Abbadia Lariana-Lierna
Valle Meria
27 settembre
Diario di viaggio
Il treno per la Valtellina, che costeggia il lago, ci lascia alla stazione di Abbadia Lariana, la prima a nord di Lecco, lungo la sponda orientale di quel ramo del lago di Como, proprio quello che volge a mezzogiorno. La stazione cittadina era affollata di pendolari e poliziotti intenti a chiacchierare, radunati in capannelli sul primo binario. Questa invece è deserta: nessuna presenza umana, solo un edificio senza servizi. Imbocchiamo il percorso pedonale diretto al centro, alla ricerca di un bar dove integrare la colazione delle cinque del mattino. Appena possibile scendiamo una scalinata verso il lungolago. Arriviamo alla foce di un torrente asciutto, dove un piccolo salice è una chiazzetta di verde sul terreno brullo. La sua distanza dalla riva ci fa intuire quanto il livello del lago sia inferiore al solito. Ci sono poi molti grandi pioppi. Sulla sponda opposta, più in alto rispetto alla riva, spicca nel verde un edificio stonato dalla forma massiccia e squadrata, che ci diranno essere un nosocomio. I benefici del clima submediterraneo dei monti, che circondano i laghi prealpini, furono apprezzati e promossi non solo a fini edonistici, ma anche terapeutici, sopratutto durante la stagione dei sanatori, prima che la scoperta della streptomicina fornisse un rimedio efficace contro la tubercolosi. L'aria salubre e l'atmosfera solatia erano contrapposte ai miasmi e alle nebbie delle città industriali mitteleuropee, non solo dal punto di vista medico, ma anche spirituale: la tubercolosi era infatti percepita come un sintomo di decadenza morale del malato, causata dallo stile di vita depravato della modernità cittadina. L'immaginario dell'acqua rigeneratrice, che in passato aveva alimentato miti come quello della fontana della giovinezza, o ispirato quadri come la Venere del Botticelli, trovò così nuova linfa nella società moderna, divenendo sogno e realtà di massa, che perdura tutt'oggi, su scale sempre più ragguardevoli e globali.
Non notiamo il bar del campeggio, che ci offrirebbe un balcone sulla battigia, e saliamo invece in paese lungo la provinciale trafficata. La carrozzabile fu costruita in origine dagli austriaci, dopo la Restaurazione, come via di collegamento tra Milano, seconda città dell'impero asburgico, e l'Europa Centrale. Fu pensata sin dall'origine come via di scorrimento veloce, con pendenze contenute e gallerie, ancor prima dell'era del motore a scoppio. Oggi la superstrada che corre un poco più a monte, spesso in galleria, l'ha sostituita nel suo ruolo di arteria di grande comunicazione e ha intercettato i traffici merci di lunga gittata e quelli turistici diretti sulle Alpi. La provinciale resta comunque affollata, tanto nei giorni feriali dal traffico locale, che nei festivi dai turisti. Peraltro neanche il lungolago è pedonale, ma è percorso da non pochi automezzi dei frontisti, in genere abbastanza larghi da occuparlo tutto. Le passeggiate sulla riva furono uno dei mattoni del paesaggio dei laghi, fabbricato a beneficio dei turisti, ma evidentemente oggi il panorama si guarda dal finestrino. Molta gente che abita fuori città sembra poi convinta di aver bisogno di automobili sproporzionate, come se dovesse solcare le praterie del Nebraska con un bisonte nel bagagliaio, anziché le tortuose stradine dei monti italiani e gli angusti vicoli dei suoi borghi arroccati. Una mia amica, che abita in collina, quando nevica se le trova tutte incartate a metà della salita e con la sua utilitaria le deve aggirare per arrivare a casa.
Tornati al salice, proviamo a restare lungo la spiaggia per puntare all'imbocco del sentiero, che si trova verso Lecco, in corrispondenza della chiesa di san Martino. Scopriamo però che è impossibile, perché ad un certo punto un edificio si spinge fin sulla riva. Chiedendo informazioni su come evitare la strada principale, apprendiamo inoltre che il sentiero è interrotto intorno a Borbino per lavori di sistemazione. Per fortuna i locali sanno darci delle dritte per riallacciarci al tracciato previsto. Torniamo perciò dove il treno ci ha scaricati, percorriamo nuovamente la pista pedonale che parte dalla stazione e risaliamo quindi verso Molini. La zona è densamente edificata, anche da costruzioni recenti: alle grandi ville ottocentesche dei grandi industriali e dei nobili si sono affiancate miriadi di villette del ceto medio più abbiente. A metà mattina di un giorno feriale, con tutte le imposte serrate, è difficile capire quanto siano abitazioni principali lasciate per andare al lavoro a Milano o in Brianza, o quante seconde case per cittadini, vissute solo la domenica.
