L'entroterra di Celle
Riviera di Ponente
26 gennaio
In un baleno
Un'escursione nell'orrido (ma non come in Malombra)
Diario di viaggio
Le alture alle spalle delle stazioni balneari del savonese non sono state fittamente urbanizzate come la costa; resiste perciò una rete di percorsi adatti a qualche escursione a piedi nella natura. Tuttavia non sono certo rimaste immuni dagli aspetti più deleteri dell’assalto del turismo di massa alla vicina costa, anche se ne hanno risentito in maniera diversa, rispetto ai paesi rivieraschi. Nel corso di questa escursione ad anello ho potuto ammirare bellissimi paesaggi, attraversare zone di pregio naturalistico, ma anche constatare gli effetti della trascuratezza del territorio e del paesaggio.
Sceso dal treno, punto verso il nucleo storico di Celle, costituito da poco più di una stretta via lastricata parallela alla costa, e mi metto alla ricerca di fugàssa, che sarà il mio pranzo. Il giovane commesso che me la serve manifesta un misurato spleen ligure, temperato da un velo di cortesia. Non sono molto fortunato con quella liscia, perché il modo in cui la preparano qui non è il mio preferito (troppo poco unta e troppo molliccia); mi è più gradita quella farcita alle cipolle. Vado sul lungomare a mangiare la prima fetta, mi metto in assetto di marcia e parto, in direzione di Albissola.
Due pescatori hanno fissato le canne sulla riva del mare, placido quasi come un lago; medito un po’ su come fotografarli, senza farmi intralciare da un canale di cemento, ma poi concludo che è meglio lasciar perdere. Dopo le nevicate arrivate pochi giorni fa fin sulla costa, l’aria è rimasta frizzante: certo siamo ben sopra lo zero e lontani dalle inversioni termiche da -10°C e oltre registrate un paio d’ore fa, nelle glaciali conche dell’entroterra appenninico e collinare, ma non sono abituato a mattine così fresche sulla costa, in assenza di vento. Seguo la passeggiata che corre sul margine dell’Aurelia, insieme a varia gente che la percorre alla spicciolata, correndo o marciando in tenuta sportiva. All’uscita del paese la strada svolta e prende leggermente quota, offrendomi subito un buon punto di vista sulle case del paese, allineate di fronte alla spiaggia, con il Beigua imbiancato a fare da confine con il cielo velato. Mi posiziono presso una panchina su cui una signora sta leggendo il giornale. Oggi ho deciso di provare a scattare le foto all’infrarosso; non avendo una fotocamera modificata, devo ogni volta montare il cavalletto e starare l’esposimetro, che non gradisce così poca luce e per di più solo sui pixel rossi. La strada prosegue poi in piano ancorata a una parete rocciosa, sopra degli scogli, fino alla foce di un torrente, dove trovo il primo segnavia che devo seguire. Mettendo in agitazione qualche ghiandaia, imbocco una strada asfaltata, che perde qualche metro e si inoltra verso l’interno e i ponti dell’autostrada. Sui bordi della strada crescono rigogliose colonie di canne infestanti, tra cui riconosco l’Arundo donax, una canna importata per gli orti e divenuta invasiva, oltre a cannucce di palude con il caratteristico pennacchio. Rispetto alle zone continentali, qui mi danno l'impressione di essere più alte, forse per il clima. In alcuni punti, a bordo strada ci sono degli affioramenti di conglomerato rosso. Medito un po’ se fotografare una bella casetta gialla con ulivo, sotto il ponte dell’autostrada, ma anche stavolta lascio perdere. Rimugino anche se infilare nello zaino un rametto di una mimosa fiorita, ma rinuncio ipotizzando che ne troverò anche verso fine giro: non sarà così.
Dopo un’ultima casetta, la strada si restringe e diventa una pista ghiaiosa. Al suo fianco vedo un doppio filare di ulivi, posti come a delimitare un vialetto di ingresso, ma non sono abbastanza curioso da andare a vedere che cosa ci sia al fondo, oltre la curva. Di solito ascolto molto distrattamente i rumori, ma qui non posso fare a meno di notare il borbottio frusciante dell’autostrada, che corre poco sotto. Il fondo del sentiero è tappezzato da molte cartucce dei cacciatori, che in un punto disboscato diventano così fitte da comporre quasi un'imperitura stoffa arlecchinesca. Non so davvero a cosa possano sparare qui in mezzo alle abitazioni. Sto infatti entrando a Pecorile, formata da case con giardino intorno a un cocuzzolo. Un grosso cane bianco a bordo strada mi tiene d’occhio senza scomporsi né commentare. Il sentiero aggira una costruzione in cemento dell’acquedotto e poi la recinzione di una casa, che si è inglobata parte del sentiero o almeno il masso con il segnavia. All’interno sta armeggiando un signore, in compagnia di un pastore bernese, che mi segue abbaiandomi e mi fa pure la posta, sordo ai richiami del padrone. Mi imbatto nella prima chiazza di neve, a quota 100 e esposta a sud. La traccia quasi scompare, ma mi basta incunearmi tra le recinzioni, che per fortuna hanno lasciato libero un passaggio accanto a una villetta recente. Finisco su una strada di accesso, che seguo per un tratto, fino a quando i segnavia sembrano puntare dentro il cortile di una casetta rossa tradizionale con pergolato. Solo di fronte all’ingresso trovo i cartelli che mi fanno svoltare e mi indirizzano sul percorso per Sanda.
