Champorcher - Peradzà

Lago Miserin

12 luglio


Dondena
Dondena

Diario di viaggio

Una tappa quasi di riposo, dopo le due precedenti sfacchinate: i 1400 m di salita sono ben distribuiti, tra salite e pianori dove riprendere fiato. Nonostante il Miserin sia una meta molto popolare, ho trovato poca gente sui sentieri. Infatti quasi tutti evitano la magnifica Scaletta, salendo in auto fino a Dondena, secondo una delle leggi non scritte dell'escursionismo (si va in auto nel posto più alto possibile). Dal rifugio sono salito al santuario per il sentiero 7, che evita la strada principale percorsa da quasi tutti, rimontando invece dei gradevoli dossi erbosi.

Procedo brado fino a Chardonney, la frazione più turistica di Champorcher, dove partono gli impianti da sci. I primi passi sono lungo la mulattiera reale, voluta da Vittorio Emanuele II per raggiungere la casa di caccia di Dondena. Fu un grande progresso per la valle, perché fino ad allora i collegamenti con la bassa erano stati molto difficili. Nei pressi della cappella di Echelly, dove oggi c'è una breve galleria della strada, una targa del periodo ricorda l'apertura. Ci sono i nomi dei personaggi in vista dell'epoca, tra cui l'abate Pierre Chanoux. Lascio quasi subito la mulattiera per la Scaletta, un sentiero gradinato che si riallaccia alla prima nei pressi dell'alpeggio di Creton.
Nel primo tratto molte tracce alternative si affiancano tra di loro, opera delle mucche, che presto vedo, assieme ad un vecchio pastore con alcuni deliziosi cuccioli di cane, a cui però non sto molto simpatico. La mattina è limpida e calda; nell'umidità del bosco vuol dire abbondante sudore. Segue un tratto più fresco, all'ombra di una dorsale rocciosa, accanto alle rapide del torrente. Su un ponte lo varco e salgo per un bosco misto di larici e abeti rossi, abbastanza fresco anche se sul lato solatio e dalle pendenze sostenute, spesso con gradini. In questo tratto non ricordo canti di uccelli: non so se sia la mia cronica distrazione o perché sto cercando di fotografarlo in modo da rendere l'idea dell'ambiente. Il sottobosco è fiorito; spiccano delle orchidee viola. Più in lato il bosco si sfoltisce e spicca improvvisa la mole del Bec de Raty, una cima di rocce ofiolitiche frequentata dagli arrampicatori. In passato in zona furono scavate anche delle miniere, per sfruttare la ricchezza di minerali di queste rocce, ma non ebbero vita lunga, perché la roccia è molto fratturata e le gallerie pertanto esposte a crolli.
All'uscita dal bosco sono in una zona di dossi pascolivi, intorno all'alpeggio di Creton. Ci sono diverse baite a secco abbandonate, alcune con crotton esposti a nord e isolati con un tetto di terra. Più sotto c'è una stalla moderna. Mentre le baite sono piccole, la stalla nuova è decisamente grande: con la modernità è cambiato il modello di monticazione e si è passati dal piccolo alpeggio a gestione familiare, alla grande montagne tipica della zona più interna della valle d'Aosta. Non riesco invece a notare i ru, che dalle stalle poste sul dosso portavano il letame verso i prati per concimarli. Purtroppo in alto, nella zona del Laris, fanno la loro comparsa i tralicci del Superphénix, l'elettrodotto che trasporta in Italia l'energia elettrica prodotta in eccesso dalle centrali nucleari francesi, che sarà una compagnia ingombrante della seconda parte della tappa. Passo quindi sul dosso di una roccia montonata e bevo a una fontana presso una casa, dove due vecchi si godono il sole sull'uscio. «Buongiorno e grazie per l'acqua.» «È lì per tutti», si scherniscono. Sul sentiero non c'è nessuno oltre a me, mentre sul pendio roccioso di fronte vedo un certo traffico di auto dirette a Dondena.
Confluisco sulla mulattiera reale, ma la lascio quasi subito andare a correre sotto la strada, per proseguire invece tra i dossi erbosi di Champlong, dove trovo erba appena brucata e una mandria di mucche. I pastori hanno abbandonato le vecchie baite spartane e vivono in case di concezione moderna, ma costruite con uno stile compatibile con le abitazioni tradizionali. Rientro sulla mulattiera reale, passo sotto il parcheggio e salgo verso Dondena, dove vedo i primi escursionisti dopo due giorni e mezzo di cammino. Questi sembrano avere l'intenzione di fermarsi qui, dopo avere appena lasciato l'auto. Mangio qualcosa, prendo un caffè, rabbocco la borraccia, compro una cartolina e riparto.

