Lierna-Varenna

Ortanella

28 settembre


Alpe di Mezzedo
Alpe di Mezzedo

Diario di viaggio

In questa tappa ci allontaniamo dal lago e saliamo a mille metri di quota, tra fitti boschi e scorci panoramici a volo d'uccello. È senz'altro la tappa con i paesaggi migliori, vista anche l'assenza degli elementi antropici più dissonanti, che hanno ormai colonizzato la fascia prossima alla riva. Vediamo ambienti che si discostano dal paesaggio fabbricato a fini turistici e rispecchiano invece le esigenze produttive delle popolazioni rurali locali.

La colazione all'italiana è molto buona, con marmellate fatte in casa, ma un po' tirchia, con porzioni risicate: le marmellate sono in barattolini adatti allo zafferano (e ce le dobbiamo dividere in tre) e devo pietire un singolo panetto di burro, tra rimostranze salutiste.
Percorriamo a ritroso la pedonale di ieri pomeriggio fino all'ecomostro e poi imbocchiamo la strada in salita verso Genico. Il paesino è molto pittoresco e preservato, ma la superstrada incombe una manciata metri sopra, mentre i tralicci una pedata sotto; l'ecomostro fa capolino a monte di Lierna. Sottopassata la statale su una pista di cemento, una volta giunti alla sua quota ritroviamo la mulattiera che ci condurrà fin quasi a Ortanella. È un bel manufatto lastricato e in certi punti anche gradinato, pur tuttavia con qualche bisogno di ripristino. L'aspetto più interessante di questo tratto credo sia però il bosco a prevalenza di tassi, che in questa stagione sono facilmente distinguibili dalle altre conifere grazie agli arilli rossi. È la prima volta che mi imbattuto in un intero bosco di questi alberi, perché ne avevo sempre visto esemplari isolati. Sono frammisti a maggiociondoli, ornielli, carpini e più in alto castagni. Prima del tratto scalinato più bisognoso di restauro c'è una rudimentale edicola votiva, con un'immagine sacra al suo interno: il sentimento religioso legato a madre natura, assorbito dal cattolicesimo con il culto dei santi e soprattutto della Madonna, si manifesta nei luoghi notevoli, come spesso capita. Lo ritroveremo abbondantemente oggi, nelle croci poste in punti panoramici del percorso. Un incavo tra le rocce anticipa di poco un punto panoramico su Lierna. Sono passati tre quarti d'ora da Genico: purtroppo le mie limitate conoscenza naturalistiche non mi fanno scorgere tutti i particolari che un occhio allenato vedrebbe nel bosco, mentre a me sembra uniforme e senza storia. Credo che sia per questo che molti escursionisti dicono: «Non si vede niente, c'è il bosco». Tuttavia è molto gradevole l'esperienza di camminare così avvolti dalla natura, isolati dai rumori della civiltà, in uno spazio che invita all'introspezione.
Passato il punto panoramico, il sentiero si incunea in una stretta gola molto selvaggia, dove fa zig-zag tra massi di calcare. Mi stupisco di non vedere un torrente sul fondo: forse la natura carsica delle rocce inghiotte in profondità le acque meteoriche. Il sentiero prende poi a rimontare un pendio con serpentine secche. Ci supera un'arzilla vecchia in pantaloncini dall'accento veneto, che ci riversa addosso il ricordo di uno straziante incontro con un malato terminale, su un sentiero della Valchiavenna. Ci dice anche di essere partita senz'acqua per una distrazione. I tassi lasciano intanto spazio alle querce come specie caratterizzante, accompagnate da ornielli, castagni e carpini. Arriviamo alla croce di Brentalone, che ha una gran vista e una comoda panca di cui approfittiamo. Decido che è giunto il momento di scattare una foto con il cellulare per la chat dei compagni di liceo, da mandare con la didascalia a tema scolastico “Quel ramo del lago di Como”.

