Epée damon - Planaval
Valgrisenche
17 luglio
Diario di viaggio
Tappa molto tranquilla, in discesa prima per boschi e alpeggi e poi tra le frazioni di Valgrisenche. Permette di ricaricare le pile, in vista del tappone del giorno successivo.
Faccio colazione alle 7, quasi per ultimo, dopo essere uscito per scattare qualche foto all'aurora. Qui il cielo è terso, ma dal basso stanno risalendo nubi. Da principio penso sia l'umidità del lago artificiale che c'è sul fondovalle, ma presto capirò invece che sono delle esiziali nuvole basse in risalita, che stazioneranno fino al pomeriggio di domani. Infatti, quando parto, noto che la loro quota sta aumentando e si stanno mangiando gli alpeggi sul pianoro sotto al rifugio. E infatti, superata una zona di dossi verdi e rocce montonate, mi bastano pochi passi per finirci in mezzo. La zona intermedia tra la nebbia e il sole è uno dei miei ambienti preferiti. Il sole c'è, fa ombra, e alle mie spalle disegna pure una gloria, l'aureola color arcobaleno attorno alle ombre appuntite. Purtroppo stavolta è troppo eterea per poter essere fotografata. Entro in un lariceto a rododendro, misto a pini cembri, tra grossi massi di gneiss. I larici, prima striminziti, sono di dimensioni sempre maggiori al calare della quota.
Prima di arrivare a un alpeggio, attraverso una pista sterrata, dove tre cuccioli di marmotta stanno giocando. Sono ancora abbastanza lontano e non fanno caso a me, né loro né la madre che li sorveglia. Mi fermo allora alcuni minuti ammaliato, mentre si rizzano sulle zampe posteriori, si spintonano e si gettano a terra vicendevolmente. L'alpeggio è una tipica grande montagne, con una lunga stalla e molte vacche che pascolano a monte. Dentro si odono rumori metallici. Proseguendo, attraverso una zona di larici secolari, fittamente ricoperti di licheni, che prosperano soprattutto sugli esemplari morti (non sono però loro la causa del decesso). Uno di questi si chiama Letharia vulpina, perché è tossico ed era usato per preparare bocconi avvelenati per le volpi. Dall'alto domino una chiesetta e un alpeggio, al di sopra del lago artificiale di Beauregard. Come molti consimili, ha un aspetto triste, quando non è pieno fino al colmo, per via delle fasce di limo grigio, nelle zone tra l'acqua e il livello massimo.
Una bella mulattiera attraversa un bosco di larici e abeti rossi e perde quota a svolte. Alcuni francesi stanno salendo. Sfioro una strada asfaltata e per un breve tratto la seguo, fino a un tornante a sinistra. Ad un certo punto la mulattiera è interrotta, senza che riesca a capire il perché, e devo seguire un sentiero alternativo. Sbuco ai campi sportivi nei pressi del capoluogo di Valgrisenche.
Vado prima in tabaccheria, dove trovo del nastro adesivo con cui rappezzare la suola, poi all'alimentari compro dei generi di conforto per oggi e domani. Nella piazza di fronte alle poste, un camper di una radio locale sta raccogliendo delle interviste dagli abitanti. Mi fermo a scrivere il resoconto e a prendere un caffè nel bar della frazione. Mentre sono seduto, entra un vecchietto leghista brontolone, che prende a sciorinare il repertorio classico dell'era pre-Salvini. Quando poi entra il sindaco, nessuno più lo frena. Parla a ruota libera, voltandosi spesso verso gli avventori come a cercare approvazione e sostegno. I locali, che devono conoscerlo bene, ridono a crepapelle, mentre il sindaco lo prende elegantemente in giro. Ascolto poi dei signori, che stanno commentando un articolo, che racconta di come due turisti, seguendo ciecamente il navigatore, abbiano sfondato la rete dell'autostrada a Courmayeur.
Proseguo poi per un sentiero erboso tra due muretti, immerso nel profumo dell'erba appena falciata, quindi per un tratto su una strada secondaria, tra alcune frazioni, passando accanto agli impianti sciistici. Sull'altro lato della valle ci sono bancate di gneiss levigate dai ghiacciai, dall'aspetto vagamente antigoriano. Plantè ha begli edifici vecchi, Frassy una casa intonaca quasi storica. Qui termina l'asfalto e il sentiero perde quota. Sono passate di recente le mucche, come si vede dagli escrementi e dalla terra smossa. A Prariond c'è una delle tante chiese dedicate a san Rocco, dopo la peste di manzoniana memoria, che anche qui decimò la popolazione. Due vecchi sono seduti sul prato di fronte; lui si alza, richiamato dai miagolii di un gatto in casa, e incede a fatica.
Attraverso dei prati da sfalcio, a monte dei quali corre un ru in cemento. Sono irrigati da spruzzatori. Cerco un masso dove sedermi per pranzare e godermi un po' il sole, che è tornato, perché le nubi basse vanno dissolvendosi. Da qui manca poco a Revers, costruito tra rocce montonate di gneiss viola. In cima alla più alta c'è una cappella del 1906. Un antropologo scriverebbe un trattato sul perché di questa posizione. Spesso gli edifici religiosi sono in posizioni notevoli, che colpirono i nostri avi. Per arrivarci devo però passare in casa di varia gente, perché non c'è un passaggio pubblico. Una coppia, che abita nella casa di fronte, sta apparecchiando la tavola a pochi passi dalla facciata. Con un po' d'imbarazzo, scatto una foto e mi dileguo in fretta, ringraziando e salutando. Da una vecchia foto su un cartello, vedo che una volta c'era un ponte in pietra a schiena d'asino sul torrente, oggi sostituito da uno moderno in cemento, adatto alle automobili. Da qui a Planaval è tutto asfalto.
Data la brevità della tappa arrivo alla meta presto e ho così la possibilità di fare un giro per la frazione e la vicina Roset, dove già nel Settecento si trovarono ad affrontare seri problemi di inquinamento, per via di un forno che lavorava il minerale di una vicina miniera. Gli abitanti dovettero appellarsi al Re di Sardegna, per sospenderne l'attività almeno nei mesi del raccolto.
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Sergio Chiappino
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