Ci ricongiungiamo al percorso previsto presso un'edicola votiva e facciamo subito una sosta per curiosare attorno alla chiesetta di San Bartolomeo. Nel giardino attiguo vi troviamo il custode, che ci fa entrare dalla sagrestia, dove sono conservati diversi ritratti di santi, da Caterina d'Alessandria a un moderno Padre Pio, oltre a un mobile contenente reliquie di santi alessandrini. La chiesa è in corso di rifacimento (il tetto è già in cemento armato) dopo anni di abbandono e oggi non ha molto da offrire al visitatore. In origine fu usata come lazzaretto durante la peste manzoniana. Nello stretto passaggio esterno che conduce all'ingresso, il custode ci fa osservare lo slargo che serviva a far girare le portantine. Sotto il pavimento è custodito il sepolcreto delle vittime: attraverso due botole sono ben visibili le ossa miste a calce, che serviva a purificare i cadaveri degli appestati. Per una stretta e ripida scala saliamo quindi alla canonica, dove è conservato dell'arredamento antico in buono stato. Il custode ci porta infine nel giardino attiguo, dove ci fa anche assaggiare delle pere giaggiolo e ci spiega che coltivano la menta per farne un liquore. Ci fa notare delle scaglie di pietra che arrivano dal tetto di un'abbazia benedettina posta a monte, distrutta da un'alluvione e con i cui resti fu edificata la chiesa. Ci racconta che il restauro è finanziato da un'impresa privata, con lo scopo di tirarla a lucido e fare un luogo per eventi e cerimonie, a beneficio degli stranieri al sud che affollano il lago, un settore molto lucroso da queste parti. Chissà cosa ne faranno della scritta inneggiante a Falcao sulla facciata, se la cancelleranno tingendola o se la conserveranno come elemento pittoresco del folklore dei nativi. Congedandoci, ringraziamo il custode e lasciamo qualche euro nella cassetta delle offerte.
Proseguiamo lungo il sentiero lastricato e ne troviamo un tratto in rifacimento, ma percorribile. Attualmente i lavori sembrano sospesi, ma c'è una manciata di operai cinesi che si aggira intorno alle macchine per il movimento terra. Lo lastricheranno con pietre lisce di fiume. È un po' curioso che lavorino e lo rendano inagibile proprio nel periodo più adatto a queste quote. Il paesaggio circostante è fittamente occupato da villette in stile contemporaneo, “incongruo” lo definisce la guida. Comincio a fare caso a una linea di tralicci elettrici che ci accompagnerà per tutta la parte del viaggio a bassa quota. Per ora tento di escluderla dalle foto, come pure le villette, ma presto mi renderò conto che sono elementi portanti di questa fascia altitudinale, non diversamente da ulivi, querce e cappelle, e cambierò allora strategia. Dalla chiesa di San Giorgio godiamo di una bella vista su Mandello e sul lago. L'interno è affrescato e la guida indirizza a chiedere le chiavi presso una casa vicina; all'ingresso i cartelli danno invece come riferimento un prete e segnalano che è aperta solo il sabato e la domenica. Decidiamo di non rischiare di farci sparare affacciandoci alle ville con il nostro look da girovaghi.
La pedonale percorsa finora confluisce nella viabilità automobilistica. La lasciamo prendendo invece a salire a tornanti, per poi finire su una sterrata, che guada la superstrada con un cavalcavia. Intorno all'area di servizio che vediamo, è in progetto un curioso svincolo diretto al centro paese, che sarà usufruibile solo da e per il nord. Curioso perché questa direttrice assorbe solo una frazione trascurabile degli spostamenti degli abitanti e dei turisti che vengono qui. Sarà inoltre necessario abbattere un boschetto e un oliveto, oltre che un ricovero per cavalli. Se non altro, non sarà interessato il gradevole tratto che ci apprestiamo a percorrere. A monte si è infatti conservata una porzione della viabilità pedestre tradizionale ed è con gaudio che seguiamo un sentiero bordato di pietre e alberi tra i prati falciati. La temperatura, fresca alla partenza, nella tarda mattina è salita decisamente e dobbiamo dosare lo sforzo per non grondare. Arriviamo a Maggiana, che di antico ha una casatorre schiettamente medievale intitolata all'imperatore Federico Barbarossa, anche questa sfruttata per eventi.