Di qui il pendio si fa più dolce, ma il sentiero lo affronta per la massima pendenza anziché a tornanti come il precedente, per cui il suo potere sudatorio non muta. In certi tratti il bosco si fa più rado e il calore del giorno più intenso. Nel fitto bosco, costeggiamo un muro costituito di grossi blocchi. Arriviamo all'alpe di Mezzedo, dove c'è un recinto con le pecore e i relativi cani maremmani, senza pastori. I prati sono verdi, nonostante il terreno sia secco. Quella con più presenza di spirito si ricorda del consiglio del proprietario del B&B e punta dritta verso il dosso che si affaccia sul lago. Raggiungiamo così il miglior punto panoramico di oggi, con tanto di panchina di legno per una contemplazione più rilassata. Domina la biforcazione di Bellagio, che oggi supereremo. Ci scattiamo qualche foto ed esploriamo i dintorni. La vista dall'alto del panorama era uno dei momenti irrinunciabili del soggiorno sui laghi, durante la stagione d'oro del turismo a cavallo tra Ottocento e Novecento: alcune cime strategiche erano consigliate nelle guide dell'epoca. I visitatori, nella solitudine e nell'isolamento della cima, potevano contemplare il corso del sole e percepire lo iato con la tumultuosa vita cittadina. In età giovanile, lo scrittore americano Henry James trascorse un pomeriggio sul Generoso, sopra Lugano, e descrisse l'esperienza con intenso lirismo. Con una logica di “valorizzazione” molto contemporanea, l'attrattiva di questi luoghi portò alla costruzione di infrastrutture che ne facilitavano la salita. Le solitudini furono distrutte e questi eremi divennero poli del turismo di massa. Per fortuna il nostro è finora rimasto immune dall'assalto. Speriamo che a nessuno venga in mente di proloungare la strada di Ortanella e trasformare l'alpeggio in agriturismo e resti invece sempre così, discosto.
Magari un giorno avrò l'occasione di venirci a fotografare il panorama con qualche ombra in più o in una notte di luna. Durante le sere sulla riva, ho avuto e avrò ancora modo di ammirare e fotografare il lago in veste notturna, color inchiostro, come lo descrivono i poeti. La prima volta che lo vidi l'acqua era color pece anche in pieno giorno, sotto un denso strato di nubi basse autunnali, opprimente come la volta di una vecchia cucina cosparsa di nerofumo. Se il mare nero è foriero di tempeste e terrore, il lago in simili condizioni mi evoca invece immobilità: non riesco proprio a condividere l'immaginario degli uccelli antropofagi di Stinfàlo, al massimo potrei accettare la schiva e imbelle Nessie. La presenza pervasiva del giorno sintetico su ambo le rive, di sera lo rende altrettanto nero e cupo, perché non permette ai nostri occhi di adattarsi ai suoi toni notturni, trasformandoli invece in ombre oscure della luce antropica. Tuttavia questo non è comunemente percepito come una mancanza: anzi, i tersi crespuscoli al sodio sono diventati uno dei clichè del romanticismo acchiappaclic, da diffondere nella pubblicistica ed estendere fino alle cappelle alpestri e alle croci di vetta più elevate. Non sono infatti nemmeno previste riserve indiane per chi volesse meravigliarsi del lago illuminato dal cielo stellato kantiano, che in queste mete turistiche, ai margini della grande metropoli lombarda, mi manca come a casa.
Ce ne andiamo giusto prima di rischiare un ritardo fatale all'agriturismo di Ortanella, che abbiamo prenotato per pranzo. Da qui cala decisamente la pendenza del sentiero. Subito dopo l'alpeggio è bordato da faggi secolari, uno dei quali spezzato recentemente dal vento. Arriviamo alla chiesa di san Pietro, restaurata recentemente mantenendo lo stile romanico. Ci troviamo la vecchia intenta a prendere il sole. Proseguiamo su una sterrata e poi su sentiero in un'alternanza di prati nelle conche carsiche e di boschi. Ci sono altri faggi imponenti. In questo giorno feriale tutto è silenzioso e solitario, ma nei giorni dei picnic la musica dev'essere ben diversa: il tump tump degli stereo portatili. Presto scopriremo che domenica è prevista un'invasione di Harley Davidson. Certo restano sull'asfalto, ma si odono a chilometri. Nei pressi di un parco giochi sbuchiamo sulla strada e raggiungiamo il poco distante agriturismo.
Siamo fortunati, perché oggi sarebbero abitualmente chiusi, ma hanno degli operai a pranzo e hanno perciò accettato la nostra prenotazione. Ci ammanniscono un sontuoso pranzo di terra, con molti prodotti loro. Ai prossimi avventori probabilmente cucineranno le oche che tengono come guardie del cortile: sono molto efficienti, ma pure oggi hanno mangiato i loro fiori. Chiacchierando, scopriamo che hanno dei parenti dalle nostre parti, uno dei quali è anche conosciuto da uno di noi, per via di un avo emigrato e lanciatosi nel florido settore degli olii esausti. Allora i sognatori e gli ambiziosi, che volevano fuggire da un'economia per affamati, potevano trovare opportunità nello sviluppo industriale a portata di mano, mentre oggi devono emigrare in Europa o anche più lontano. Qui in compenso si è creata una nicchia piccola ma lucrosa per gli sfiduciati che fanno il percorso inverso, stavolta con lo scopo di produrre cibo condito di immaginario anticato, a beneficio dei sazi di città, che possono comodamente arrivare con i mezzi del progresso tecnologico. Il proprietario ha una buona conoscenza dei dintorni e, con minuziose descrizioni, ci suggerisce un percorso alternativo all'ufficiale, facile da rintracciare e panoramico. La moglie che ci serve a tavola, pur essendo nata qui, sembra invece non sapere nulla dei dintorni e non concepire la prospettiva di girarli a piedi.

