Sassello-Pratorotondo

Bric Veciri

24 aprile


Torbiera del Laione
Torbiera del Laione

Diario di viaggio

Tappa che si svolge per gran parte nella vasta foresta che separa Sassello dal crinale. Ad ogni modo le sette ore di cammino riservano un posticino per una vetta panoramica nominata sulla carta, anche se ha una cima talmente piatta che si fatica a capire dove sia il punto più alto. C'è qualche spazio più aperto anche nel finale, da Prato Ferretto al rifugio.
Nel corso dell'avvicinamento, assaggio la focaccia quasi unta di Acqui Terme, paese da cui comincia a essere focaccia commestibile e non più pizza bianca. La prossima sagra dello stocafisso (per non parlare dell'anciuada), annunciata da striscioni in un paese dal nome da arroncamento medievale, mi introducono in una terra di montagne strettamente ancorate a una regione di mare. È stata perciò terra di commerci tra due mondi diversi, ma anche terra di confine a conflitti. Lo stesso comune di Sassello, pur avendo sempre gravitato nell'orbita di potenze rivierasche, fa parte della diocesi di Acqui.
In una mattina umida e fresca, l'autobus mi scarica in un piazzale ai margini del paese. Supero la muraglia di negozi di amaretti per turisti, dove conto di fare incetta al rientro, e sono appena entrato nel nucleo storico, quando mi ferma un vecchio gentile. Dice di chiamarsi Paolino e mi dice anche il cognome, «ma mi chiami per nome, perché il cognome è comune mentre di Paolino ci sono solo io». Mi racconta di aver lavorato tanti anni nella mia città, per una centenaria ditta italiana ora divenuta multinazionale olandese, ma di non esserci più tornato per non essere assalito dalla nostalgia. A Sassello ha invece fatto il sindaco per quindici anni ed è orgoglioso del suo operato, «allora si potevano fare tante cose». Gli chiedo se la siccità dello scorso anno qui ha colpito, ma su questo tema sembra poco recettivo. Passa anche la maestra e saluta delle persone. Vado alla biblioteca, ma scopro che la troverò sempre chiusa. Peccato, perché speravo di scorrere dei libri di storia e cultura locale, che nella mia città sicuramente non potrei reperire. Nella chiesa, affrescata sulla facciata e sontuosa dentro, resto un po' ad ascoltare della musica sacra trasmessa dagli altoparlanti. Le case affacciate sui vicoli sono senza fronzoli e pittoresche.