Come detto, evito la strada principale, lungo cui corre l'Alta Via, e seguo invece il sentiero 7, che rimane più a monte. Lasciata la strada diretta al Laris, seguo tracce multiple di escursionisti, che mi fanno salire a una spalla, fino a dominare la conca di Dondena. Ho superato quasi subito la gran parte del dislivello per il Miserin. Mi trovo in mezzo ai calcescisti, le rocce tipiche della Valle d'Aosta interna, che sono molto erodibili e formano perciò pascoli estesi, sopra il limite degli alberi. Sono basiche, perché sono calcare metamorfosato con mica, come mi conferma la comparsa delle fioritura di genziana di Clausius, quella con cinque petali: occupa le stesse nicchie ecologiche di quella a campanula, che predilige però i terreni acidi. Vedo poi le uniche stelle alpine del viaggio, insieme a delle piante a cuscinetto; sono piantine erbacee che si sviluppano lungo il terreno, anziché in altezza, per trovare più calore e resistere meglio alle dure condizioni dell'alta montagna. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, l'aria non è scaldata dal sole, ma dal calore emesso dal terreno colpito dai raggi solari, per cui vicino a esso fa più caldo, anche di molto. Inoltre vicino al terreno il vento è meno forte e quindi la traspirazione meno intensa. Oggi il vento è burrascoso: ogni tanto lo sento fischiare.
Passo da dei bei dossi prativi, dove troneggiano però i tralicci del Superphénix, ahimè. Alcuni sono protetti da paravalanghe, suggerendomi che forse non è una buona idea andare al Miserin dopo una nevicata. Un cartello segnala l'ingresso nel Parco dell'Avic e obbliga a tenere i cani al guinzaglio. Mi affaccio quindi sul lago. Prima di andare al rifugio, dove ho prenotato il pranzo, vado a cercare un punto buono per fotografare il lago e il santuario. Lo trovo in una zona infestata dai moscerini, che si incollano in gran quantità alla crema solare su gambe e braccia. Trovo vari escursionisti sparsi, anche con cani slegati che fanno il bagno, poi un gruppo di boy-scout al rifugio. Mangio la tartiflette, pancetta soffritta con crema e formaggio fuso, accompagnata con insalata e noci: è il piatto più salutista che mi hanno proposto. Ottima.
Dentro il santuario ci sono degli ex-voto, che mi piace sempre guardare, per vedere come cambiano col tempo le preoccupazioni della gente, e vari ricami tessuti in occasione di nascite. La festa è quella della Madonna della Neve, dispensatrice di acqua, fondamentale per gli agricoltori e i pastori. Cristianizza riti pagani che qui erano praticati da tempi immemorabili.

Passando accanto alla piccola diga, che ha allargato il lago e l'ha reso una fonte di acqua per la centrale idroelettrica di Hône, risalgo altri dossi, in cui l'erba si fa più stentata al crescere della quota. Il vento è sempre teso: quando il cielo si copre fa freddo. Devo superare un piccolo nevaio. Non posso seguire il sentiero, perché transita da una zona ripida, ma non è difficile individuare un passaggio più facile, dove è già transitata altra gente. Sul pendio opposto noto una pista a tornanti, che altro non è che la mulattiera reale. Gli ultimi minuti sono ripidi e al riparo dal vento, consigliandomi di rallentare, per non arrivare al colle tutto sudato. Un traliccio sibila. All'arrivo il vento mi acceca brevemente, non so se con polvere o spruzzandomi negli occhi la crema solare.
Al colle ci sono tre stambecchi, uno giovane e due adulti; il più vecchio si mostra insofferente della mia presenza, fischiandomi. Il vento, pur se non gelido, mi consiglia di non fermarmi molto, perché subito il naso si mette a colare. Il rifugio è ormai poco distante, proprio accanto a un traliccio. Il sentiero lo raggiunge a tornanti per un pendio ripido, tra marmotte che fischiano e gracchi che volteggiano.
Al rifugio si dimentica subito la posizione infelice. Sarà che il traliccio è sul retro, sarà l'accoglienza. Sarà che è moderno e confortevole (ci sono addirittura i bidè). All'interno c'è una famiglia di svizzeri con figli adolescenti. Ci sono poi due coppie di ragazzi francesi e tedeschi. Sul libro ci sono le firme di due di Salt Lake City. Gli italiani sono saliti fin qui con il fuoristrada del gestore e si apprestano a scendere, sempre motorizzati. Ceno in compagnia di uno svizzero di Zurigo, anch'egli in trek solitario, che ama gli italiani, ma ignora tutto dell'Italia. Tanto per dire, pensa che nella pianura padana ci sia un buon clima: per chi guarda dall'Europa Centrale, ad Airolo è già Riviera. Per cena ci viene servita una zuppa di fagioli da far invidia a Trinità.

Galleria fotografica

La scaletta
La scaletta
Larici
Larici
Bec de Raty
Bec de Raty
Crotton a Creton
Crotton a Creton
Champlong
Champlong
Dondena
Dondena
Superphénix
Superphénix
Lago Miserin
Lago Miserin
Stambecchi alla Fenêtre de Champorcher
Stambecchi alla Fenêtre de Champorcher
Peradzà
Peradzà
Pointe Miserin
Pointe Miserin

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Sergio Chiappino

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