Tornati sui nostri passi, non imbocchiamo perciò la sterrata accanto alle case dove passa il Viandante (non ci sono indicazioni ma è evidente dalla cartina che si deve andare di lì), ma piuttosto la pista di fronte a noi che si inoltra in salita nel bosco del Monte Fopp. Con un paio di giravolte con vista sulle Grigne sbuchiamo infine su un colletto panoramico, non lontano dalla cima boscosa; vi godiamo di un gran panorama, anche qui con la comodità di due panchine di legno. È il punto più alto del nostro viaggio, poco sopra i mille metri. Anche oggi nelle ore centrali è salita un po' di foschia, che pregiudica un po' le foto, nonostante il polarizzatore, ma non la goduria per gli occhi. Proseguendo per la pista tagliafuoco, attraversiamo un bel bosco misto di media montagna. Osservando le specie presenti, mi faccio l'idea che si sia originato da uno dei tanti rimboschimenti di pascoli, fatto in origine con gli onnipresenti ma alloctoni pini neri, la specie preferita a tal scopo a inizio Novecento; si è poi naturalizzato con specie locali, tra cui vediamo anche dei pini silvestri, assenti più in basso. Lo scopo dei rimboschimenti era economico, per cui non si badò affatto agli aspetti naturalistici del bosco. Il legno era infatti una risorsa produttiva per l'industria e aveva anche un ruolo strategico: nella Grande Guerra si era visto quanto fosse importante nelle costruzioni militari. Era poi percepita l'importanza degli alberi nel prevenire il dissesto idrogeologico, un problema anche allora molto pressante, e di regolare il flusso delle acque al fine del loro sfruttamento idroelettrico, un'industria nascente di importanza strategica. In comune con la costruzione di giardini esotici e ville hanno la loro finalità distante dalle esigenze delle popolazioni locali, che generalmente erano loro ostili in quanto andavano ad occupare pascoli per loro produttivi, dirottando i benefici su attori esterni.
Arriviamo all'imbocco di un sentiero, da cui dobbiamo scendere, mentre il Viandante ci arriva di fronte, perché aveva aggirato il Monte Fopp su questa stessa tagliafuoco, ma in verso opposto al nostro. Da qui il sentiero scende, inizialmente graduale, ma dopo una stalla si farà precipite e manterrà costante tale pendenza fino a Vezio. Attraversiamo un tipico bosco termofilo di querce e castagni, in una bella luce pomeridiana frontale e già bassa. Adoro questa luce che rende traslucide le foglie; peccato sia raramente riuscito a tradurla in una foto altrettanto esaltante. Passiamo da una zona di placche rocciose verticali, dove ci sembra di ricordare ci fosse un punto panoramico descritto dal ristoratore di Ortanella. Tuttavia abbiamo dimenticato i dettagli e non ci mettiamo a ravanare nel bosco alla sua ricerca: non mi sono ancora abituato all'idea di avere uno smartphone, che posso usare in queste evenienze come registratore vocale. Passiamo quindi da una stalla, da dove il sentiero cambia decisamente di pendenza, come detto. Devo ammettere di aver dimenticato gran parte dei particolari di questo bosco, sommersi dal baccanale di punti panoramici che arriveranno a breve. Costeggiamo una forra e più avanti parte appunto la successione di punti panoramici.
Uno ce lo andiamo a cercare, salendo su un cocuzzolo verso cui si diparte una traccia, ma poi altri ci sono serviti su un piatto d'argento direttamente dal sentiero; ciononostante c'è chi rischia la vita andando a sporgersi sul precipizio, alla ricerca dell'Ultima Thule fotografica. Compare il piccolo promontorio su cui sorge Varenna, mentre Bellagio scorre poco alla volta alle nostre spalle e il ramo occidentale del lago si delinea più chiaramente. Da una radura ammiriamo anche le pareti rocciose sotto cui siamo transitati, senza però vederle dal fitto della vegetazione. Ci affacciamo anche sulla profonda valle del torrente Esino, sul lato opposto del costone, di cui stiamo seguendo la cresta. Come ieri, la temperatura pomeridiana è molto salita nei punti scoperti, divenendo quasi soffocante, nonostante ottobre sia prossimo, mentre nell'ombra del bosco va un po' meglio.

