Canevino-Grazzi
Caminata
2 giugno
Diario di viaggio
Tappa nella zona superiore dell'Oltrepò e inferiore dell'Appennino, in cui il paesaggio, le architetture e l'economia diventano decisamente più agresti e montane, conformi a tutto ciò che incontreremo successivamente. Abbiamo inoltre gli iniziali contatti con il turismo della prima festività dal sapore estivo e le relative temperature.
La colazione è decisamente più scarsa e meno strutturata della cena e pure un po' raffazzonata: dobbiamo mendicare i vari pezzi ad uno ad uno. Questi si dimostreranno posti da pranzi e cene dei giorni di festa dilatati nella quotidianità, ma non da colazioni, nella più folkloristica declinazione italica. Tra l'altro non ce la servono per nulla presto, nonostante siano abituati agli escursionisti, e così dobbiamo camminare sin dal principio con temperatura e insolazione estivi.
Risaliamo infatti già al caldo la strada per Canevino percorsa la sera precedente, ondeggiando nella carreggiata alla ricerca dell'ombra. Dopo la sera fosca, la mattina limpida e soleggiata mi consente una foto turistica alla chiesa sul cocuzzolo. Riallacciatici al percorso della Via, imbocchiamo una sterrata accanto a una cascina, dove una signora innaffia l'orto, circondato da terreno riarso. Salito un dosso nell'erba alta, passiamo tra vigneti, ma soprattutto tra fitti pali e fili, con bella vista sulle basse colline di ieri. Raggiungiamo il municipio di Pometo. Una signora e un vecchio elegante, seduti davanti a una casa, ci indicano il percorso automobilistico per Bobbio, l'unico che concepiscono. Mi prudono le mani dal desiderio di fotografarli, ma non ho l'indole adatta a chiedere dei ritratti.
Scendiamo verso la strada principale, dove ci hanno indicato un bar e un alimentari, a cui approvvigionarci per il pranzo al sacco. Ai tavolini del bar, accanto a un tale accompagnato da un Labradror molto affettuoso, troneggia un distinto signore con un giacca a righe verdi e Borsalino, che ben presto e per un bel po' monopolizza la nostra attenzione. Si chiama Antonio Magri e nella nostra città fu collega del commissario Santamaria. Ora, in pensione, si interessa delle storie dei partigiani di questa zona, sulle cui steli commemorative e relative storie ha scritto due libri. Prima che dei problemi di salute lo fermassero, camminava anche molto sui sentieri di queste colline e dell'Appennino circostante.
Dopo il commiato e gli acquisti, per mia distrazione seguiamo i bolli di un sentiero diverso dal nostro, che per prati scende lungo una ripida capezzagna verso un impluvio. Solo quando noto dell'infrascamento mi sorge qualche dubbio e verifico dal GPS di essere fuori percorso. E dire che prima avevo notato che avremmo dovuto seguire una strada asfaltata, ma non ero stato in grado di fare due più due. Tornati sui nostri passi, tra ciclisti e motociclisti, sotto un sole cocente seguiamo una dorsale con cascine e coltivi. È ormai mezzogiorno e abbiamo percorso appena cinque chilometri dei venti previsti senza l'errore, il caldo è pienamente estivo, sulla strada l'ombra è una chimera: siamo pertanto un po' nervosi. La capogita, che pure indossa scarpe basse, ha i piedi martoriati da asfalto duro e caldo e pertanto si ferma per cambiarle con i sandali, prevedendo ulteriore asfalto, e si protegge dal sole con l'ombrello.
Raggiungiamo in discesa la china di una collina, da cui ci affacciamo sulla sottostante Caminata e lontane e più alte colline, blu per l'intensa prospettiva aerea dovuta alla foschia, con il Penice a fare da quinta. A est il paesaggio include un lago artificiale e un campanile che sbuca dal bosco. Attorno a noi ci sono invece prati falciati e secchi, mentre i dintorni del paese sono più verdi e boscosi; sempre per la caligine, il paese, nonostante i suoi tetti rossi, per ora è a malapena distinguibile dai dintorni. Un detour su prati costringe la capogita a una nuova sostituzione di scarpe. Io invece ho terminato il litro e mezzo d'acqua e ancora non ho fatto pipì.
Giungiamo quindi in un fosso il cui rio, ora secco, era detto in una carta settecentesca di “Malagrida o sia dei porci”, a indicare lo sfruttamento pascolivo delle selve (il primo toponimo è tutt'ora esistente nella costa qui sopra). Risaliamo un vigneto con papaveri e in breve siamo a un parco pubblico videosorvegliato ai margini di Caminata, con fontanella e tavoli da picnic in ombra quanto basta, che eleggiamo a sala da pranzo. Poco dopo arriva, sempre a piedi, un coppia con una bimba in groppa, che si sistema al sole.
