Vazzeda
Tappa 5: Alpe Ventina-Cresta Est monte Vazzeda
Tappa 6: Cresta Est monte Vazzeda-Sasso d
Tappa 6: Cresta Est monte Vazzeda-Sasso d'Entova
Tappa 7: Sasso d
Tappa 7: Sasso d'Entova-lago Palù
Tappa 8: Lago Palù-alpe Musella
Tappa 8: Lago Palù-alpe Musella
Tappa 9: Alpe Musella-Cresta Aguzza
Tappa 9: Alpe Musella-Cresta Aguzza
Tappa 10: Cresta Aguzza-alpe Fellaria
Tappa 10: Cresta Aguzza-alpe Fellaria
Tappa 11: Alpe Fellaria-alpe Prabello
Tappa 11: Alpe Fellaria-alpe Prabello
Tappa 12: Alpe Prabello-Sondrio
Tappa 12: Alpe Prabello-Sondrio

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