Varenna-Dervio
Bellano
29 settembre
Diario di viaggio
Tappa di bassa quota, con continui momenti di interesse, che riserva alla seconda parte il suo lato più panoramico. Assolutamente necessaria la digressione a Bellano, solo sfiorata dal percorso.
Ai primi chiarori faccio un giro fotografico in riva al lago. Il mio obiettivo è catturato dalle imbarcazioni da diporto cullate dalle piccole onde e da un battello di linea. Il lago aveva sempre rappresentato la principale via di comunicazione commerciale, sia locale che per gli scambi tra Milano e l'Europa Centrale. La navigazione sui laghi a scopo turistico prese il via fin dagli albori dell'era del motore a vapore e fu una delle attrattive, che regalarono uno sguardo nuovo sul paesaggio ai turisti al sud. Anche noi consideriamo l'ipotesi di rientrare a Como o Lecco via lago, ma la scartiamo per non arrivare troppo tardi a casa. Oggi il traffico merci si è trasferito sulla più veloce superstrada e il lago è attraversato solo dal trasporto persone; a giudicare dagli orari dei battelli sembra pensato anche per i pendolari. Tuttavia l'immagine che lo denota maggiormente è quello delle decine di vele bianche che lo solcano nei giorni festivi, a scopo puramente ricreativo e sportivo.
La colazione è tarata sugli americani e offre perciò ogni ben di dio, dopo la carestia di ieri; il rovescio della medaglia è il caffè, pur sempre meglio del cetriolo tostato del discount, ma ben lontano dal sapore di un vero caffè italiano. Facciamo un giro prima di colazione: la chiesa rifatta nuova all'interno è inaccessibile per le pulizie in corso, la piazzetta che vi si affaccia, nonostante il comodo parcheggio multipiano ai margini del paese, è ingolfata di auto, che con loro scorno non possono spingersi oltre, per la larghezza dei vicoli che nol consente.
Percorriamo a ritroso la mulattiera lastricata con pietre di fiume diretta a Vezio, nell'ombra del mattino e nell'umidità del bosco. Notiamo un sentiero indicato come “Via dei borghi” e quindi una strada privata, che a occhio potrebbero risparmiarci l'arrampicata a ritroso, ma persistiamo sul ripido sentiero principale, dove incrociamo due inglesi a spasso. Arriviamo al lavatoio di Vezio insieme al primo sole, sbucato da sopra i monti. Il parco della torre non ha ancora riaperto, per cui dobbiamo rinunciare definitivamente. Scendiamo per una ripida strada, poi sentiero e giungiamo al torrente Esino, varcato da un ponte in pietra a schiena d'asino. Oltre il ponte c'è un edificio da cui arriva odore di bacon, che dalla posizione sembrerebbe un mulino, ma secondo la guida una volta era una frequentata osteria. Il letto è così asciutto per la siccità prolungata, da far apparire del tutto incongrua la luce del ponte e perfino la sua stessa ragion d'essere: non scorre che un rivolo, per cui non incontriamo difficoltà a fare un giretto nella gola, boscosa a valle e rocciosa a monte. Risaliamo poi una ripida scalinata lastricata, per fortuna abbastanza larga da consentire di scansarci da un tizio che ci viene incontro di corsa. Sulla strada in cima, un taxi ha scaricato dei turisti stranieri e sta concordando un orario per venirli a recuperare. Passiamo sotto il portico di una chiesetta, su cui una targa in pietra ricorda gli eventi dell'anno giubilare 1935. Procediamo in quota tra gli ulivi, attraverso cui scorgiamo Vezio tra i tralicci e i fili, fino a Regolo. Qui guida e indicazioni sul terreno sono discordanti: la prima ci porterebbe a proseguire dritti verso il bosco delle streghe, mentre noi seguiamo le seconde, che fanno piegare in direzione opposta verso Perledo. Per una bella mulattiera lastricata tra gli orti, preceduti da una vecchia e da un gattino in fuga, arriviamo a un parcheggio, da cui saliamo alla piazza di fronte alla chiesa. La vista sul lago è spettacolare.