Seguendo il segnavia dei due triangoli gialli, scendo a un ponte su un rio, dove la strada passa sotto il porticato della cappella dedicata a san Sebastiano. Fu costruita nel Cinquecento, in segno di ringraziamento, dopo una pestilenza che colpì la costa, ma lasciò immune il paese. Sassello fu in parte risparmiata dalle epidemie che in quei secoli flagellarono l'Italia, grazie alla posizione isolata e a severe misure di igiene e controllo degli accessi. Lasciate le ultime case sparse, mi inoltro nel bosco per un sentiero, che nel primo tratto corre anche nel letto di un rio. Per fortuna le prime intense piogge primaverili sono cessate da qualche giorno, altrimenti avrei dovuto mettere i piedi a bagno. Nonostante le copiose nevicate tardive e le piogge abbondanti di aprile, non vedrò tuttavia molto fango. Anche se è la prima volta che vengo qui e non ho pertanto riscontri locali, dal confronto con altre esperienze appenniniche mi sembra tuttavia che queste precipitazioni non abbiano ancora ristabilito l'equilibrio idrico, dopo la secolare siccità dell'anno scorso. La vegetazione è composta da quelli che deduco essere carpini bianchi e aceri campestri, tipica vegetazione delle colline. Per l'umidità di questa vallecola infossata e ombrosa, sono densamente ricoperti di muschi e licheni, una caratteristica che fa tanto bosco delle fate e dalle mie parti non è frequente. Il paesaggio sonoro, oltre che dal fruscio del ruscello, è accompagnato dai cinguettii degli uccelli. Dovessi fare un altro giro da queste parti, mi terrei questo passaggio come finale. Se invece abitassi qui, credo che ci verrei a leggere. Supero un paio di case che hanno degli alberi da frutta fioriti e proseguo nel bosco, che diventa a prevalenza di castagni cedui (sulla mia carta la zona è chiamata “castagneto della lupa”).
Arrivo a Casa Galante, un'abitazione isolata in una radura nel bosco, dove mi attende un gattino bianco dall'aria desolata, che magari apprezzerebbe qualche crocchetta. Sui muri esterni sono appese numerose ruote di legno per carri. Imbocco una pista sterrata, sul cui fondo sono evidenti i segni lasciati da un cingolato, che corre in un profondo fosso. Sugli alberi ai bordi sono invece infissi frequenti cartelli rosso sangue che intimano di non raccogliere funghi, a meno che non si sia muniti dell'apposito tesserino, e avvertono che la zona è sorvegliata. Mi accompagneranno fino al Beigua e li ritroverò fra due giorni rientrando dalla foresta delle Deiva. Lascio brevemente la pista sulla destra salire per la diretta, per seguire invece una curva che addolcisce la rampa, e la ritrovo prontamente. Qui il bosco è misto di castagni e pini silvestri. Sento il primo cuculo dell'annata, anche se non lo vedo, come al solito. In cielo si alternano sole e nuvole; la temperatura non è elevata, ma l'umidità è abbastanza soffocante. In un punto noto che la pista è bordata da un basso muro a secco, quasi coperto di terra e muschio: pertanto questa doveva essere in origine una mulattiera, poi divenuta pista carrozzabile.
Contornando varie dorsali, arrivo in una zona disboscata, dove hanno lasciato in piedi alcune piantine, secondo i dettami della quinta. Il taglio deve risalire a qualche anno fa, perché alcuni alberelli sono già spuntati. Il rumore di una motosega in lontananza mi dice che il lavoro sta procedendo. Infatti, superata una nuova dorsale, arrivo dov'è parcheggiato il cingolato e un boscaiolo sta abbattendo una nuova porzione di bosco, stavolta a raso. Ha tagliato castagni e faggi, che a questa quota cominciano a comparire, risparmiando solo un pino, forse perché deve produrre legna da ardere e questa specie non è adatta, a causa della resina. A fare il boscaiolo si sta in teoria in mezzo alla natura, ma di fatto si sente per tutto il giorno il rumore della motosega e se ne respirano i gas di scarico. Sento cadere cinque alberi, prima di uscire dal campo sonoro del suo lavoro. Attraverso zone di pinete alternate ad altre di bosco misto di latifoglie. Vedo dei ruderi di casupole in pietra a secco (già ne avevo visto uno all'inizio della zona disboscata). In una zona più ombrosa attraverso un boschetto puro di faggi. Questi hanno già le foglie, mentre i castagni sono ancora spogli.
Arrivo al colle Luvetto, crocevia di piste forestali. In direzione opposta scende un motociclista, che al colle prende una pista in discesa; fra poco lo vedrò tornare indietro. Credo che da Casa Bandia prenda la pista indicata per MTB che porta alla statale, spero davvero che non vada sull'Alta Via. Non capisco proprio che gusto ci sia a sgommare qui anziché al crossodromo di Sassello, visto che girando a quella velocità e con quel rombo nelle orecchie non c'è modo di apprezzare l'ambiente circostante. Purtroppo oggi è vincente il loro modo di fruire la natura, che la usa solo come palcoscenico, per un'attività che pone al centro le sensazioni personali, anziché la scoperta e la conoscenza del genius loci. La pista prosegue in quota nel bosco misto di faggi e castagni, nel cui sottobosco compaiono degli agrifogli.

