Testa di Peitagù 1815 m

Valle Stura di Demonte

21 maggio


In un baleno

Fantastica escursione sul ripidissimo adret della bassa valle Stura di Demonte, al limite meridionale delle Alpi Cozie. Spettacolare in particolare il tratto intermedio della discesa, che segue un’ardita mulattiera di pastori, attraverso una zona impervia dove sembra impossibile poter transitare


Diario di viaggio

Fantastica escursione sul ripidissimo adret della bassa valle Stura di Demonte, al limite meridionale delle Alpi Cozie. Spettacolare in particolare il tratto intermedio della discesa, che segue un’ardita mulattiera di pastori, attraverso una zona impervia dove sembra impossibile poter transitare. L’acclività e l’esposizione del versante lo rendono molto solatio, tanto che abbiamo incontrato alcune specie tipiche della flora mediterranea, come la lavanda e il lino delle fate. La metà di maggio è un periodo ideale per questa escursione, perché non fa ancora troppo caldo, ma i prati sono già verdi fino in cima e le foglie dei faggi appena spuntate sono di un verde brillante. Sicuramente è adatto anche l’autunno e in particolare la seconda metà di ottobre, nella stagione del foliage.

Partiamo da Aisone, uno dei primi paesi della valle. Parcheggiamo nella piazza del municipio, in corrispondenza di uno dei semafori del paese, che la domenica sono spenti. Nei giorni feriali servono a regolare il senso unico alternato di numerosi TIR attraverso le strettoie tra le case. Alcuni di essi sono diretti verso il sud della Francia, per il colle della Maddalena, alternativa gratuita alla costosissima Autostrada dei Fiori. Altri fanno la spola con il vicino stabilimento di una nota acqua minerale, che prende il nome dal santuario più alto d’Europa, una delle attrattive turistiche della valle. Nei giorni festivi come oggi transitano invece frotte di camper e di moto: molti dei primi sono diretti al santuario, che nei weekend è invivibile, le seconde rombano per diletto tra le curve che conducono al santuario e alla Maddalena. Su un lato della strada, la statua di un cervo fa parte di una serie di installazioni di arte contemporanea. A Pontebernardo, più a monte, ne hanno fissati alcuni sopra le rocche che dominano il paese: la prima volta si resta a fissarli senza capire se siano animali veri o statue.
Percorriamo gli stretti marciapiedi lungo la statale, cercando di non farci rasare la barba dai camper, fino ad arrivare in vista dell’ultimo semaforo, dove una palina di legno ci fa salire sopra la massicciata. Con il naso schiacciato contro il terreno, ci inerpichiamo per la via più diretta, attraverso un rado bosco misto. Alcuni pini presentano i nidi della processionaria. Fortunatamente i caldi precoci hanno già fatto effettuare le migrazioni, perché io sono moderatamente sensibile ai loro peli urticanti: l’ultima volta che mi trovai in mezzo alle processioni, mi vennero i caratteristici bozzi. Una zona più aperta offre quindi uno scorcio su delle pareti di calcare su cui sono scavate delle grotte.
In breve arriviamo a Casali Ciancamentes, un gruppo di baite ormai invase dal bosco. Non ci sono terrazzamenti nei dintorni, né edifici religiosi tra le case: è perciò possibile che non fosse un insediamento permanente, ma riservato ai transumanti durante le stagioni intermedie. Veniamo affascinati da un piccolo bugigattolo in pietra a secco dentro cui c’è un buco profondo. Il nostro esperto di cessi campali militari sostiene che fosse la latrina del borgo, ma la sua posizione a monte l’avrebbe reso un’arma batteriologica, per cui ripieghiamo sull’ipotesi di un pozzo.
Il sentiero prosegue sempre ripido, mentre compaiono i primi larici. In alcune zone gli alberi portano sui tronchi tracce di incendi. A quota 1200 m sbuchiamo su un poggio molto panoramico, da cui dominiamo Aisone quasi a picco sotto di noi e ammiriamo tutto il verdissimo ubac, dalle cime ancora innevate. Sopra di noi il pendio si frantuma in pareti di calcare multicolore e nelle chiazze di verde dei pini e dei faggi. Un traverso nel bosco ci porta in una zona prima nascosta, alla base di un corto ma erto canalino di slavina. Il sentiero lo rimonta con poche secche svolte, che lasciano poco spazio alla contemplazione. Ritornati nel bosco, a quota 1350 m giungiamo a un nuovo poggio panoramico, dove facciamo la prima pausa consistente della salita. Nella radura ci sono delle piantine di lavanda, che profumano se sfregate.

Continuiamo a salire senza requie, mentre il faggio prende il sopravvento sulle altre specie arboree. Su una dorsale, uno squarcio tra gli alberi mostra l’infilata della valle fino a Vinadio, con il suo forte, il suo ecomostro multipiano e lo stabilimento dell’acqua minerale un poco più in là. Un tratto con sottobosco “pulito”, come dicono i montanari, ci fa pensare che qui qualcuno sfrutti ancora questa zona. Arriviamo a Casali Casalot, costruzioni più esigue delle precedenti, di cui rimane poco. Probabilmente servivano solo di supporto all’attività dei carbonai, perché poco a monte il sentiero transita per una caratteristica piazzola annerita. Il faggio è il legno più adatto per questo impiego.
Poco alla volta la salita si fa più graduale e ci conduce al colle, sulla dorsale che separa la valle dal vallone dell’Arma. Qui ci innestiamo nel tracciato di “Lou Viage”, il lungo anello che percorre la valle quasi nella sua interezza. Forse per questo troviamo ora il sentiero segnato da frequenti tacche rosse, mentre fin qui i segnavia erano stati più radi. Nel primo tratto la dorsale è molto ampia e quasi piatta. I faggi che la avvolgono hanno un aspetto appenninico, con tanti tronchi sottili e fitti. Una radura ci offre la vista della boscosa cima, ormai a breve distanza a da noi. Lo strappo per arrivarci è però di gran lunga il più ripido di tutti, con pochi tornanti per rifiatare. Da un punto senza alberi riconosco Cima delle Saline, nelle Alpi Liguri, che già mi sembrava di aver individuato dal poggio a 1350 m: la sua calotta con la parete verticale su un lato è inconfondibile; la vetta è ancora abbondantemente imbiancata. Ci sistemiamo sotto l’ombra ai margini della radura sommitale; pranziamo e chi vuole fa un riposino. Io ne approfitto per un giro in cerca di spunti fotografici, che però saranno miseri. Intorno alla vetta c’è una rappresentanza di umani, ma solo due solo saliti dalla nostra stessa via, mentre gli altri sembrano arrivati dalla vicina sterrata che sale dal vallone dell’Arma a Pra ’d Giacu.