Usciti dal paese, attraversiamo altri prati con alberi isolati. Lasciamo quindi una pista sterrata in favore di un sentiero, che si inoltra in una zona di bosco fitto e fresco. Superiamo una sequenza di impluvi asciutti con forre e anche una zona di bosco invaso dalle liane. Quanto subito diventa più selvaggio e primordiale l'ambiente, dove l'uomo non può insediarsi per gli ostacoli orografici. Superato l'ultimo torrente in secca, attraversiamo gli orti ai piedi di Rongio, sovrastato da un cima calcarea con una croce in vetta. Facciamo un puntata nella semplice chiesa, beviamo alla fontana e ci incuneiamo tra i vicoli. Qui le vecchie case sono rivestite con un grezzo intonaco grigio chiaro, che vedrò anche altrove nelle parti più vecchie dei paesi. La strada precipita quindi verso l'infossata valle Meria, dove si trova il ristorante prenotato per pranzo. Accanto al nostro tavolo ci sono due educatori con un gruppetto di malati mentali; alcuni hanno l'aria di divertirsi un sacco e manifestano con schiamazzi la loro goduria, mentre altri hanno lo sguardo fisso e sembrano persi nel loro mondo. Nonostante sia in mezzo ai boschi, il locale non ha una veranda con tavoli esterni, per via del rumore della superstrada, che corre poco sotto, in un viadotto sul Meria.
Quando usciamo, prima di inoltrarci nel fitto bosco lungo il torrente, riesco a fare una foto alla chiesa di santa Maria, costruita su un poggio che domina la valle e sovrastata dai bianchi picchi del gruppo del Grignone. Il sentiero scende a ripidi tornanti verso il corso d'acqua. Lo valichiamo passando su un masso caduto nel letto, che ha formato un ponte naturale. Il sentiero rimonta l'altra ripa così ripido, che mi congratulo con me stesso di essere stato leggero a pranzo, nonostante le portate invitanti. In direzione opposta stanno scendendo degli inglesi, che ci chiedono se proseguendo nella nostra direzione possono scendere a Mandello. Alla nostra risposta affermativa ci ignorano e fanno lo stesso il dietrofront già preventivato. Ritorniamo su una carrozzabile, prima tra villette moderne, dove due educatrici o assistenti sociali stanno andando in visita a una ragazzina. Passiamo poi per dei vicoli. Manco la foto a una signora intenta a stendere vista lago, perché mi nota e mi guarda sospettosa. Passato il cimitero, proseguiamo su una strada in quota, prima tra ulivi e poi nel bosco, con qualche bello scorcio verso Olcio e il lago. Purtroppo i panorami vanno ammirati tra gli interstizi dei fili e dei tralicci, senza contare che assieme alla calura meridiana è arrivata la foschia. Poco prima del termine della strada, imbocchiamo un sentiero, che punta verso il basso. Scendiamo nel fitto bosco e cespuglieto fino a sbucare in un oliveto e successivamente accanto a un orto, dove una panca ci invita a una pausa.
Scendiamo di nuovo nel bosco, costeggiando un muro a secco, probabilmente parte di terrazzamenti ora abbandonati. Prima di Galgano un lungo tratto di questo muro è occupato dalle affissioni plastificate di un pensionato, con molto tempo libero per pensare, che ci tiene a divulgare a tutti i viandanti le sue riflessioni sulla vita, l'universo e il tutto, forse perché in paese nessuno gli dà più bada. Un po' bizzarro, ma pur sempre più creativo che passare le giornate alle slot o a guardare le ininterrotte partite della tivù. I miei amici si fermano a leggerne un po', mentre io mi faccio catturare dal loro lato fotogenico, grazie anche al sole basso, che li rende brillanti nel controluce. Passata un'edicola votiva, il percorso antico è sostituito da una cementata, perché siamo nei pressi di un tratto scoperto della superstrada, che anche stavolta ha mangiato la viabilità tradizionale. Per la verità un tratto del sentiero storico è rimasto, ma i segnavia del Viandante lo aggirano.