Dopo una pausa, nella vana speranza che le ore più calde siano trascorse, attraversiamo il bel paese medievale in pietra, molto curato. La prima citazione del borgo è del 833-835 circa, con il nome di San Sinforiano, un santo importato dalla peregrinatio gallica di Colombano, in un documento dell'abate Wala di Bobbio che elenca le curtes del monastero. Un vecchio con abbigliamento informale e una pila di carte da geometra in braccio, ci racconta che lui ha gestito per un po' di tempo il posto tappa, prima di arrandersi per la malattia della moglie. Ci parla del sentiero della val Tidone, che ha contribuito a tracciare. Per un caffè, ci consiglia un bar ristorante poco fuori percorso, pieno di gente che, con questo caldo, si sta abbuffando di carne alla piastra.
Scendiamo a valle del paese, tra gente che passeggia, evitiamo per poco un'orda di moto da cross, e risaliamo una collina su una salita molto tattile, dove sulla pelle percepiamo il contrasto tra il sole e l'ombra, grondando per poi vibrare al fresco relativo. Passiamo accanto a una villa fortificata, contemporanea ma simile nel concetto a quelle tardo antiche, nel cui prato mi infilo di soppiatto per una foto del paese alle nostre spalle. Per vigneti arriviamo alle due case di Trebecco, dove c'è una casa di riposo, accanto a cui approfittiamo di una provvidenziale panchina all'ombra.
Imbocchiamo una sterrata nel bosco, poi alternato a prati, dove ci vorrebbero uno storico rurale e un naturalista, per leggere le passate funzione e le trasformazioni in corso di questi ambienti. Prima di passare da una bella casa rurale con roseto, incrociamo dei motociclisti di un raid e poi un ragazzo con la vecchia moto del padre, che va in giro da solo per imparare. Nel fitto bosco raggiungiamo Case Giorgi, dove è in corso la ristrutturazione per la creazione di un centro di ritiro spirituale laico.
Per sterrata raggiungiamo una cappelletta, dove ci fermiamo a fare merenda, in compagnia delle zanzare, che la fanno con il nostro sangue. La calura si è un po' placata, ma l'afa resta opprimente. Qui ci sono delle indicazioni per dei cippi indicatici da Magri e dal signore di Caminata. La sterrata sale bordeggiando dei muretti, della rosa canina e alternando prati e boschi, dove frusciano i selvatici, fino a raggiungere dei campi di grano dopo una ripida discesa, in una luce ormai serale. Un tratto che ci riconcilia con il percorso, dopo tanto asfalto. Vista appunto l'ora, telefoniamo per avvisare l'agriturismo e l’albergatore si offre di venirci a recuperare, anche perché pare proprio che letto e tavola siano ben più distanti di quanto ci avesse anticipato all'atto della prenotazione. Ci dà appuntamento all'asfalto.
Poco dopo il nostro arrivo, vediamo giungere un grosso pickup, guidato da un giovane omone dall'aria simpatica e la pelle saracena, in compagnia di un bambino. Carichiamo gli zaini sul cassone, dove si accomoda anche il figlio per farci posto, e ci stringiamo sui sedili. Durante il viaggio il signore ci racconta che, per resistere qui, bisogna arrabattarsi a fare vari lavori a tempo parziale, dal gestire l'agriturismo dove dormiremo e il ristorante dove ceneremo, al coltivare i campi e allo spalare la neve d'inverno con il trattore. Per i ragazzi è parimenti impegnativo, perché le scuole superiori sono a Voghera e Pavia: 50 chilometri di autobus sono davvero tanti, bisogna partire alle 6 e tornare alle 15.
Concordiamo di andare subito a cena e fare la doccia dopo. Il ristorante è una struttura lignea ai margini dell'area protetta di Pietra Corva, di proprietà pubblica. Vi arriviamo al tramonto e mangiamo all'aperto. La cena è nuovamente carnivora, ma riusciamo almeno a scampare ai salumi. Dopo cena, quando è ormai buio, il gestore ci accompagna a dormire a Grazzi, una frazione molto graziosa di vicoli, dove il grosso mezzo deve fare un giro vizioso per trovare un varco largo abbastanza. Sul finire del X secolo, il borgo insieme a un suo castello furono dati in beneficio dal monastero al capostipite degli Obertenghi, feudatari del Regno d'Italia, esempio della nobiltà locale che sottrasse terre e influenza ai monaci bobbiesi. Al piano terra c'è una cucina con un divano letto matrimoniale, al piano superiore ci sono una stanza per due e il bagno. Visto che qui, dopo una giornata rovente, la temperatura è fresca e l'umidità penetrante, accendiamo i termosifoni elettrici per asciugare il bucato, ma li dobbiamo spegnere prima di addormentarci, perché la ventola è più rumorosa di un elicottero.
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Sergio Chiappino
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