Risaliamo brevemente su un poggio, dove c'è una torre che la guida dice essere bizantina. Varie costruzioni moderne di natura ignota e prati falciati introducono Vezio. Il parco della torre sta chiudendo (sono le 18) e perciò non riusciamo a salirvi. Imbocchiamo pertanto l'ampia mulattiera lastricata che scende abbastanza direttamente a Varenna. La targa del nostro albergo non è molto evidente e pare che nessuno sappia dove si trovi, per cui giriamo un po' a vuoto prima di incoccarlo. All'accettazione le scritte sono tutte in inglese e l'impiegata ci chiede i passaporti. Siamo in una stanza con piastrelle della Belle Epoque, e botola del bagno affacciata su un giardino esotico, stipati in tre in uno spazio stretto per due, caldo e soffocante (a finestre aperte mi basterà il lenzuolo per la notte).
Dopo l'abbuffata del pranzo, a cena ci accontentiamo di qualche verdura. Molti locali sono pieni e così finiamo in una stanzetta angusta nel primo posto libero, dove ammanniscono quattro ovvietà a prezzi da Cartier. Siamo serviti da un cameriere dalle movenze ondeggianti da ballerino e con più brillantina nei capelli di Tony Manero; l'altro al nostro arrivo se ne stava appostato sull'uscio, adocchiando possibili polli da spennare. Dopo il fiero pasto gironzoliamo per i vicoli. Il borgo è molto pittoresco: ha una stretta via principale parallela al lago, da cui si dipartono ortogonali vicoli scalinati che scendono ripidamente alla riva. A causa della sua posizione stretta tra monte e lago, non ha conosciuto l'espansione edilizia recente vista altrove. Attira perciò frotte di anglosassoni, che sono la quasi totalità dei presenti; in un locale in riva al lago un complessino da camera suona della musica raffinata presentando i brani nella loro lingua. I clienti della gelateria sono invece tutti italiani.
Percorriamo la passeggiata lungo il lago, tra sontuose ville, una delle quali è un albergo così esclusivo che occorre pagare anche per entrare a visitare il giardino. I giardini sono una parte fondamentale dell'immaginario dei laghi costruito a beneficio dei turisti, specie di quelli nordici. Le piante scelte sono in genere sempreverdi tropicali, per estendere a tutto il corso dell'anno la magnificenza della creazione. Arrivano dalle terre esotiche che gli europei erano arrivati a controllare negli anni in cui nacquero questi giardini, cioè intorno alla metà dell'Ottocento. La prima diffusione è dovuta a una famiglia di ex giardinieri dei Borromeo, i padroni delle isole omonime sul Lago Maggiore, che si erano costruiti presso Pallanza un centro dove le acclimatavano, con un lavoro di selezione artificiale su alcune generazioni. Tra le più popolari ci sono le palme, tra cui era molto diffusa una specie cinese, che già naturalmente si spingeva verso nord, e le agavi centroamericane. Sono le stesse piante che vediamo oggi diffuse nei paesaggi della Riviera. Anche qui si sono naturalizzate e nel corso del viaggio le vediamo anche al di fuori dei giardini.
La vita notturna è già quasi spenta alle 22.

Galleria fotografica

Seminario
Seminario
Genico
Genico



Lierna
Lierna
Croce di Brentalone
Croce di Brentalone
Lierna
Lierna
Alpe di Mezzedo
Alpe di Mezzedo
Alpe di Mezzedo
Alpe di Mezzedo
Castello di Lierna
Castello di Lierna
Alpe di Mezzedo
Alpe di Mezzedo
San Pietro
San Pietro
Monte Fopp
Monte Fopp
Bellagio
Bellagio
Varenna
Varenna
Croce di Fopp
Croce di Fopp
Varenna
Varenna
Varenna, Villa Cipressi
Varenna, Villa Cipressi

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Sergio Chiappino

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