Il sentiero prende quota rapidamente, in mezzo a una fitta macchia mediterranea, soprattutto erica. Traversa poi con un bel panorama verso Savona, nel cui porto è ormeggiata un’enorme nave da crociera, l’isola di Bergeggi e Capo Noli. Mentre sono fermo a scattare una foto, mi sorpassa un giovane barbuto, l'unico escursionista che vedrò oggi. Il sentiero procede sempre più o meno in quota fino ad arrivare alle pendici della Torre Bregalla, dove si biforca brevemente. Seguo il ramo che punta verso la vetta, una traccia esile e anche invasa, ma soprattutto ripidissima, quasi un’arrampicata su terriccio (ai confini del primo grado inferiore, chioserebbe una mia conoscenza). In breve sono sulla cima, dove, appesa a un albero, c’è una ceramica con dipinto un uomo che prega la Madonna. Il panorama è molto limitato per la fitta vegetazione. Passo ora sul versante in ombra, dove la copertura nevosa sul sentiero si fa molto estesa, anche se non proprio continua. Non ce n’è comunque che un dito e anche il ghiaccio è molliccio. Per me, pestare una neve così mediterranea è una primizia. Tenterò di scattarvi qualche foto, ma senza risultati. Dalla vetta comincia anche un sentiero botanico, lungo cui cartelli molto scoloriti illustrano alcune specie della vegetazione di queste colline. Uno di questi mi fa notare un castagno nella macchia, che altrimenti mi sarebbe sfuggito, una presenza non abituale, forse indice di una trasformazione in corso. Supero un bivio per il Santuario della Madonna della Pace, che a breve vedrò dall’alto.
Arrivato a un colletto, lascio il sentiero per Sanda e seguo invece la traccia diretta in cima al Bric dei Corvi, il punto più panoramico della gita: oltre a buona parte del gruppo del Beigua, fino al Rama e alla Madonna della Guardia di Varazze, verso est riconosco la sagoma del Promontorio di Portofino, con alle spalle delle cime innevate, mentre la striscia della Riviera più a levante si confonde con la foschia. Più vicino vedo la frazione di Sanda, che raggiungerò più tardi, e Gameragna, da cui invece non passerò; la seconda sembra aver conservato un’architettura tradizionale, mentre attorno alla prima ci sono parecchie villette moderne. Verso ovest fa capolino la cima del Carmo. Sono ben visibili anche i generatori eolici di Stella e il camino biancorosso della centrale di Vado. Mi fermo per una pausa, su una roccia fittamente ricoperta di varie specie di licheni. Finora ho resistito con due magliette, ma qui devo coprirmi molto, per la brezza fresca; un pile lo terrò addosso anche per tutto il seguito della camminata. Tornato sui miei passi, evito di salire sul prossimo Bric Croi, perché ci passa una linea ad alta tensione, e proseguo invece in discesa verso Sanda, superando vari bivi. Poco prima di arrivarci, passo da un cocuzzolo chiamato il Poggio, dove a metà Ottocento un medico fece piantare vari esemplari di querce, pini marittimi e lecci, oggi divenuti imponenti. In cima c’è un memoriale dedicato ad alcuni intellettuali cattolici, che condividevano gli ideali risorgimentali. Un discendente del medico, facendo ripristinare il giardino alcuni anni fa, fece aggiungere i nomi di alcuni padri della Repubblica Italiana, sempre di ispirazione cattolica. Per scendere in paese, seguo testardamente un sentiero segnalato come senza sbocco, perché mi sembra cominci bene. Finisco però nel cortile di una casa, dietro un cancello chiuso. Per fortuna il proprietario non è territoriale e mi indica come aggirarlo, calandomi da un muretto. Probabilmente il sentiero buono era più a sinistra.