Attraverso le vie del paese arriviamo a un tornante della carrozzabile, dove decidiamo di assaporare un caffè vero, dopo la ciofeca della colazione. Tuttavia non siamo eccessivamente fortunati. Seguendo i segnavia, continuiamo lungo la strada principale verso l'alto e poi imbocchiamo la via diretta al cimitero, che successivamente diventa mulattiera nel bosco. Sbuchiamo nuovamente sulla strada in corrispondenza di un gruppo di case rosse con gran vista sullo sperone di Varenna e procediamo lungo di essa. Vediamo una deviazione per il bosco delle Streghe, ma non notiamo segnavia del Viandante e restiamo perciò sull'asfalto. Senza vedere altri imbocchi di sentieri, transitiamo sotto una parete rocciosa e poi accanto all'ecocentro e arriviamo a una spoglia edicola votiva (qui sono chiamate gesuoli), dove vediamo arrivare da sinistra il Viandante. Abbiamo mancato il Bosco delle Streghe. Scendiamo nel bosco su una lastricata con pietre lisce di fiume e giungiamo alla gialla parrocchiale di Gittana, da cui godiamo di una gran vista sul ramo settentrionale del lago.
Dopo una opportuna pausa contemplativa, proseguiamo in quota nel bosco lungo una mulattiera lastricata, quindi, in vista di Bellano, attraversiamo un paesaggio agricolo ben preservato, con relative costruzioni rurali ancora tenute. Le prime che vediamo contemplano perplesse dall'alto una villa in riva al lago dotata di piscina. A Bellano arriviamo per una parte moderna, di condomini per fortuna di altezza limitata, e villette. Procediamo con il fiato sul collo, solo sfiorando con lo sguardo i punti di interesse e rimandando al pomeriggio una visita: dobbiamo arrivare al ristorante in riva al lago, prima che il gruppone da cinquanta previsto per le 13 lo renda inagibile. Avremo giusto in tempo consumato la portata, quando si materializzerà sul lungolago la lunga fila, al seguito di una guida con vessillo di riconoscimento.
Dopo pranzo, con più calma, facciamo quattro passi attorno alla darsena e attraversiamo vicoli del centro. Diamo un'occhiata dentro la bella chiesa dedicata ai santi Nazaro e Celso, costruita in uno stile intermedio tra il romanico e il gotico e arricchita di molti affreschi. Curiosamente il piazzale antistante non prevede il passaggio pedonale, ma è occupato da un trafficato parcheggio con spazi risicati per le manovre: a noi non resta che fare la rasetta tra i muri e le numerose auto, che girano in tondo senza costrutto, come i carcerati in “Fuga di mezzanotte”, alla vana ricerca di posto libero.
Andiamo quindi a visitare l'orrido, aperto da fratture tettoniche e successivamente scavato anche dal torrente, che scorre sul fondo. Parte dell'acqua fu derivata in passato per alimentare di energia un'industria, ma oggi è restituita a metà orrido, anziché finire nel grosso tubo verde che vi fuoriesce. Il percorso su passerelle permette di ammirare dall'alto le profonde gole e farsi frastornare dall'assordante rombo dell'acqua. A monte ammiriamo la cascata con cui il torrente vi si getta all'interno. Lascio l'incombenza della descrizione del roboante tumulto dei gorghi alla retorica ottocentesca, con annesse maiuscole, senz'altro più consona della mia a questo spettacolo: «Ma giunte sopra Bellano le rupi, si ristringon esse e per poco combaciano, se non che dal sommo dell'imo le diparte fenditura, intorno a dugento piedi profonda.[…] Il rabbioso e diuturno rodimento dell'acqua ha tagliato di tal guisa l'altissimo scoglio che scabre mostra ed ignude le ingenti sue spalle[…]. Ma il fiume che pel fesso della rupe aperto si è il varco, molti seni ed occulti antri ed orridi anfratti ha scavato nel grembo e nel fondo di essa, e colà dentro vorticose aggiransi le onde e crucciose latrano in modo, che il domicilio della Notte e il ricovero quivi diresti essere della Paura». L'esperienza dell'orrido è infatti senza ombra di dubbio una manifestazione paradigmatica del sublime romantico come codificato da Burke, un luogo dove si ha la percezione della fragilità e della piccolezza umana di fronte alle forze prorompenti della natura, che ne mettono a repentaglio la stessa sopravvivenza. Fogazzaro ambienta il capitolo cruciale del romanzo “Malombra” all'interno di un orrido, in pagine intrise di simbolismo e animismo. Gli elementi naturali interloquiscono con i sentimenti umani e l'intimo dei personaggi si rispecchia in essi: coloro che sono ancorati alla materialità non riescono a percepirne che gli aspetti concreti, pensandolo e fruendone in termini prosaici; invece l'ombrosa Marina e la solare e sensibile Edith ne vengono turbate nel profondo, seppur in modi divergenti. È in questo luogo di «orrida magnificenza», dipinto come un antro infernale, tra ripetuti riferimenti danteschi, che prende corpo nei sentimenti della protagonista il dramma oscuro, che condurrà la protagonista alla perdizione a il romanzo al suo finale tragico.
