Lex Blanches - Courmayeur
Val Veny
20 luglio
Diario di viaggio
Al rientro nella civiltà, non c'è da aspettarsi meraviglie. È stato così nelle discese sui paesi principali del viaggio e sarà così a maggior ragione attorno a Courmayeur: verso la fine cammino tra gli impianti di risalita. Molto gradevole invece la parte centrale della tappa, sui pascoli attorno ad Arp Vieille. Un po' strano il bosco finale.
Mi sveglio intorno alle 3 e non riesco più a prendere sonno. Mi alzo perciò abbastanza presto, subito dopo che nei bagni è passato l'affollamento di quelli che fanno colazione per primi. Mi tocca poi aspettare, perché fino alle 8 piove. Quando smette, parto come molti indossando ancora giacca a coprizaino, anche perché la temperatura è fresca. Che bel contrasto con i 30° che troverò la sera a Torino, non vedo l'ora. Non posso indugiare a lungo, se voglio percorrere la tappa con la dovuta calma, perché ho le coincidenze migliori per il rientro con l'autobus delle 16.35. Sono tra gli ultimi a lasciare il rifugio, perché molti sono partiti quando ancora pioveva. Fino al lago Combal seguo la strada militare, sotto una luce cupa. Lungo la piana, vedo salire in senso opposto un'interminabile fila di militari in marcia forzata. Stavolta sono dell'Accademia di Modena e vanno a fare esercitazioni di trasmissione verso il vallone di Chavannes, percorso ieri. Il lago si è formato per lo sbarramento creato dalla morena laterale del ghiacciaio del Miage. È imponente e parzialmente vegetata. Il lago è quasi del tutto interrato: sono cresciuti persino degli alberi, oltre alla vegetazione delle zone umide, come gli ontani. È rimasto qualche specchio d'acqua solo nella zona più vicina allo sbarramento. Provo qualche foto ai riflessi, ma senza successo, tra la luce troppo tetra e la mancanza di un vero soggetto sullo sfondo.
Arrivato all'emissario del lago, lascio la strada e prendo a destra per un sentiero. Attraversata una zona di ontani dal fitto sottobosco, sbuco sui pascoli di Arp Vieille. Il cielo si va aprendo e il sole comincia a illuminarli. Gli squarci si muovono veloci e imprevedibili e ne approfitto facendo numerose pause nei luoghi più fotogenici, in attesa della luce più accattivante. Presa quota, vedo bene la lunga colata detritica che è diventato il ghiacciaio del Miage, dentro alla quale è incastrato il celebre lago, meta prediletta dei merenderos. Una doppia spalla è il punto più alto della tappa e regala begli scorci sulla val Veny. Anche se sono partito da poco, è un'ottimo posto per una pausa contemplativa. Un francese che non concepisce questo modo di viaggiare, mi chiede se sto aspettando qualcuno. Durante la pausa devo coprirmi di nuovo (ero nel frattempo rimasto in maglietta). Scendo quindi a superare un piccolo nevaio residuo e in breve sono al lago delle Vesses, dove si riflette il Bianco, o almeno quella parte non nascosta dalle nubi. Vado sulla sponda opposta per riprendere il riflesso, mettendo in fuga una rana. Aspetto qualche minuto e il sole bacia tutte le sponde: click. Compaiono i primi cembri e poi i larici, sempre più densi a mano a mano che scendo.
Il trek per me finisce qui, perché ancora qualche impluvio e sono tra gli impianti per lo sci di discesa, con relative piste tagliate nel bosco. Il lago Chercouit si trova proprio ai loro confini. Poi è appunto la volta di piste e impianti a fune di tutti i tipi. La discesa diventa più ripida. Incrocio un gruppo di giapponesi con guida francese. Sono copertissimi, nonostante il sole sia ormai prevalente e in discesa abbia caldo in maglietta; una signora ha addirittura le ghette. Tuttavia si sa, per motivi culturali i giapponesi sono terrorizzati dall'abbronzatura. In questi undici giorni mi sono scurito abbastanza, nonostante abbia usato la protezione 30: visto che quasi tutto il viaggio era sopra i 2000 metri e lunghe sezioni sopra i 2500, ho preferito essere conservativo. Naturalmente è a strisce, anche se i pantaloni lunghi mi hanno preservato da quella più ridicola. Dopo un tratto in rettilineo, vedo salire una signora in evidente sovrappeso, che pensa a una pausa, nonostante sia appena partita, come scoprirò a breve. Infatti mi manca poco alla stazione di monte di una seggiovia in funzione, che sforna turisti come figassa una panetteria del porto antico. Contando sul fatto che andranno tutti verso l'alto, scendo un poco sotto per rimediare una polenta concia, perché nel frattempo si è fatto mezzogiorno. Purtroppo come quartino hanno del barbera fortissimo e non del nebbiolo di Donnaz come speravo, ma l'esperienza è positiva. Mentre mangio, passano i tre olandesi con cui ero a tavola ieri sera. Vedo anche salire due gruppi di francesi con i muli e i sacchi rossi visti ieri sera al rifugio.
L'ultima parte del trek è su un sentiero ripido che prima costeggia la seggiovia e una stazione d'arrivo, quindi corre sotto una cabinovia. Mi superano delle persone di corsa; ad alcune sembra che le ginocchia debbano cedere da un momento all'altro. A breve le rivedrò esultanti in un bar al primo paese. Poi il sentiero si inoltra nel bosco, che almeno cela le brutture. È sempre più ripido: delle persone che salgono sembrano agonizzanti, anche per il grande caldo del primo pomeriggio. In basso la vegetazione è insolita, perché ci sono noccioli, frassini e abeti rossi gli uni accanto agli altri. Chissà che clima permette questo. Di certo dev'essere piovoso, come testimoniano anche i molti licheni sui tronchi. D'altronde attorno al Bianco c'è spesso brutto tempo. Sbuco infine su una pista da sci notturno, a monte di Dolonne, e costeggio un parco giochi per bambini. Gli olandesi sono seduti al bar. Li vedrò ancora all'autostazione. Il borgo è carino e ben tenuto. Il viaggio termina lungo la strada trafficata che conduce al piazzale dei bus di Courmayeur, senza particolare gloria, come del resto mi aspettavo: sono finito in un posto per turisti e sportivi, non per escursionisti. Mi restano i ricordi e le esperienze di tutti i giorni passati.
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Sergio Chiappino
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