Alle 15 cominciamo la discesa. Abbiamo preferito indugiare in vetta per non percorrere la sezione più spettacolare con la luce piatta delle ore centrali. Nel primo tratto, su prati quasi in piano, la via non è sempre molto tracciata, ma le tacche sono abbondanti. Prima di arrivare a una truna con copertura in arco di pietre a secco (queste strutture servivano come ricovero per gli animali), un cartello ci fa piegare decisamente a sinistra, lungo un sentiero che per radure scende non meno ripido di quello di salita. Nell’alpeggio diroccato di Ventou c’è una stalla dalla volta a botte, sempre a secco. Attraversiamo una zona dove i noccioli hanno colonizzato i vecchi pascoli. Uno di noi che ha finito l’acqua punta una prima sorgente, ma è troppo esigua; poco dopo è più fortunato perché ne trova una fresca e utilizzabile con l'ausilio di un bicchiere.
Il successivo alpeggio, Grangette, si trova in bilico su un panettone che domina un orrido e la zona rocciosa che dobbiamo attraversare. Guadagno un po’ di vantaggio sul gruppo per cercare un punto panoramico per poi riprenderli dall’alto. Tuttavia loro boicottano le mie foto: non procedono infatti verso la zona dove vorrei inquadrarli, ma indugiano a ogni passo per ammirare il panorama. D’altronde, come dar loro torto? Questa zona è meravigliosa e non si può far altro che strabuzzare continuamente gli occhi. (Però quando uno si ferma a soffiarsi il naso in mezzo alla mia inquadratura gli urlo dietro). È poi incredibile come i pastori abbiano potuto ideare un percorso che l’attraversa, presumibilmente per permettere alle mucche di sfruttare i pascoli che abbiamo disceso prima. Ci sarà voluta una buona dose di creatività e di fame per ideare e portare a termine un progetto così visionario e ambizioso. Un tratto parzialmente franato consente di vedere come hanno operato, allargando delle cenge, che già esistevano, con dei muri a secco (il materiale non mancava).

Ci fermiamo a fare merenda in un punto panoramico, per poter prolungare la nostra permanenza. Se fossi depresso, mi verrebbe in mente quella canzone in cui Morrisey dice che un camion potrebbe anche travolgerlo, e sarebbe un piacere. Invece i camion se ne stanno sulla statale lontano da qui e io mi gusto il mio yogurt di latte crudo a cui ho aggiunto pezzi di melone, mentre solo il sole e il vento mi sfiorano la pelle. Ancora un breve tratto e finisce la zona rocciosa e spoglia: rientriamo nel bosco. Bosco misto che è pure bello, ma ormai abbiamo il collo torto all’indietro, nell’impossibile tentativo di scoprire dove siamo passati. Scendiamo fino al bivio per Vinadio. “Lou Viage” prosegue in quella direzione, mentre noi prendiamo a sinistra verso Piron. Il sentiero in quota, molto rilassante, fuoriesce dalla valle secondaria e si affaccia sulla principale, dove sorge la borgata. È raggiunta dalla strada e ben tenuta, ma non c’è nessuno in giro. Riserviamo il sentiero delle grotte per un altro giorno, per non fare troppo tardi. Queste grotte, come altre consimili, furono abitate dall’uomo fin dall’Età della Pietra e hanno offerto agli archeologi una miniera di reperti. Oltre che un giro qui, consiglio a chi fosse interessato a scoprire di più, una visita al museo archeologico di Finale Ligure. Seguiamo invece la strada, che ad un certo punto supera un impluvio orrido, da cui deve venire giù di tutto, tanto che hanno posizionato una staccionata di metallo per proteggere il fondovalle da detriti e tronchi. Ad un indicazione per Aisone la lasciamo infine, per un sentiero che in saliscendi ci porta ai giardinetti proprio sopra la piazza dove abbiamo parcheggiato l’auto. Per la cena cerchiamo qualcosa di caratteristico in zona, ma o sono chiusi o hanno avuto le Prime Comunioni a pranzo, per cui non sono disponibili la sera. Ripieghiamo così sul nostro ristorante salutista di fiducia, a Cherasco. Usciremo talmente tardi che non faremo neppure la solita passeggiata alla chiesa con la lapide romana del traghettatore.

Per approfondire

E. Dutto, Testa di Peitagù, cuneotrekking

Galleria fotografica

Aisone
Aisone
Ciancamentes
Ciancamentes

Il canalino di slavina
Il canalino di slavina



Sulla dorsale
Sulla dorsale
Testa di Peitagù
Testa di Peitagù













Aisone
Aisone

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Sergio Chiappino

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