Usciamo appena in tempo, mentre l'ingresso è intasato dal gruppo da cinquanta visto al ristorante, come un tombino dal monsone. Risaliamo la ripida scalinata che porta alla chiesa di san Rocco, dove sono conservati dei cimeli militari. Sul piccolo piazzale sta facendo impacciatamente manovra l'utilitaria di una signora, che avrebbe tanto bisogno per la sua salute di quattro passi a piedi. Non parliamo poi di quanto sarebbe più contento il bimbo seduto sul sedile posteriore, se potesse interagire con il mondo esterno, anziché ammirarlo attraverso il filtro del finestrino, come se fosse su Street View. Dal piazzale si accede anche a un fastoso cimitero monumentale, che costeggeremo nel primo tratto di salita verso Ombriatico. Il caldo pomeridiano è di nuovo nostro compagno di viaggio, cosicché alla successiva frazione accogliamo con piacere la presenza di un lavatoio a cui abbeverarci, dove apprezziamo la freschezza dell'ombra non meno che quella dell'acqua. Proseguendo tra le villette, scorgiamo la vasca di alimentazione da cui arriva l'acqua a metà orrido. Costeggiamo dei garage freschi freschi di colata, come le sovrastanti villette da cui dipendono, costruiti accanto alla pedonale per Lezzedo, miracolosamente preservata.
Dal piazzale della chiesa di Lezzedo godiamo di un gran panorama sul lago, naturalmente tra gli interstizi dei fili elettrici. Un signore del posto ci racconta di come una volta l'orrido avesse molta più acqua e incutesse davvero paura, mentre oggi molti anni aridi come questo hanno reso più mogio lo spettacolo della natura: lo spettatore romantico non aveva impiegato uno stile più altisonante del mio solo per questioni culturali, ma anche per un'esperienza più coinvolgente.
Ballonzoliamo per saliscendi tra boschi e radure, da cui ci sembra che Dervio non voglia avvicinarsi, per poi calare più decisamente verso i Molini di Oro. Qui un cartello ci informa che siamo sulla zona di confine tra due tipi di rocce, il calcare calpestato finora e una roccia scura scistosa. Ad un tratto il sentiero costeggia delle vasche ricavate nei muri di sostegno, che servivano come riserva idrica; sono ovviamente secche. Dopo i Molini le indicazioni latitano un po', ma capiamo che dobbiamo scendere a rotta di collo verso Oro, un misto di case nuove e altre più vecchie. I vicoli si stringono così tanto, da darci l'impressione di entrare in casa di qualcuno.
Risaliamo alla strada e imbocchiamo più avanti un sentiero lastricato dapprima in quota, che successivamente comincia a scendere verso Dervio, nel castagneto. È quello che ci regala i panorami migliori della giornata, anche grazie alla luce del tardo pomeriggio, ma sempre incastonati tra i tralicci e i fili. Avvisiamo intanto il B&B che non faremo tanto presto, perché qui è tutto incantevole e ci fermiamo a ogni piè sospinto. Il proprietario si raccomanda di scattare tante foto, come già facevano i Kinks. Notiamo diverse mulattiere ben pulite e conservate che puntano verso le frazioni in alto, da cui il panorama sarà ancora migliore.
Su una panca a un tornante facciamo l'ultima pausa per bere e in pochi passi siamo alla parte nuova del paese, dove c'è un grande stabilimento industriale dall'architettura ottocentesca, tuttora in attività. Non siamo lontani dal porto delle barche a vela che nel pomeriggio abbiamo visto numerose solcare il lago. Imbocchiamo una strada lunga e dritta, tra le case insapori della parte nuova (Dervio è meno etnica e più perifericamente asettica di Varenna e Lierna), costeggiando delle pareti levigate dal ghiacciaio, costituite da una roccia scura scistosa a strati verticali. Vi è stata anche ricavata una palestra di roccia, su cui vediamo due scalatori.
Arriviamo infine nella parte più vecchia del paese, dove ci aspetta l'albergatore. Dopo gli spazi risicati di ieri abbiamo un piccolo appartamento a nostra disposizione. La mobilia è in sintonia con l'aspetto generale del borgo. Su consiglio dell'ospite, puntiamo a un ristorante sul lungolago, ma ne veniamo respinti ancora in fase di prenotazione (è sabato sera e sono pieni, o magari a fine stagione non hanno più voglia di avere tanta gente). Per restare comunque nei pressi della riva, ci tocca ripiegare su una pizzaccia, vincendo un mezzo diniego, anche se sono quasi vuoti.
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Sergio Chiappino
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