Alcuni faggi più grandi annunciano quelli monumentali di colle Bergnon. Poso lo zaino e cerco di scattare qualche foto, anche se non è semplice rendere in foto le dimensioni, in assenza di punti di riferimento. Molte cortecce sono incise da firme; alcune scritte sono così vecchie da meritare quasi esse stesse la protezione del MiBAC… Come se sui muri della mia città fossero sopravvissuti i triangoli con dentro l'occhio e la scritta “Zeus ti vede”, che li tappezzavano quand'ero bambino. Nel pianoro ci sono anche una panca da picnic e un piccolo rimorchio in decomposizione, ricoperto da un telo blu sbrindellato. Anche se sono appena le 11.30 mi fermo a pranzare, perché ho dovuto fare colazione prima delle 4, per poter prendere l'unico autobus del mattino per Sassello. A mezzogiorno sento suonare le campane, ma in maniera confusa e piena di echi, per la distanza che ho ormai posto con il centro abitato. Sono così disabituato al silenzio dei boschi che mi sembra incredibile sentiere un suono da così lontano.
Da qui parte il sentiero che sale sul Monte Avzè, da cui si può proseguire verso Vereira e da lì tornare a Sassello. La cima è un cocuzzolo roccioso che emerge dal mare di dossi ricoperti di faggi, che d'autunno devono essere una meraviglia. Nella conca sotto la cima, detta Piano della Donda, esistono dei tratti di strada lastricata, verosimilmente per non far impantanare le lese che trasportavano il legname verso i cantieri navali di Varazze. Una tradizione, diffusa tra gli eruditi del passato e citata anche dal Casalis, vuole che la lastricatura sia romana. In paese è diffusa una leggenda su degli avidi padroni medievali, che avrebbero usato poteri magici per impossessarsi dei beni dei viandanti; alcuni personaggi della storia risultano citati in documenti dell'epoca.
La pista prosegue poi in quota. Ad un certo punto vedo staccarsi sulla sinistra un'evidente mulattiera, che mi domando dove possa andare e se sia ancora percorribile. Forse è solo il vecchio tracciato, abbandonato dalla sterrata. Supero un ruscello, che la cartina chiama rio Reborgo mentre la guida Bissaio, e lo costeggiando brevemente. Presso un tornante il rio forma una pozza di acqua verde e calma così bella, che poggio lo zaino a terra e scendo a fotografarla. La pista prende poi a rimontare decisamente e in breve mi porta al dosso su cui sorge la grande e diroccata Casa Bandia.
Il toponimo indica qualche forma di regolamentazione delle risorse forestali. In genere in montagna è sempre prevalsa qualche forma di gestione comunitaria delle risorse, almeno fino al periodo napoleonico, quando queste istituzioni medievali furono abrogate. Era tuttavia possibile che in alcune zone ci fossero talvolta delle limitazioni. Ad esempio, nelle Alpi Marittime esiste un “bosco del bandito”, dove era proibito il taglio, perché difendeva una frazione dalle slavine. Altre volte erano i selvatici ad essere riservati. Fin dal tempo dei re Longobardi, che proprio su questi monti praticavano l'attività venatoria, e per tutto l'Antico Regime, la caccia ebbe un ruolo sociale molto importante, per cui il re e i nobili riservavano per sé delle porzioni di territorio. Nel caso dei Longobardi, queste riserve reali erano chiamate gazzo, un toponimo che suonerà familiare ai genovesi.
Seguendo i segnavia, giro intorno alla casa e mi porto sul fronte, dove c'erano un castagno e un acero montano monumentali, quest'ultimo spezzato dal vento. Poco discosto c'è un faggio così imponente, che slego il cavalletto dallo zaino e mi scatto una foto accanto a lui, per rendere in foto le dimensioni della pianta. Sul retro c'è invece un grande ciliegio fiorito. Scendo a un rio, che supero su una passerella marcia, quindi risalgo una bella faggeta senza un vero sentiero, seguendo i segnavia. Qui noto un escremento di volpe su un sasso e molti rami spezzati a terra, come se ci fosse stato vento. In breve sono sull'Alta Via, che corre lungo la dorsale, tra i richiami dei corvi e grossi massi.
Il sentiero segue fedelmente il crinale, che rimonta dal colle del Giovo al Beigua. Nella parte in cui risale più ripido, grossomodo fino al Bric Veciri, presenta un fondo spesso rovinato dall'erosione. Dapprima c'è un bosco misto di faggi e castagni, che con il clima marino arrivano a quota 1000, con a terra una bella fioritura di anemone dei boschi e diverse piantine di veratro. Più in alto la vegetazione si fa meno fitta, con alberi più stentati e cespugli, come mi aspetto da un crinale battuto dai venti e flagellato dalla galaverna. Qui a tratti il fondo del sentiero è davvero molto rovinato, quasi il letto di un torrente; c'è però un tratto fascinoso tra rocce rosse scistose. Ad una croce scorgo il porto di Savona spuntare tra la caligine e le pale eoliche di Stella dalla maccaja. Medito un po' se salire sul Bric Veciri, finché vedo un passaggio erboso, grazie a cui arrivo in vetta senza ravanamenti né equilibrismi, tra fioriture di narcisi trombone. La vetta non è di quelle che danno grandi soddisfazioni alpinistiche, perché in realtà un piatto prato roccioso. Tuttavia è panoramica, nonostante la spessa foschia che avvolge il lato continentale del parco, perché consente comunque di ammirare i dossi verdi che scendono verso la pianura. Verso mare nuvoloni residui si addensano a sud delle antenne e della croce del Beigua, mentre qui il sole sta prendendo il sopravvento e una fresca brezza marina sostituisce l'afa che mi ha accompagnato finora.

