Pineto-Atri
24 maggio
Diario di viaggio
Il primo regionale del mattino mi scarica sulla spiaggia di Pineto giusto in tempo per godermi un'aurora un po' sbiadita dalla foschia del mare. Ho viaggiato di notte fino a Pescara: la mia compagnia insonne sono stati una coppia di anziani coniugi che vanno a trovare il figlio, due studenti che scendono per votare e un meccanico che ha mollato la propria attività in Puglia, per fare lo stesso lavoro da dipendente a Torino, con stipendio e prospettive migliori. Ora ha il problema di conciliarlo con la famiglia, restia a trasferirsi al nord.
Pineto è una cittadina recente, nata con lo sviluppo balneare: la chiesa è degli anni Venti e la vecchia stazione porta ancora una sbiadita scritta in nero di anilina con il nome di Mutignano, il primo paese dell'entroterra. Dopo una passeggiata tra i pini che delimitano la spiaggia sabbiosa, vago un po' tra le seconde case e gli alberghi ancora sprangati. Solo la piazza centrale si va animando dei banchetti del mercato settimanale, che commercianti con aria da coatti montano con indolenza. A mia volta con molta calma, indugio in un bar a fare colazione, in attesa che arrivi l'ora dell'appuntamento con i compagni di viaggio.
Si materializzano in tre gruppetti e si disperdono subito alla ricerca del caffè o di un negozio per acquistare un picnic per il pranzo. Spalmata abbondante crema solare e caricati i pesanti zaini, ripercorriamo il pineto e attraversiamo la zona nuova del paese, in costante espansione. Per fortuna la striscia costiera edificata è sottile: fatti pochi passi, imbocchiamo una cavedagna e tra l'erba alta entriamo in un ambiente agreste. Solo il ponte dell'autostrada per un po' incombe sopra di noi, ma varcata la prima collina sarà solo un dettaglio lontano. L'ambiente agricolo è molto bello: molti uliveti anche secolari, che in basso cominciano a fiorire, campi di cereali; non mancano tuttavia segni di trascuratezza, come antichi casolari in abbandono a cui fanno da contraltare case dall'aria moderna poco intonata col paesaggio.
Una salita sotto un sole cocente ci porta alla prima collina, dove sorge il borgo di Mutignano; siamo accolti da qualche gatto randagio e dai trompe l'oeil sulle case. Il panorama si estende a perdita d'occhio sulle colline, in ogni direzione. Pranziamo al parco in cima alla collina, dove sfortunatamente il bar è in ristrutturazione, ma almeno funzionano le fontanelle, oggi assai apprezzate. In questi primi giorni di calura delle basse quote, durante il cammino mangerò quasi solo frutta.
Scendiamo per il prato e poi per stradine, quindi, in vista di Atri, non saliamo per la via più breve. Invece, per una pista che porta il pomposo nome di Cicerone (probabilmente un cognome locale), scendiamo nello sprofondo tra due colline, guadiamo una fiumara fangosa e risaliamo diritti per un prato assolato e profumato di menta, cercando di aggirare una casa dove vive una persona in guerra con il mondo a causa delle sue vicissitudini passate. Di qui si ha una bella vista su una zona di calanchi, gli unici che incontriamo baciati da una luce che consente una foto (troviamo tutti gli altri illuminati invece da una luce frontale che appiattisce tutto).
Dopo un tratto di asfalto, imbocchiamo una vecchia pista non più utilizzata, se non da qualche animale, come suggeriscono le orme dei cinghiali nel fango. Purtroppo è in stato di abbandono e viene spontaneo chiedersi per quanto tempo sarà ancora percorribile a piedi. Come capiterà spesso, nell'ultima parte della c'è molta salita, perché i paesi dove dormiamo sono quasi tutti arroccati.
Siamo ormai alla periferia di Atri. Il centro è un bel borgo medievale, con una piazza centrale su cui si affaccia una cattedrale dai bei dipinti gotici e rinascimentali. Intorno al paese si estende un'ampia area calanchiva, protetta da una riserva gestita dal WWF. Tra le due, però, c'è una periferia di palazzoni alti anche dieci piani, una piscina coperta in apparente abbandono e altre amenità del genere. Specie in questi primi giorni tra le colline, ci capiterà spesso di trovare tali accostamenti, segnali di una gestione pubblica che un abruzzese di adozione, che la sera ci viene a portare la cena, non esita a definire cialtrona.
La sera siamo in una casa rurale, posta su una dosale in mezzo ai calanchi. La cena, come detto, ci viene portata da un amico della nostra guida e consiste in una succulenta pasta alla pecorara, che spazzoliamo scientificamente dimenticando il resto. Credo che sia stata l'unica sera in cui la carne di pecora non era nel menu.
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Sergio Chiappino
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