Per il pranzo vado a sistemarmi su una panchina accanto a un’altalena, nei pressi della chiesa. La pausa non è lunga, perché la temperatura non è gradevole. Saggiamente ho con me un termos di tisana calda. Proseguo lungo una pista chiusa al traffico, tra casette e ulivi, che va infine a sbucare sulla strada principale, di fronte a una batteria di villette a schiera dall' architettura ertana. Passandoci in mezzo, finisco su una traccetta sassosa, diretta a una costruzione in cemento dell’acquedotto. Da qui la pista si fa più larga, ma sempre dal fondo irregolare, e attraversa una zona scabra, popolata da sparuti spelacchi. Mi stupisce che il Sentiero Liguria transiti di qui: davvero non c’era un’alternativa migliore? In cima alla collina la pista termina su una strada asfaltata, in corrispondenza di un grande piazzale di cui mi sfugge la funzione. Proseguo per la strada, tra villette e uno chalet di legno. Trovo una buona visuale su Gameragna e mi fermo a fotografarla. Confluisco quindi su una strada più ampia, che seguo verso destra (in direzione opposta alla lunga si arriva al Bric delle Forche). Al primo tornante a destra la lascio per la via che prosegue dritta. Con una digressione, salgo alla cappella di san Pietro, che è la più antica chiesa di Celle di cui si ha documentazione: è infatti citata in un atto notarile del 1181. Oggi è molto dimessa, essendo in una zona lontana dai centri principali, priva di una ubertosa comunità di riferimento, anche se qualche lavoro di restauro è stato fatto, ancora in anni recenti. Inoltre nel pronao è stato aggiunto un neon, alimentato da cavi approssimativamente fissati alle pareti, con fili e prese industriali bene in vista. In genere non amo l’illuminazione artificiale nelle chiese campestri, ritenendo più appropriata quella naturale di luna e stelle, per tacere dell'impatto di tutti questi fili penzolanti. Tuttavia mi rendo conto che la sua presenza è un segnale positivo, perché testimonia la dedizione di qualche persona che vive questo luogo, oltre ai tre gatti che metto in fuga al mio arrivo.
Tornato sulla strada, continuo a seguirla fino a giungere in una zona di crinale, in vista di un poggio coperto di radi pini sfoltiti dalla cocciniglia. Qui la lascio per una pista sterrata interdetta al traffico, che scende sulla sinistra. Questa, come del resto la stradina seguita finora, sulla mia cartina sono riportate come percorsi marcati dai segnavia FIE, ma sul campo non ho visto nessuna traccia di queste indicazioni.
La strada prosegue grossomodo in quota, ondeggiando tra dorsali e impluvi. Dalle tracce nel fango, si vede che è molto frequentata dai ciclisti e dai cinghali. Di questi vedo nel primo impluvio una caratteristica pozza di fango, di cui si cospargono per liberarsi dei parassiti, mentre di quelli le tracce dirette verso una grossa pozzanghera, dove sfrecciano a tutta velocità, aspergendosi d’acqua melmosa in un rituale giocoso. Dalle tracce deduco che ci passa anche qualcuno a cavallo e in compagnia di cani di varie taglie. L’ambiente attraversato alterna zone di macchia ad altre di bosco più strutturato di castagni e ornielli, in entrambi i casi senza grandi alberi: sono probabilmente vegetazioni in evoluzione, dopo il passaggio del fuoco, molto frequente sulle alture affacciate sulla costa (basta salire alla non lontana Madonna della Guardia di Varazze per un esempio recente e eloquente).
La sterrata termina su una strada asfaltata, dove corre il segnavia dei due quadrati, che dai Piani di Celle sale verso il Bric delle Forche. Lascio entrambi quasi subito, per una cementata in forte discesa, al cui imbocco trovo quel segnavia formato da due pallini e un triangolo, frequentemente riportato sulle cartine delle Vie del Sale, ma che sul terreno non avevo mai visto. La pista scende tra casette, di cui una con cartelli in cartone, su cui sono scritte a penna frasi di minaccia ai passanti, fino a finire contro un cancello. Qui, sulla sinistra della recinzione, parte uno stretto passaggio cementato, che sul momento mi sembra un canale di scolo dell’acqua, ma che invece dopo poco diventa un vecchio sentiero, appoggiato a un alto muro a secco e affacciato su degli oliveti. È anche abbastanza panoramico, ma il godimento estetico è sminuito dalla pessima luce, in quanto le velature si sono ispessite e hanno trasformato il cielo in un vetro smerigliato, come recita l’immaginifico bollettino meteorologico. Il sentiero torna a fondo artificiale tra le prime case di Costa.
Arrivo alla graziosa cappella dedicata a San Giovanni Battista, raffigurato nell'atto di battezzare Gesù, oltre che in un’effige sulla facciata, accanto a quella di Santa Lucia con in mano il piattino degli occhi. Il sagrato è lastricato con un mosaico bicromo in pietre di fiume, a motivi geometrici, vista anche in altre gite davanti ad altre chiese liguri, come il Sant'Ambrogio a Zoagli e la parrocchiale di San Martino di Struppa. Costa non sembra avere un centro aggregativo, a differenza di Sanda dove aveva sede un circolo ARCI, ma pare essere solo un dormitorio di Celle. Proseguendo in discesa, attraverso un oliveto affacciato sul ponte dell’autostrada e finisco infine nella periferia da boom edilizio di Celle, da cui scendo in paese per scalinate. Vado ancora a scattare qualche foto sul molo all’imbocco della passeggiata per Varazze. Non c’è nessuno, perché sul mare soffia una brezza gelida, e sono perciò tutti rinserrati tra i vicoli e i bar. Devo allora fare da fotografo e soggetto contemporaneamente, allontanandomi dalla mia amata fotocamera, senza però correre il rischio di farmela scippare, perché nessuno si azzarda a esporsi al vento.