Tornato sull'Alta Via, trascuro il bivio per l'Ermetta, seconda cima del gruppo, che può dare un po' più soddisfazione (almeno c'è una croce, magari anche un libro di vetta) e proseguo in una faggeta, illuminata da una luce finalmente limpida, dove posso tentare qualche foto più convinta al bosco. Arrivato alla Sella del Beigua, imbocco la stradina in discesa segnata da una X gialla, perché voglio fare una puntata alla torbiera del Laione, prima di arrivare al rifugio. Incontro quasi subito dei boscaioli, che stanno lavorando ai margini della pista. Uno di loro mi avvicina e mi spiega che sono i gestori di quel bosco e stanno tagliando, perché ha ormai 70 anni e non crescerà più di così, ma rischierebbe solo di marcire. Gli alberi non sono tanto grandi, perché il clima del crinale non permette loro di crescere più di tanto. Lasciano solo quelli da seme, per la rigenerazione. Tra le pieghe di questa lezione di silvicoltura, si lancia anche in ardite e non proprio chiare e distinte similitudini sulla vecchiaia di alberi e uomini.
Dalla stradina si stacca una mulattiera, lungo cui perdo gradualmente quota in ambiente aperto, cullato dallo scroscio del torrente che alimenta la torbiera. Purtroppo il fondo è quasi sempre assai deteriorato, direi proprio irrimediabilmente perduto. In qualche punto i segnavia indirizzano addirittura verso le tracce che aggirano i tratti più sconnessi della mulattiera. Confluisco sull'asfalto e in breve sono alla torbiera del Laione. Dopo le abbondanti nevicate marzoline e le recenti piogge, me l'aspettavo un po' più in forma, mentre è sostanzialmente secca e il giallo delle sue erbe contrasta con il verde sfavillante dei faggi. Mi sporgo oltre la staccionata, per scattare una foto ricordo. L'ingresso è normalmente vietato, ma le barriere sono puramente formali. Speriamo siano sempre rispettate.
Proseguo in discesa lungo la strada, fino a trovare la sterrata seguita dal sentiero natura, che mi porterà ad allacciarmi al sentiero che sale da Piampaludo a Prato Ferretto. Lungo la porzione fino alla Casa del Che, una costruzione di metà Novecento, sono stati installati dei calchi delle pietre incise che si trovano sul massiccio.
Superati alcuni avvallamenti solcati da ruscelli, sono alla Casa del Che. Da qui al sentiero di Piampaludo è più che altro una caccia al tesoro, perché una gestione forestale disordinata ha creato una selva di piste che s'intersecano e si smarriscono. Una stradina si diparte verso monte, ma devo invece notare un consunto segnavia su un albero, che mi porta ad attraversare un prato, dove finalmente trovo una traccia. Più avanti confluisco nella stradina e, dopo due guadi, devo trovare il segnavia su un albero 100 m più avanti, discosto da entrambi i rami in cui la strada si divide. Il sentiero si perde poi tra mille rivoli, attraversa una zona disboscata dove forse hanno abbattuto gli alberi con segnavia; vado ad intuito (sarebbe più sincero dire fortuna o casaccio), provando a seguire la traccia che più mi ispira. Ad ogni modo non mi perdo, anzi ogni tanto mi imbatto in qualche segnavia, fino a confluire con un tratto più marcato nel sentiero che sale da Piampaludo. Questo almeno ho appuntato dopo la confluenza, ma nel marasma avrò senz'altro dimenticato qualcosa.