Giungiamo alla cappella di san Michele, che è agghindata di festoni per la prossima ricorrenza. Perdo il contatto con gli amici per una foto, ma un bambino mi indica il vicolo dove sono andati gli altri due grossi zaini. Arriviamo alla periferia di Lierna e prendiamo una pista pedonale, diretta a un ecomostro dall'aspetto di un pollaio razionalista, invaso dalla vegetazione. Il dirimpettaio ci spiega che era un seminario costruito negli anni Sessanta del Novecento. Oggi la Chiesa l'ha venduto, dopo averlo dismesso, e il nuovo proprietario sta meditando come arricchirsi, sostituendolo con una qualche struttura a beneficio dei turisti più danarosi, che in paese ancora manca.
Se ne hanno edificato qui uno così grande, certamente sovradimensionato per le esigenze locali, è forse perché anche la Chiesa Cattolica era sensibile all'immaginario, che vedeva il lago come benefico per la salute spirituale oltre che fisica, fabbricato a beneficio dei turisti edonisti della Belle Epoque. In questo caso i benefici erano di natura igienica, inseriti in una prospetiva squisitamente positivista e materiale: gli hotel reclamizzavano i dati climatici ricavati dalle stazioni meteorologiche. Nel caso delle religioni, l'acqua assurge comunemente a simbolo di purezza, ma non c'è nessuna preoccupazione materiale in ciò: basti pensare agli induisti che continuano a purificarsi con il Gange, nonostante sia fisicamente molto inquinato, oppure ai monaci della chiesa visitata al mattino, che purificavano fisicamente i cadaveri degli appestati con la calce e non con l'acqua. La morale cattolica adopera anch'essa infatti la metafora della purezza, accogliendo l'insegnamento biblico, in riferimento al potere contaminate di soggetti specifici percepiti come lontani da dio (basti pensare a tutto il campionario che riguarda la femminilità). In questo caso manca però anche ogni riferimento non solo all'atto fisico dell'abluzione (l'acqua è aspersa in quantità trascurabili, nella liturgia attuale come del resto già nel salmo 50), ma anche a una specifica acqua materiale di proprietà definite, presente invece nel già citato caso del Gange o dei templi di Iside, costruiti in corrispondenza di sorgenti: si può usare acqua qualsiasi, purché spirtualmente purificata con un rito. L'acqua non agisce come sostanza, ma come una forza astratta, secondo i principi del vitalismo: questo diventa ancora più evidente quando si pensa alle benedizioni dei nuovi manufatti, in cui l'acqua abbandona totalmente la sua valenza concreta.
Per una pista pedonale arriviamo alla ferrovia e di lì con Google Maps rintracciamo il B&B dove pernotteremo. Il proprietario è un po' seccato perché era convinto terminassimo molto prima la tappa e non si aspettava proprio che indugiassimo ad assaporare i colori del lago. Ci offre dei consigli per la cena e anche per la tappa di domani, che conosce bene: è infatti un appassionato del suo territorio, anche se non cammina.
Dopo la doccia (ruotando il miscelatore sul freddo), ci incamminiamo lungo la via bassa del Sentiero del Viandante e andiamo a scattare qualche foto crepuscolare al Castello, la zona medievale di Lierna, costruita su un piccolo promontorio. La sera è molto limpida e i colori del cielo da sogno. Rientrando verso la zona nuova, scopriamo che non esiste un collegamento pedonale tra il castello e la parte moderna lungo il lago, perché alcune sontuose ville, nei cui giardini prosperano delle grandi conifere, si affacciano sulla riva. La provinciale peraltro non ha né marciapiedi né banchine e lascia di conseguenza noi e altri pedoni alla mercé dei mezzi motorizzati. Per fortuna il traffico è contenuto, vista l'ora di cena. Nel ristorante di tavoli vuoti ci lanciamo sul pesce del lago. C'è chi gusta un risotto al persico; io provo il missultin, un piatto a base di agone. Questo pesce è pescato secondo i principi della caccia al gallo forcello, ovverosia sfruttandone subdolamente la stagione degli amori, in cui il maschio accecato dall'impulso riproduttivo si offre quasi con voluttà al suo predatore.
A fine cena è ormai tardi e andiamo filati a letto.
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Sergio Chiappino
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