Non scendo al lago della Biscia, perché immagino che sarà anch'esso secco e anche perché non è proprio prestissimo, anche se sarebbe magari interessante vedere dal vero uno dei massi incisi. Quando accenderò il cellulare, scoprirò che dal rifugio mi hanno chiamato mentre ero in questo tratto. Risalendo, il bosco si dirada fino a scomparire: sono a Prato Ferretto. Dal mare soffia una gradevole brezza tesa, la luce è limpida e quasi radente, nei prati è esplosa una sfolgorante fioritura di narcisi trombone. Mi fermo ripetutamente a scattare foto, ogni volta aggiungendo più fiori nel primo piano. C'è poi uno dei caratteristici fiumi di pietre del parco; ne avevo visto già uno al Laione, ma era mezzo nascosto dal bosco, mentre questo è in uno spazio aperto.
Quando sono sul crinale, noto che il vento marino ha addensato sulla costa una densa foschia, anche se sono quasi scomparse le nuvole basse. Avviso il rifugio del mio prossimo arrivo e mi fermo a scattare qualche foto alla cappella degli Alpini e allo Sciguelo, dopo aver aggiunto uno strato al mio abbigliamento, per ripararmi dalla brezza. Anche a Pratorotondo sono fioriti i narcisi trombone. Il rifugio è aperto solo per me, perché non c'è nessun altro a dormire e nemmeno per cena. La cuoca e la cameriera, due giovani donne, sono state molto disponibili, tanto più che presto cambierà gestione, mentre loro si trasferiranno al Giovo. Non avevano pertanto particolare interesse a ingraziarsi un cliente. Come scopro durante la cena, domani a pranzo si scatenerà invece l'inferno. Anche se è tutto pieno, continua a telefonare gente che ha già prenotato, per chiedere di aggiungere posti a tavola. La cena è molto continentale, come è tradizione qui. La notizia tragica è che hanno finito l'ottima formaggetta del parco, per cui per il panino di domani dovrò ripiegare sulla mortadella tartufata.

Galleria fotografica

Sassello
Sassello
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Sassello
Sassello
Sassello
Sassello
Casa Galante
Casa Galante
Faggeta tra il colle Luvetto e il colle Bergnon
Faggeta tra il colle Luvetto e il colle Bergnon
Colle Bergnon
Colle Bergnon
Rio Reborgo
Rio Reborgo
Casa Bandia
Casa Bandia
Casa Bandia
Casa Bandia
Faggeta
Faggeta
Panorama dal Bric Veciri
Panorama dal Bric Veciri
Il Beigua dal Bric Veciri
Il Beigua dal Bric Veciri
Alta Via dei Monti Liguri
Alta Via dei Monti Liguri
Torbiera del Laione
Torbiera del Laione
Presso Casa del Che
Presso Casa del Che
Prato Ferretto (Bric Resonau e Monte Rama)
Prato Ferretto (Bric Resonau e Monte Rama)
Block stream a Campo Ferretto
Block stream a Campo Ferretto
Cappella degli Alpini e Madonna della Guardia
Cappella degli Alpini e Madonna della Guardia

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Sergio Chiappino

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